umanità

Sapere di essere umano/2

Ancora qualcosa, ancora un appiglio, per rimanere umano mi serve. Mi emoziono e mi rallegro nel vedere le giornate che si allungano, il tramonto che ritarda il suo arrivo, anche se non amo troppo l’estate. Fa troppo caldo in estate.

Amo il sole gentile di questi periodi.

Meno male che provo ancora sensazioni belle, la gioia delle cose semplici.

M.

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Sapere di essere umano

Abbiamo bisogno di sicurezze. Avevo bisogno di rendermi conto della mia umanità, almeno di un pezzetto di essa. Mi sono emozionato ancora per il giorno che dura di più, mi sono rallegrato, perché, dopo tanti mesi, ho potuto togliermi il cappotto e camminare felice nel sole, verso la trattoria dove pranzo ogni martedì, solo soletto. Mi emoziono guardando le albe.

Bene così. Forse.

A presto.

M.

un po’ ridicolo

capisco di essere un po’ ridicolo, o molto ridicolo, a seconda dei punti di vista, ma quello che mi è successo, tra la fine di giugno e luglio, mi ha segnato pesantemente.

è un sabato molto caldo, sto per partire per Padova, per andare a cena in un bel ristorante. faccio la doccia, dopo di che noto sulle mie caviglie un rossore strano. noto che sono un po’ rosso sotto l’ascella destra. non sono particolarmente preoccupato, ma decido lo stesso di andare in farmacia. nella prima farmacia il commesso non mi sa dare risposta, nella seconda mi da una pomata, di cui mi sono già scordato il nome. vado a Padova, mi sono scordato di portarmi una camicia. vado al centro commerciale a comprarne una. alla sera sono a cena in un ristorante elegante, tre stelle Michelin. La cena è fantastica, ecc. ecc. Vado a letto. Il giorno dopo è ancora più caldo, vado in giro per Padova con i pantaloncini. sudo molto e mi affatico. torno a casa.

il mattino dopo mi ritrovo le gambe coperte da “ustioni”, dalle ginocchia fino al piede compreso. non mi fanno male. devo andare a scuola, a una delle riunioni preparatorie per l’esame di maturità. dalle “ustioni” esce del siero. chiamatemi idiota e incosciente, potete farlo, ma aspetto la fine della riunione per andare in farmacia. vado in farmacia, spiego la faccenda e mi danno della connettivina, con garze e la rete. vado a casa e mi medico. Mi addormento un’ora.

Vado in palestra al pomeriggio e le gambe fanno un male cane (resisto fino alla fine, chiamatemi stupido, fate bene). Il giorno successivo torno in palestra e le gambe fanno male, ma un po’ meno. La connettivina produce un po’ di effetto, meno male. Passano i giorni e le ferite alle gambe se ne vanno, anche se rimangono le ferite ai piedi. Mi sento disorientato, non mi sento più io. Il mio corpo è deforme, le gambe sono gonfie, un po’ meno dei primi giorni. Avverto anche meno il piacere del cibo. Vuol proprio dire che non sono più io. Per due giorni ho nausea e pressione bassa, vuol dire che non sono più io.

Ricomincio ad andare ad allenarmi, dopo qualche giorno. Le gambe fanno un male cane, anche se non ho più ferite. Sabato non ho molte energie, mi sento un po’ fiacco. Vado a fare la spesa. Vado al ristorante, ma non mi diverto e mangio con meno appetito. Torno a casa e mi levo le scarpe. I piedi sono pieni di piaghe e vesciche purulente, gonfi come meloni. E ancora non vado al pronto soccorso. Passo la domenica con due miei conoscenti un po’ strani. Andiamo ad un centro commerciale, io ho le ciabatte e qualcuno mi addita. I miei piedi sono intrisi di liquido. Al lunedì sto chiuso in casa, vado all’edicola vicina con l’automobile, molto presto. al martedì faccio la stessa cosa, così come al mercoledì, ma non ce la faccio più. vado in farmacia, sperando che la farmacista mi prescriva qualcosa, ma, giustamente, mi dice di andare all’ospedale. Faccio fatica a camminare, con quel siero che esce dalle vesciche.

sono sempre più disorientato e triste. al pomeriggio vado da mia madre, pensando che mi possa aiutare in qualche modo, o medicare in qualche modo. Sto pensando di andare all’ospedale seriamente. Sarà anche il caso, visto che i miei piedi, specialmente il destro, sono ridotti da schifo.  Mia madre è una donna ansiosa, come tutte le mamme, mia madre forse un po’ di più. fa una tragedia, mi mette ancora più ansia. Sarei dovuto andare all’ospedale da solo. Mi accompagna all’ospedale, con la sua macchina scassata. sono rassegnato ad andarci, ma con lei faccio finta di non esserlo. chissà perché. vado al triage, dove spiego tutto ad un’infermiera disattenta. Mi attribuiscono il codice verde.

Ci sono tante persone, molti anziani, in quel luogo. Guardo nel vuoto e guardo il cellulare, mezzo scarico. Non ho neanche niente da leggere. Non sono più io. C’è una signora di una certa età, vuole parlare. Mia madre è rimasta fuori in macchina. Mi racconta che ha prurito ad un fianco. Mi chiede che cosa ho io. Parlo. Sto un po’ meglio psicologicamente. Torna mia madre, con lo sguardo sconvolto. Mi critica per cose che non c’entrano niente. Ho ancora più ansia. Ci sono anziani sulle lettighe, ragazzi. Mia madre torna fuori, a pagare il tagliando del parcheggio.

Le ore  non passano mai. Un’infermiera chiama il mio cognome, la seguo velocemente. Entro in un ambulatorio dove c’è una dottoressa giovane e un po’ arrogante. Le racconto quello che mi è successo e mi prende per bugiardo. Sarò stato stupido, ma bugiardo no. Mi sdraio sul lettino. La dottoressa mi fa paura, dicendo che mi vuole ricoverare. Io rispondo atterrito che non voglio, mi dice, ma lei rischia di perdere le gambe. Lo fa apposta per farmi paura. Lei deve sottoporsi ad una terapia antibiotica, deve fare l’ecodoppler e andare dal dermatologo. Mi lavano le ferite. Mi bendano le gambe e i piedi fino alle ginocchia. Le devo fare un prelievo. Era dal 1996 che non lo facevo. (sono strano, lo so). I lettori mi perdoneranno se non abbondo in particolari su questo aspetto del racconto, ma ho il terrore e il ribrezzo per quell’argomento e non vorrei rimettere sul computer. Sappiate che ho tenuto un ottimo comportamento, da bravo ometto. La dottoressa arrogante mi dice, le darei una botta in testa, per aver aspettato dal 27 giugno al 13 luglio. Ha ragione.

Arriva un’altra dottoressa, con l’aria tranquilla. La dottoressa un po’ arrogante mi prende in giro davanti alla collega e se ne va, è il cambio turno. La dottoressa un po’ arrogante mi ha chiesto perché sono andato all’ospedale. Le rispondo, per colpa del liquido che mi esce dai piedi. La dottoressa giovane e un po’ arrogante se ne va. La sua collega mi finisce di bendare e mi fa salire su una lettiga. Mi trasportano in un open space, assieme a tanti altri malati, soprattutto anziani. Solo una tenda mi divide dal malato di fianco. Sono di fianco all’entrata. Entra un ragazzo, vittima di un incidente stradale, tutto fasciato, tranne la faccia. Sto male, ma non per i miei piedi, per quello che vedo. Una signora anziana si lamenta, ha fame, deve andare in bagno. Un signore anziano chiama la badante, che era andata a fumarsi una sigaretta. Aveva paura di aver perso i soldi, li aveva lei. Li conta davanti a lui. Gli racconto come li ha spesi. Ha provato a chiamare i parenti dell’uomo, ma non rispondono. Passa un’infermiera e le chiedo che ne sarà di me. Non mi sa dire niente. Passa la dottoressa e mi dice che deve aspettare i risultati degli esami. Sollevo le gambe, abbasso le gambe. Sono le 22 e la dottoressa mi dice che posso andare. E chi mi libera dalla flebo? Arriva un’infermiera, mi sfiora il piede, per fortuna che non ho dolore. Mi toglie la flebo, con poca delicatezza. Ho i piedi fasciati ed esco dall’open space. Vuole che le chiami un taxi, mi dice l’infermiera. Aspetti che controllo se c’è la persona che è con me. Mia madre è rimasta lì, da 7 ore. Esco dal pronto soccorso, con i piedi fasciati e avvolti in copri scarpe, lo sguardo sconvolto. I valori delle mie analisi sono buoni, però, la glicemia un po’ alta, ma non preoccupante. Vado a casa e mangio male. Mi lavo e vado a letto. Il giorno successivo mi avrebbe atteso l’eco doppler e la visita dal dermatologo. Alle quattro del mattino apro gli occhi e non riesco più a dormire. Ho ancora negli occhi le immagini di quello che ho visto.

Vado all’ospedale e mi fanno la visita angiologica. Non ho trombosi, meno male. La dottoressa e l’infermiera sono ritardatarie, ma gentili e premurose. La dottoressa mi dice che ho i muscoli robusti e che si vede che faccio sport, soprattutto per il cavo popliteo. Dice che devo camminare molto. Ho una forte infiammazione e questo si sapeva. Mi fascia di nuovo e mi tocca andare dal dermatologo. Il dermatologo mi dice che non ho l’infezione, ma ho un eczema da stasi. Il dermatologo non guarda nemmeno l’ecodoppler. Maneggia le mie gambe, come se fossero un pezzo di carne morta. Mi fa un impacco di acqua borica, brucia da matti. Dice che devo stare quasi fermo, con le gambe in posizione di scarico, tenute verso l’alto. Ho in programma, per quel fine settimana, due giorni a Roma. Esco e mi compro le scarpe da infortunato, costano 140 euro, ammazza. Devo sottopormi a medicazioni all’ausl. Mi deve fare l’impegnativa il mio medico di famiglia, un perfetto stronzo. Ritorno alla vita solita. Il mercoledì successivo inizio le medicazioni. C’è un’infermiera giovane, ma poco delicata. Mi fascia troppo stretto e mi fa male. Mi faa un po’ di ramanzina, per la glicemia un po’ alta, ma non preoccupante. Mi dice che, se mi fa male, posso togliermi le fasciature. Torno a casa e mi tolgo le fasciature. Vado in palestra, dove mi alleno con le ciabatte. Non ho più vesciche e alleno solo petto, bicipiti e addominali. sono andato a Roma, lo spirito e il corpo ne hanno guadagnato. Adesso devo andare a fare la spesa. continuo più tardi. Non vi preoccupate che finisce abbastanza bene.

 

umanità

c’e’ una foto, che raffigura una signora in costume, di spalle, con in braccio un neonato. sono in acqua, in Sicilia. quella signora, forse, fino a qualche secondo prima, stava leggendo un romanzo sulla spiaggia. ci sono uomini, di tutte le eta’ e stazze, in costume da bagno, i quali prima stavano forse giocando a carte. ci sono donne più o meno giovani, le quali si stavano certamente divertendo. ci sono disperati venuti da lontano, che hanno trovato aiuto da queste persone. si leggono i giornali, pieni di miserie umane, che raccontano di un mondo in crisi e di un paese in decadenza, poi, arrivano queste notizie.

sono fiero, non di essere italiano, sono fiero di appartenere ad una razza, quella umana. sono fiero ed emozionato.

essere umani, restiamo umani

qualche anno fa un attivista per i diritti umani, Vittorio Arrigoni, concludeva i propri messaggi internet scrivendo, restiamo umani. Scriveva da una terra tormentata, la Palestina, parlando della difficile vita dei suoi abitanti, tormentati dall’occupazione israeliana.

Cosa significa restare umani? Restare umani significa essere noi stessi, cercare di migliorarci, essendo autentici e spontanei. Qualche anno fa sono rimasto sconvolto, leggendo le mail di una mia ex alunna che esprimeva il suo pensiero su di me. Pensavo di esserle piaciuto, lei mi ha scritto che mi considera un esempio di come si deve insegnare, mi ha scritto che sono una persona che cerca sempre di migliorarsi, che impara dagli altri, una persona vera. Mi sono quasi commosso.

Molti insegnanti sostengono che bisogna rimanere sul piedistallo, sostengono che bisogna camminare davanti agli alunni e sperare che gli alunni ti vengano dietro, l’importante è camminare. Io cammino di fianco a loro e cerco di far capire loro che è il cammino giusto e intanto li ascolto e, se c’è qualcosa ma modificare nel percorso, sono pronto a cambiare. Non sono capace di stare sul piedistallo, mi ritengo uno come loro, che ha studiato un po’ di più e che ha qualche esperienza in più e che, forse per quel motivo, è meglio che mi ascoltino. Ogni tanto mi stupisco ancora, quando mi chiamano prof.

Ho studiato un po’ più di loro, ho la mia vita fatta di letteratura, arte, sport, ma mi piace anche ridere, ridere senza freni, divertirmi, sono un essere umano, insomma. Quando ho voglia di ridere e quando loro, i ragazzi, capiscono che sono un essere umano, si realizza l’alchimia perfetta.

Ho diversi hobby, tra i quali quello dei ristoranti stellati, mi interessano programmi tipo Masterchef, per scoprire i segreti degli chef. è sabato, sta per finire la lezione e CP, che ha gli occhi grandi e belli, mi chiede cosa fa stasera prof. Io rispondo che andrò al ristorante del famoso chef Valentino Marcattilli, CB, che sta dietro di lei, spalanca gli occhi e chiede. Chi, quello chef che è andato ospite a Masterchef, dal mio amore, Cracco? Sì, lui. BM e CB mi dicono che hanno il poster di Cracco in camera ed entrambi ci stupiamo di avere un interesse in comune. Io mi stupisco di come delle ragazze di 17 anni si possano interessare all’alta cucina. Quando avevo 17 anni non ci pensavo. E stasera mangerà l’uovo in raviolo, la specialità del ristorante San Domenico, io rispondo, probabilmente sì. Mercoledì ci racconta se vale veramente 40 euro, come aveva detto lo chef.

Vado a cena, la cena è splendida. Il mercoledì successivo torno dai miei meravigliosi ragazzi e loro, subito, mi chiedono ogni dettaglio del San Domenico, se è così buono l’uovo in raviolo, se sono così squisiti gli altri piatti, quanto ho speso, ecc. Io rispondo loro pazientemente, ma il dato più importante che hanno capito è che sono umano, simile a loro. Era quello che volevo che capissero. Ho anche detto loro che il 6 luglio sarei andato da Cracco: prof, ci porta l’autografo? certo che ve lo porto, ragazze.

Alcuni giorni dopo una ragazza, CB, mi consegna su una chiavetta, una tesina che avevo assegnato a tema libero, su Masterchef, tema scelto da lei. Scrive di Masterchef Germania, Usa, di altri paesi e, quando arriva all’Italia, di fianco alla foto di Cracco, mette due cuoricioni rosa. Rido di gusto. Non siamo così diversi allora, prof e alunni, e, soprattutto, siamo umani. Siamo restati umani.