
Decidi di fermarti e fotografare. Ed è bello.
Il cielo si arrossa, sta facendosi sera, in una giornata, in cui il sole ha picchiato, violento e spietato. Con la mia automobile piccola e dignitosa, una modesta utilitaria, ho scalato il delicato pendio che dalla statale porta alla sua casa abbarbicata sulla collina. è una sera di estate, sto andando a prendere una persona speciale, un amico, che è un pezzo di famiglia. Ho già parlato di lui in altri post, mesi fa. Provo sempre la sensazione, sicuramente abnorme, di essere una specie di eroe, quando mi arrampico su per quella modesta collina, quando l’asfalto lascia il posto allo sterrato e ad una curva a gomito, mentre i rami degli alberi assistono, sbilenchi come soldati pigri e un po’ avvinazzati, al mio passaggio. La mia piccola vettura si fa largo per quella strada, con il non troppo celato timore di incontrare un’altra auto in senso inverso, anche se qui non passa mai nessuno, tranne un’auto alcune settimane fa. Io sono un fifone, lo sono sempre stato. Sono un cittadino, abituato alle mollezze della vita. Sono anche prudente, non ho mai causato danni, anche se ho fatto queste salite molte volte, da quando ho avuto la fortuna di conoscere quella persona.
Un segnale stradale è uno dei pochi testimoni dell’esistenza della località, che ha il nome di Fontana, dove abita il mio amico e ci sono tre/quattro case al massimo, che sembrano spesso disabitate, anche se non lo sono. Ci sono prati, alcuni dei quali tosati, altri in preda al disordine. Ma è anche bello spezzare la monotonia di villette, industrie e trattorie tradizionali, anche buone. La casa del mio amico racconta di tempi passati, molto passati, di sasso, su tre piani. Per andare in bagno lui deve uscire di casa e scendere le scale, all’aperto, per giungere al bagno, che si trova in un piccolo ambiente, attiguo alla cantina. Di inverno e d’estate, con la pioggia e la neve, con il sole e il freddo. A lui piace così. Sua madre ha la camera al secondo piano e il bagno attiguo alla camera. Tutte le volte che vado da lui, penso che non vivrei mai lì. Io sono un cittadino, non abituato alle asprezze della collina, come lui.
Ci incontriamo, ci abbracciamo e siamo felici. Vado in retromarcia verso lo spiazzo sterrato e mi dirigo verso la discesa, quando il tramonto cattura la mia attenzione. Fermo l’auto e scendo con il mio cellulare. Tanto non passa nessuno, forse. Faccio la foto e le colline rosseggianti dominano la scena, mentre alcune fronde fanno capolino da destra e in basso. I pendii sono dolci, un misto di marrone, grigio e verde scuro. è bello. Mi piace.
Ancora qualcosa, ancora un appiglio, per rimanere umano mi serve. Mi emoziono e mi rallegro nel vedere le giornate che si allungano, il tramonto che ritarda il suo arrivo, anche se non amo troppo l’estate. Fa troppo caldo in estate.
Amo il sole gentile di questi periodi.
Meno male che provo ancora sensazioni belle, la gioia delle cose semplici.
M.
Sulle colline, durante un dicembre stranamente benevolo.
Sono al mare in attesa di chiamate da parte di scuole. Sono nella terza fascia ed è ancora presto. La località dove trascorro le mie vacanze è abbastanza spopolata. Ci sono pensionati e stranieri: tedeschi, cechi, russi e ungheresi, soprattutto. Preferiscono il sole gentile di settembre. Vicino all’edicola dove vado, c’è un ristorante carino, dove si mangia decorosamente. C’è una coppia di persone anziane, sono vestiti elegantemente. Mangiano lentamente e voracemente. C’è una famiglia russa che si abbuffa di pesce e vino bianco. Ridono. Ci sono solo due tavoli occupati. È un giorno infrasettimanale di settembre. Sono, siamo deliziosamente fuori tempo e fuori luogo. Che bello.
Ecco qualcosa di me. che ne dite di un tramonto?
Stasera c’e’ caos vicino casa. E’ Ferragosto.
dentro questa foto c’è molto, c’è una ricerca di calma, c’è una ricerca di senso. dentro questa foto c’è una ricerca di significato. il nostro protagonista guardava una foto come questa quando il ragazzino stava guadagnando l’ingresso della camera da letto. sembrava che avesse frequentato casa sua. si mise a letto e sollevò la coperta, quando disse al nostro protagonista, puoi stenderti qua di fianco a me e abbracciarmi. ho paura dei tuoni e mio papà lo fa sempre. ma io non sono tuo padre, rispose il nostro protagonista, il cui viso aveva assunto una colorazione rosso fuoco. ti spengo la luce. buona notte, mi dici come ti chiami, per favore, chiese al ragazzino. Marco, rispose il ragazzino mentre si stava addormentando. se ne andò nel suo studio, ma non riuscì più a lavorare e si mise a cazzeggiare su facebook. dopo un po’ si sentì in colpa, per quel ragazzino lasciato solo nella sua camera da letto, prese un orsacchiotto di peluche che aveva da quando era bambino e lo mise accanto a Marco. Marco era fin troppo bello, sembrava uno di quei bambini della pubblicità. era la prima volta che andava in casa sua e dormiva nel suo letto. prima di quel momento il nostro protagonista non sapeva neanche il nome di quel ragazzino e ricordava vagamente la fisionomia. sarà stata l’una di notte quando il nostro protagonista andò a coricarsi, di fianco a quel bambino. era un po’ imbarazzato, infatti dormì poco e con un sonno agitato. il giorno successivo si doveva alzare presto, avrebbe dovuto iniziare un incarico a scuola come prof. sua madre gli aveva sempre detto di trovarsi un lavoro serio, anche se quello di scrittore gli rendeva abbastanza per vivere meglio. ma come avrebbe fatto con quel ragazzino? la sveglia suonò e il professore andò, con gli occhi cisposi e sbadigliando, in cucina. Il bambino era sveglio e pimpante e stava preparando la colazione. aveva messo su il bollitore del te e apriva, con fare esperto, gli armadietti della cucina del nostro protagonista. Il bambino gli sorrise, fuori aveva smesso di piovere. il nostro protagonista pensava di stare sognando. Buongiorno, gli disse il bambino allegramente, ti ho preparato la colazione, contento? sì, grazie, sei molto gentile. Mangiarono assieme. che scuola frequenti, gli chiese il nostro protagonista. la scuola qua vicino,rispose il ragazzino faccio la quinta elementare. tu sei un professore, gli chiese. come fai a saperlo, replicò il nostro protagonista con aria sempre più perplessa. Ho visto i libri di scuola. che domanda stupida ho fatto, pensò il nostro protagonista, mentre il ragazzino si passava una mano sui capelli che gli erano andati sulla fronte, per tirarseli indietro. aveva dei bei capelli nerissimi e lucenti, gli occhi neri grandi e la bocca con le labbra carnose, le guance piene e il viso rotondo. Ti volevo ringraziare, rincominciò Marco, stanotte ho dormito benissimo, non ho avuto paura dei tuoni. posso tornare da te, se c’è il temporale, gli chiese spalancando gli occhioni. Il nostro protagonista rispose, se la tua mamma te lo permette sì. Grazie per avermi preparato la colazione, sei stato molto gentile. di nulla, non c’è di che. adesso ti saluto, devo andare a scuola, gli si avvicinò, gli diede un bacio sulla guancia e se ne andò. il nostro protagonista andò a lavarsi, si vestì e uscì sul pianerottolo. rivide Marco con la madre, presumibilmente, una giovane signora con i capelli castani, raccolti in uno chignon. buongiorno e grazie, gli disse la madre. non c’è di che, signora, rispose il nostro protagonista, cercando di guardare il nome scritto di fianco al campanello di casa. Mi chiamo Rossi, non ci siamo mai presentati. si diedero la mano. Il bambino aveva un giubbotto di pelle tipo bomber e i capelli raccolti in un coda, sotto una cuffia. guardò la propria madre sorridendo e le chiese, posso tornare da lui se c’è il temporale, posso vero. La madre rispose, se il prof è d’accordo. Ma come fa a sapere che sono prof, pensò il protagonista. di nuovo con le domande stupide, pensò il protagonista, glielo avrà detto il bambino. certo che sono d’accordo, non c’è problema, rispose il nostro protagonista. anzi, il suo bambino, non era certo che si chiamasse Marco o Edoardo, è stato molto gentile, mi ha anche preparato la colazione. Lo fa sempre, è fatto così, sorrise la madre. voleva intendere che il bambino aveva l’abitudine di infilarsi nelle case di sconosciuti per dormire nel loro letto, quando c’era il temporale, e preparare al mattino la colazione? che strano bambino. meno male che non gli aveva preso l’orsacchiotto, il nostro protagonista ci teneva, era un ricordo di infanzia. Marco andò a scuola con la mamma e il nostro protagonista andò a scuola un po’ perplesso.
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Dott.Massimo Romano
Sognatore di mestiere. Credo ancora nella fiaba del principe azzurro.