suore

Suora inquietante

Siamo in un bar di periferia, modesto. è giugno e io entro, perché mi ha invitato una mia collega un po’ baciapile, che crede che io sia religioso, anche se non so perché. è una zona molto verde, davanti c’è un bel giardino con i giochi per i bambini, di fianco al bar ci sono negozi ed un supermercato coop. quel giorno di giugno è grigio, minaccia pioggia.

la scuola è ormai finita, io e la mia collega baciapile abbiamo partecipato ad uno scrutinio di una classe che abbiamo avuto in comune. Di mattina la scuola senza alunni non sembra più la stessa. Seduti ad un tavolo ci sono la mia collega, un signore anziano e due bambini, di cui uno avrà 5-6 anni e l’altro qualcuno in più. Sono fratelli, i nipoti di quel signore. è un gentile signore del sud, che ha intenzione di offrirci da bere. Il più piccolo dei bambini mangia delle patatine, con aria vorace. è allegro e ha l’aria presente. Il più grande ha lo sguardo assente, tenta di mangiare le patatine, le quali gli scivolano in gran numero sul viso e sulla maglietta. La mia collega baciapile dice che il bambino è stato traumatizzato da dei compagni, il nonno annuisce. Non spiegano dove, ne come. Mi chiedo se quello fosse stato il primo trauma, il bambino mi sembra molto turbato ed assente. Non posso chiedere al nonno di specificare, naturalmente. La mia collega baciapile suggerisce al nonno di mandare il bambino a scuola dalle suore, anzi dalle suorine, come dice lei. Frequenta una scuola pubblica, quel bambino.

La mia mente corre subito alla scuola ciellina, dove non c’erano (non credo che ci siano neanche ora) ascensori e scale di sicurezza e dove io dovetti portare in braccio per due rampe di scale la bambina temporaneamente disabile. In quella scuola senza ascensori una ragazza con una protesi al posto della gamba doveva salire fino al terzo piano, per entrare in classe. In quella scuola non c’erano insegnanti di sostegno, c’erano educatori di una cooperativa ciellina, pagati dal comune, cioè dalla collettività. C’erano ragazzini disabili abbandonati a loro stessi, non c’erano neanche i bidelli. Veniva un’impresa di pulizie 1 volta alla settimana, per tre ore. Nella scuola privata dove sono stato tre anni gli alunni disabili si contavano sulle dita di una mano, c’era, credo, 1 insegnante di sostegno, c’era l’ascensore. Non mi ricordo se ci fosse la scala antincendio. Nella scuola della suora inquietante non c’erano insegnanti di sostegno, i ragazzini disabili sono seguiti in qualche modo dagli insegnanti delle altre materie. C’è l’ascensore.

Molte volte mi sono chiesto che cosa spinga un genitore a far frequentare ai propri figli una scuola privata, molte volte mi sono stupito quando ho saputo di intere famiglie, zii, genitori, figli etc. mandati alla scuola privata. Ho visto tante facce. Ho visto persone che vogliono rispettare la tradizione, perché i figli dei loro amici lo fanno, i loro amici andavano a scuola lì,, ecc. Ho visto persone che credono di proteggere i propri figli, mandandoli in scuole dove non ci sono i cosiddetti “casi sociali”, dove non si fa sciopero, ho visto persone convinte che in quelle scuole si impartisse un’istruzione migliore rispetto alle scuole pubbliche, anche se i dati dicono il contrario. Ho visto persone che scelgono la scuola privata, perché vogliono che i propri figli sia indottrinati secondo i dettami cattolici, ho visto persone che mandano i propri figli alla scuola privata, chiamata paritaria, ora, per mascherare il fatto che è una scuola privata, perché nella scuola pubblica ci sono insegnanti di sinistra. Ci sono persone che mandano i figli alla scuola privata, perché sperano che gli insegnanti chiudano un occhio di fronte all’ignoranza dei figli, ci sono persone che mandano i figli alla privata, perché costa molto e vogliono far vedere che sono ricchi.

Quando vado a votare rivedo la scuola elementare che ho frequentato, in un quartiere cosiddetto “difficile”, all’interno di un bel giardino, con il campo da basket. La mia scuola è piena di luce, mette allegria. La nostra maestra, che ho sempre adorato, è molto cattolica (nessuno è perfetto). Ci ha insegnato la Divina Commedia, l’Orlando Furioso, l’Eneide, ci ha portato nei più bei musei, ci ha insegnato anche qualcosa sul Parlamento, il Presidente della Repubblica e il Consiglio Comunale. Io sapevo chi era il sindaco, il presidente del consiglio, quello della repubblica, perfino il presidente della circoscrizione. In un quartiere difficile, come lo chiamano.

Lì intorno ci sono case basse, carine, con il giardino e  molti nani da giardino. Sembra quasi di essere in periferia e invece siamo vicini ai viali di circonvallazione. il frastuono delle macchine della via poco lontano ci ricorda che siamo quasi in città. sulla sinistra ci sono pochi uffici, qualche bar, qualche negozio. Sulla destra c’è una strada perennemente trafficata, con palazzi alti e decorosi e villette con giardino e nani. Le case sono rosse, bianche o color panna, in maggioranza. In mezzo alle case basse si staglia un maniero marrone scuro ed imponente. Attorno al maniero c’è un giardino, con qualche albero e molto cemento, di fianco alla grande strada trafficata. Davanti al maniero c’è una donna grassa, bionda e stupida, con i capelli ben pettinati, freschi di parrucchiere. Io entro e la saluto, perché ho la sventura di conoscerla, da prima di frequentare quella scuola. Le mie nipoti frequentano questa scuola, la piccola frequenta l’asilo, la grande è alle elementari. Abbiamo voluto che la grande avesse come maestra suor O., perché è stata la maestra di mio figlio. Una vecchina in abito da suora fa capolino, dalla porta nera di quel maniero. Dall’aspetto sembra che abbia un’ottantina d’anni. Sorride alla nonna timidamente, la nonna bionda la saluta calorosamente. Entro nell’atrio della scuola, immerso nella penombra. Dentro l’atrio c’è una donna sulla sessantina, con baffi vistosi. Davanti a me una porta conduce ad una delle segreterie, qui le segreterie non mancano. C’è la segreteria amministrativa, c’è la segreteria alunni, c’è la segreteria di non so cosa e poi c’è la collaboratrice fissa della suora inquietante. Da quella porta filtra un po’ di luce. A sinistra dell’entrata una porta conduce al corridoio delle elementari, immerso nella penombra, con il mobilio nero e le finestre piccole. Ci sono andato per il colloquio, prima di essere assunto, in uno stanzino con un piccolo lavandino.  A destra dell’entrata c’è il corridoio dell’asilo, immerso nella semioscurità. Salgo le scale strette e una luce cerca di farsi largo da una finestra, con scarsi risultati. A sinistra delle scale si apre un corridoio dove c’è luce, le finestre sono grandi e le aule luminose, hanno la lavagna interattiva. In mezzo alla luce fa contrasto l’ufficio della preside, da cui una persona uscì con seri problemi, qualche anno fa. Nell’ufficio della preside la finestra è piccola, e l’unica luce è quella fioca di una lampada da scrivania, che sta sul tavolo della preside e su quello della sua collaboratrice. La preside è una donna piccola, magrissima, con il volto scavato dal tempo. Ha l’espressione quasi sempre fredda, sorride poco e in modo un po’ falso. C’è anche la sala insegnanti, di fianco all’ufficio della preside, immersa nel quasi buio, con il mobilio nero e una finestrina.

Quando ho iniziato la preside mi ha condotto nella cosiddetta aula di tedesco. Siamo al primo piano, a destra delle scale, in un corridoio vinto dall’oscurità. Le finestre sono poche, piccole ed esposte a nord. Apre la porta e davanti a me c’è una stanzetta che non arriva ai venti metri quadrati con un tavolo rettangolare lungo al centro. Ai lati ci sono armadi, che occupano una parte dello spazio. C’è una lavagnetta, appesa al muro, simile a quelle che ci sono nei pub. Mi fa dare un pennarello da lavagna, da una delle segretarie, gentile e timida, sottomessa alla suora. Mi dice di utilizzarlo con parsimonia. Nella stanzetta c’è un cartello scritto a pennarello, con la declinazione dell’articolo maschile determinativo tedesco, solo questo mi ricorda che sono in un’aula di tedesco. Nella scuola media ci sono tre sezioni di scuola media, i ragazzini che studiano tedesco di prima, di seconda e di terza vengono riuniti per queste ore di lezione. Entrano i ragazzini delle tre prime medie e sono 12. Non ci stanno attorno al tavolo. Una bambina, piccola e magra, appoggia il quaderno sulle ginocchia. Sta tra il tavolo e la lavagna, sulla quale io devo scrivere, con il rischio di urtare la bambina. Molti bambini sono costretti a dare le spalle alla lavagna, pur di appoggiare il proprio materiale e si devono contorcere per potere leggere quello che io scrivo. L’unica luce è un flebile neon. La suora vede quello che succede e capisce che qualcosa non va. Mi dice che mi avrebbe cambiato d’aula con la prima media e così, dalla volta successiva, avrebbe fatto. Chissà perché non ha avuto la stessa idea con la seconda media e la terza, 10 e 9 alunni, ammassati in un’aula che, in realtà, è un ripostiglio. La terza media e la seconda le ho anche alle ultime ore e arrivano con gli zaini, che ingombrano ancora di più la presunta aula di tedesco. Nell’aula, chiamiamola così, non c’è la lavagna interattiva e io devo usare il mio tablet per firmare il registro elettronico. Posso solo firmarlo, ma non posso mettere i voti e scrivere il contenuto delle lezioni, perché una delle segretarie non l’ha ancora attivato, per tedesco. Devo prendere appunti su un mio quaderno. Gli alunni delle superiori di tedesco sono pochissimi, 1 per la seconda, 2 per la terza, di cui un ragazzo epilettico. Dicono che le persone affette da epilessia, quando sono colpite dalla crisi, si buttino per terra, dimenandosi e scalciando. Mi chiedo cosa sarebbe successo se quel ragazzo avesse avuto una crisi durante le mie lezioni. I ragazzi delle superiori scendono dal secondo piano, quando è l’ora di tedesco. Il secondo piano è luminoso, ma un po’ scialbo, c’è qualche immagine religiosa, come al primo, ma sa di poco, come si dice. In quella stanzetta non hanno problemi di spazio, ma mi domando, perché non debbano avere una lavagna multimediale come gli altri o un’aula luminosa.. Per proiettare filmati vari devo usare il mio portatile o il mio tablet. Meno male che c’è il wi-fi. Di fianco alla cosiddetta aula di tedesco, ci sono alcune aule, di medie e di elementari, luminose ed attrezzate. Ma il corridoio è buio. Nella scuola l’unica bidella cerca di tenere pulito. Passano i quindici giorni di prova e vengo confermato per altri 6 mesi, chissà perché non fino a giugno. Ho un regolare contratto, lo stipendio mi viene versato quasi sempre regolarmente. Sostituisco un’anziana collega, che sarebbe in pensione, la quale prende un terzo della mia paga, facendo il mio stesso lavoro. Ha i genitori, ormai vetusti, ammalati. In quella scuola lavorano insegnanti anziani, qualche suora apparentemente vetusta, insegnanti giovani, c’è perfino una mia cugina di secondo grado, che non vedo mai. Lavora lì da quando si è laureata, non so come faccia, ma forse so perché non la vedo mai. Molti se ne vanno, per andare nella scuola pubblica.

La scuola organizza molte attività, corsi di chitarra e cinese, ma li ospita nella cosiddetta aula di tedesco, senza luce e lavagna interattiva, con la lavagnetta del pub.

Chiedo alla preside di potere cambiare aula, chiedo alla segretaria timida una lampada. Non resisto a stare al buio. La preside promette di pensarci. La segretaria timida mi procura una piantana da pavimento. Per leggere devo stare sotto la piantana da pavimento, che occupa un bel po’ di posto, nella già piccola aula. Io mi compro anche una piccola torcia.

Un giorno devo fare lezione alla prima media, in un’aula luminosa. La collega di religione mi chiede di lasciarle quell’aula e mi invita ad usare l’aula magna. e sia, andiamo in aula magna, ma ci sono le sedie e non i banchi, i bambini devono scrivere la verifica seduti in terra, con il foglio appoggiato sulla sedia davanti oppure tenendo il foglio sulle ginocchia. Meno male che l’aula magna è luminosa. Lo stesso episodio si ripete un paio di volte.

La cosiddetta aula di tedesco viene usata dalla suora inquietante anche per colloqui con genitori e professori. Mi convoca lì dentro più volte, anche per dirmi di farmi aiutare per il registro elettronico, da un altro professore. Le spiego che il registro elettronico non è ancora stato attivato dalla segretaria. Lei mostra di non credermi.Secondo lei io sarei un bugiardo. Il registro elettronico viene attivato per tedesco verso novembre. Devo trascorrere due pomeriggi interi per aggiornarlo. Meno male che si può aggiornarlo anche da casa.

Mi faccio spedire qualche poster della Germania, per migliorare l’aula, uso la piantana e la torcia, fino a che, fino a che non accade il fattaccio, per così dire. Un giorno finisco la mia lezione ed entra la suora inquietante con dei genitori. Io esco velocemente, dimenticandomi di spegnere la luce. Quando torno, il giorno successivo, la lampada non c’è più. Chiedo lumi alla segretaria timida, la quale mi risponde che è un ordine della preside. Vado dalla preside e lei mi dice che è una punizione per averla tenuta accesa il giorno precedente. Io protesto e le dico che è molto difficile fare lezione in quella situazione. Lei promette di trovare una soluzione. Quel giorno non leggo, mentre i ragazzini sgranano gli occhi sul libro e il quaderno. Al pomeriggio vado a comprarmi una lunga torcia da cantiere. Da quel momento in poi avrei letto sempre con l’aiuto della torcia, per non accecarmi. Un sabato mattina c’è un open day, io rivolgo il libro verso il poco sole che entra dalla finestrina in alto, quando la porticina dell’aula si apre e un bambino la mostra ai genitori. Quando si accorge della situazione chiude la porta di scatto. Dietro di loro c’è la suora inquietante, con aria arcigna. Dopo circa un mese dalla punizione della suora inquietante, mi viene comunicato che potrò andare a fare lezione con la seconda e la terza media in aule luminose. Chissà perché la seconda e la terza superiore non hanno diritto ad un’aula luminosa.

I giorni passano e arriva un giovedì umido e freddo di marzo, il mio ultimo giovedì di ricevimento genitori. Dobbiamo essere presenti sempre, anche se non ci sono genitori che hanno preso l’appuntamento. Il ricevimento avviene nella mensa, nei sotterranei umidi e freddi. è la mensa delle elementari, i tavoli e le sedie sono bassi, anche lì è buio. Accendo la luce, per essere un po’ meno triste, una suora grassa e arcigna la spegne poco dopo. Al sabato finisce il mio incarico, in ossequio alla continuità didattica, come la chiamano. Gli ultimi due mesi i ragazzi avranno un’altra insegnante, solo perché io mi sono ribellato ai soprusi della suora inquietante, che violava il contratto che lei stessa aveva firmato.

Ora penso ad alcune cose: penso alla suora inquietante, che ogni tanto sta male, perché ha la leucemia, penso alla suora grassa e arcigna, la quale, risponde con fastidio a chi le chiede come sta la suora inquietante, perché la odia, evidentemente. Penso alle ore di spiritualità, in ginocchio nella cappella scolastica, mentre la suora inquietante esalta la figura di una beata che passava le notti a contemplare l’immagine di una madonna. Penso ad un frate francese che esalta una setta religiosa fondamentalista, davanti agli alunni, nella quale gli adepti ripetono, con occhi spiritati e le braccia alzate, god is great, god is awesome. Non esalta Don Puglisi, Don Gallo, Don Ciotti. Già.

Penso che non tornerei mai là, dalla suora inquietante.

 

 

 

 

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coscienze

Per raccontare questa storia vorrei partire dalla protagonista. La stronzetta che ho sostituito è una sessantenne. che doveva essere stata una donna piacente, frustrata e delusa. Ha vissuto in Germania, aveva il marito tedesco, il quale le ha fatto le corna con la governante ventenne. è tornata in Italia, due figli ormai grandi, ha avuto un esaurimento, è andata in pensione. Forse la pensione non le basta e si è messa a lavorare per la suora inquietante. La suora inquietante la paga meno di quello che ha dato a me, lei dice, circa quattro cento euro al mese per 8-10 ore settimanali, più la quintalata di riunioni in cui la coinvolge. I genitori della stronzetta sono anziani e si ammalano gravemente, il padre finisce all’ospedale per molto tempo. La stronzetta e la sorella si alternano, assieme alla badante ed altri parenti. Un pomeriggio la sorella della stronzetta ha bisogno di aiuto, però c’è una riunione a scuola. La stronzetta chiede alla suora inquietante di poter essere esentata dalla riunione, dopo averle spiegato i motivi. La suora inquietante risponde: no, lei deve venire. La stronzetta, una donna di sessanta e più anni, ci rimane male, però ubbidisce e lascia solo il padre all’ospedale. 

La suora inquietante ama iniziare le riunioni, soprattutto i collegi dei docenti, con il padre nostro, il gloria, l’ave maria e il segno della croce. Chissà perché trovo una relazione tra questi due aspetti.

Quando il potere è egocentrico, totalitario, diventa anche ipocrita. Più di una volta mi sono chiesto se bisognava adorare dio o la suora inquietante. 

Qualche tempo fa stavo facendo lezione in prima media, una frase dell’unità che stavo spiegando suonava così: hai paura del preside? S.C. è una bambina sveglia, intelligente e determinata. Risponde con sicurezza e con tutto il candore dei suoi 12 anni: no, perché se mi comporto bene, non mi succede nulla. Avrei voluto spiegarle come la pensavo, ma non ho potuto. Penso che crescerà e conoscerà persone come la suora inquietante, purtroppo per la mia alunna, che la comanderanno e le impediranno di accudire il padre malato. 

Il potere spietato incute paura, frustrazione e rabbia repressa. Il potere spietato trasforma gli uomini in belve, non tutti ma molti. La suora inquietante sta male, da un po’ di tempo, si è assentata da scuola, è ritornata non stando bene. Si è riassentata, è andata all’ospedale, dove, lei ha scritto, le hanno trovato una vertebra fratturata. L’hanno trattenuta a lungo. La cosa ha insospettito molti: per una vertebra fratturata? Il tempo passa e lei non torna. 

è giovedì mattina e sono nel refettorio/biblioteca, una grande stanza dove si tengono i ricevimenti mattutini dei genitori. Una mia collega entra e mi parla della sua preoccupazione per lo stato di salute della suora, la quale, mi dice, non mangia quasi niente. Mi dice anche, nel refettorio, dove una suora o un collega sarebbe potuto passare in qualunque momento, mi sembra che anche le altre suore si interessino poco a lei, mi sembra che mostrino poco trasporto. In quel momento passa una suora: anziana, grassa, dall’aria severa, bassa. Come sta la suora inquietante, le chiede la mia collega. La suora grassa e severa risponde, con aria di sufficienza, l’ho vista stamattina, sì, non sta molto bene. L’aria della suora grassa è annoiata, la mia collega è stupita e delusa. Le dice, ce la saluti tanto. La suora grassa risponde, va bene. va bene, e si allontana. Sembrava non importargliene nulla della consorella. Non mi sono stupito: ho provato quasi compassione per la suora inquietante.

Sabato scorso ho incontrato mia madre. Mi ha telefonato mia cugina. La cugina di mia madre insegna matematica nella scuola della suora inquietante.Mi ha detto che la suora inquietante ha un mieloma. La cugina di mia madre è una pettegola falsa, che dei parenti si è sempre strafregata, lavora da 36 anni con la suora inquietante e non mi ha nemmeno mai detto quando fare il mio nome per una supplenza. Quando ho saputo del mieloma della suora inquietante, ho pensato ad una cosa. Non ha solo un male terribile, ne ha due. è circondata da serpi, Erinni feroci. Ho pensato che avrebbe fatto meglio a circondarsi di gente come me, che non la adula, ma la rispetta, con la schiena diritta. Ho pensato che forse capirà che cosa ha creato, e che forse morirà peggio.

I punti fermi

Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno (Mt 5,33-34.37).

Il PCI, il glorioso PCI, muore nel 1991, al termine di una crisi lenta e inesorabile. Molta parte della crisi viene da una rinuncia progressiva alla propria identità. Il PCi ha scelto, compiendo una scelta suicida, di demolire i pezzi della propria identità, per non acquisire nulla. Non credo che sia mai stato e che sia un partito socialdemocratico, la Scandinavia è una terra dove la socialdemocrazia ha costruito una società, qua il PDS, i DS e il PD hanno contribuito a demolirla, dal punto di vista economico avallando e prendendo provvedimenti che hanno ridotto le difese delle classi proletarie, dal punto di vista culturale, non creando nulla, non creando una nuova cultura, non creando un nuovo linguaggio. Non è stato capace di operare una palingenesi, ha solo buttato nel cestino una storia. Ora è un partito senza identità, fondato solo sull’opportunismo, è un partito senza una guida e senza una direzione. Io non ho mai avallato la dissoluzione del PCI, convinto della necessità di rifondare il comunismo attraverso uno sforzo di quello che viene chiamato l’intellettuale collettivo. Abbiamo visto e stiamo vedendo come stanno andando le cose anche a quello che è il partito per il quale voto quasi sempre, il PRC.

Mentre il Partito Comunista Italiano abbandonava sé stesso, la Chiesa Cattolica proteggeva sé stessa, cambiando poco e niente, nella convinzione che i passi debbano essere compiuti con ragione e consapevolezza. Hanno faticato ad ammettere i propri torti, hanno continuato nell’opera di condizionamento della politica, soprattutto quella italiana. Hanno mantenuto i capisaldi di una cultura millenaria, anche in campo educativo. Hanno mantenuto i capisaldi sbagliati, ma anche quelli giusti. 

L’episodio che sto per raccontare parla dei principi, che iniziano dalle piccole cose. Nella scuola delle suore dove lavoro, la regola vuole che il docente dell’ultima ora debba accompagnare i ragazzini delle scuole medie fino all’uscita della scuola. Io faccio lezione a tutti gli alunni delle tre sezioni di scuola media, che hanno scelto tedesco, una parte di loro, alle 13, deve andare autonomamente alla mensa, mentre due, sotto le mie cure, devono uscire. Usciamo dall’auletta tetra di tedesco e ci avviciniamo alle scale. Davanti alle scale non c’è la suora preside che dirige il traffico, è in viaggio. Non vedendo altre classi avvicinarsi, decido di impartire loro disposizione di scendere. Dico loro di scendere ordinatamente, occupando indifferentemente un lato della scala per non ingombrare il passaggio. Ad un certo punto un urlo squarcia il cielo. Una suora piccolo e grassa grida con voce chioccia, tenete la destra. Io sobbalzo per l’urlo, ho lo sguardo stupito. I ragazzini sono terrorizzati, si mettono subito sul lato destro. 

é un episodio piccolo, ma è un episodio che parla di punti fermi e di limiti, di paletti. Per me significa qualcosa. Mi sono sentito un po’ più protetto. Speriamo.