storia inventata

Quadri, storia mezza vera e mezza inventata.

Pensiamo a dei quadri: c’è un uomo di circa 40 anni che viene trascinato in mutande su una barella al pronto soccorso. è svenuto poco prima. è solo un po’ confuso, non fa uso di droghe. Il personale di soccorso è frettoloso, un po’ rude. è febbraio e il personale di soccorso non gli da il tempo di coprirsi , non sta particolarmente male, ha solo una ferita alla testa. Lui urla, ho freddo. Lo portano sull’ambulanza e gli mettono una coperta. Quell’uomo è un insegnante, conduce una vita normale, Potrebbe essere tutti, potremmo essere noi. Non ha un nome preciso. Pensate a voi, pensate a cosa vuol dire soccorrere. Pensate a come vi sentireste. Il quadro va in dissolvenza e ne vediamo un altro. C’è un uomo di 40 anni in macchina su una strada provinciale, solo in una giornata fredda. Il termometro segna meno sei gradi, mentre una signora cicciottella sta aspettando l’autobus. Ci sono tir, qualche automobile, poca gente per strada. è sabato. Sono le 7 e 30 della mattina e siamo nella bassa padana. C’è un bar edicola a destra, poche case a destra e a sinistra. C’è l’edificio delle scuole elementari abbandonato, mentre nelle vie laterali ci sono delle villette a schiera. La nebbia si abbassa a poco a poco sulla pianura. L’uomo dentro l’automobile ha un po’ paura, quando gira a destra dalla statale per raggiungere lo scuola di Culonia. La strada è circondata dal fosso e c’è appena lo spazio per l’automobile di quell’uomo. Va piano e ascolta la musica, ascolta i cantautori, De Gregori, Guccini, etc. Entra nel paese della basse, via delle morte, via del cimitero vecchio, via del cimitero nuovo e via del cimitero seminuovo. C’è un bar, con poche persone. C’è una trattoria con cucina tipica, si mangia benissimo, specialmente il castrato. Gira per via del cimitero vecchio e arriva in via della morte. C’è la scuola di Culonia, ci sono le tapparelle scrostate, c’è l’erba non tagliata. Ci sono gradini rotti. C’è una bidella che sta dormendo. Ha aperto la porta della scuola, ha appena fatto un dritto, significa che è andata in discoteca sulla riviera romagnola e non ha dormito neanche un po’. Si è calata qualche pasta di ecstasy. Ha richiuso la porta. Il primo bambino arriva, accompagnato dal nonno. Il bambino è robusto, anzi grasso. Dovrebbe passare dalla porta per gli alunni, sulla strada laterale, ma il nonno vuole fare presto. E anche al bimbo non va di passare dalla porta degli alunni. Toc, toc, toc, perché non apre. Non voglio stare fuori, non voglio stare fuori, mi devo sedere, grida il bambino. Insomma, il mio povero bambino si deve sedere, aggiunge il nonno. La bidella apre gli occhi, che cosa succede, che cosa succede, si chiede. La sua vista è annebbiata, ha le allucinazioni. Vede un uomo grande grande, che cresce sempre di più, gli si accende un occhio, un altro occhio, un occhio sullo stomaco, rosso rosso. Toc toc, toc toc, continua il bambino. L’uomo grande grande diventa un po’ più piccolo, mentre i capelli verdi diventano biondo scuri. Il professore ha parcheggiato, è andato nella pasticceria vicino alla scuola di Culonia a fare la seconda colazione. La bidella drogata si rende conto che quel mostro viola con la bava è solo un bambino un po’ ciccione e va ad aprire la porta, biascicando frasi incomprensibili. Il professore esce dal bar e trema dal freddo. Il professore non sente quasi mai il freddo, ma adesso ci sono meno sei gradi, è normale sentirlo.

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e se fosse – tre

era troppo tempo che il nostro protagonista non insegnava. quasi non si ricordava più di avere presentato domanda per l’inserimento nelle graduatorie di terza fascia, si chiamano così le graduatorie degli insegnanti più sfigati, più precari, per usare un eufemismo. quando entrò nella scuola che l’aveva chiamato, si accorse di essere nel posto giusto. aveva fame di sguardi, di voci, di suoni, aveva fame di quegli sguardi, di quelle parole, di quei suoni. riprese il proprio mestiere, quello che sognava di intraprendere fin da bambino e che aveva svolto fino alla disgrazia. era carico ed esperto, come un ballerino che sa a memoria i passi di una danza e che deve preoccuparsi solo dell’interpretazione. la giornata durò a lungo, lui fu soddisfatto. non volle pensarci durante il viaggio in macchina verso casa. solo musica, solo ed esclusivamente musica, la sua musica, la sua playlist di spotify. sia benedetto chi lo ha inventato.

al pomeriggio si mise a lavorare con grande spinta, fino a che  non arrivò il momento di andare in palestra. tornò a casa e scoprì un’atroce verità: si era scordato di ordinare il cibo dal sito di eataly. adorava eataly, da quando aveva smesso di frequentare il centro commerciale tutti i giorni. visitava il negozio in centro città e ordinava dal sito. in casa non aveva quasi nulla da mangiare, pioveva di brutto ed era stanco morto. fissò per un po’ di tempo il monitor del computer con aria sconsolata. driin, di nuovo il campanello, che palle, pensò. si alzò stancamente dalla scrivania e andò alla porta. chi è? sono Marco, oddio di nuovo il ragazzino di ieri sera. mica ci sono i tuoni, pensò. aprì la porta, il ragazzino era in pigiama, con i capelli neri lisci sciolti, i piedi scalzi. come la sera precedente. ciao, vuoi venire a mangiare da me. il nostro protagonista gli chiese, c’è anche tua madre in casa. era in imbarazzo, perché non aveva nemmeno una bottiglia di vino da portare. no, sono solo, mia mamma è a lavorare, mi ha detto di invitarti, visto che sei stato così gentile ieri sera. ok, vengo, rispose, aspetta un attimo, prese le chiavi di casa, un barattolo di crema di nocciole artigianale molto meglio della Nutella, si infilò le scarpe e seguì il ragazzino, che aveva fatto un gran sorriso, dopo che il vicino di casa aveva detto sì all’invito. entrarono nella bella casa, si entrava direttamente in un ampio salone. la tavola era apparecchiata per due, molto ordinatamente. il nostro protagonista si andò a lavare le mani e ritornò in sala. ti piace il pesce, gli chiese il ragazzino con aria speranzosa, spalancando gli occhi neri grandi e belli. sì, rispose l’uomo, mi piace. ti ho preparato una tartare di tonno rosso. il nostro protagonista replicò un po’ stupito, tu hai preparato la tartare. sì, mi ha insegnato la mia mamma. andò in cucina e gliela servì. era squisita, il nostro protagonista gli fece i complimenti. quel ragazzino con il pigiama bianco con gli orsacchiotti sembrava uno chef. pensò che la madre lo segregasse in cucina e lo costringesse a cucinare  per ore e rimase un po’ perplesso. cucini spesso, gli chiese, qualche volta, la domenica, rispose il ragazzino tranquillamente. vado in cucina a controllare il risotto. risotto, fece sempre stupito il nostro uomo. ho preparato un risotto ai frutti di mare. addirittura, tutto questo per me, sorrise il nostro protagonista. era il minimo che potessi fare. quando servì in tavola il risotto rosso ai frutti di mare, il nostro protagonista si accorse che i frutti di mare erano sminuzzati. il risotto ai frutti di mare era un trionfo di sapori pazzesco, leggero e delicato. sarebbe sembrato quasi un tentativo di seduzione, se non l’avesse cucinato un bambino, un bambino vero, non una di quelle patetiche figurette da talent o reality show. lo guardò negli occhi e gli disse, complimenti. il bambino arrossì e sorrise, grazie. Mangiarono tutti e due quasi in silenzio, pensando solo a quello che stavano mangiando. Non è finita qui, disse Marco sorridendo, ci sono anche le cappe sante. Ma dai, disse l’uomo, sempre più sorpreso. erano deliziose, cucinate come solo pochi avrebbero saputo fare. Stavolta non mi freghi, disse con aria trionfante il nostro protagonista, il dolce l’ho portato io. il bambino rise,  per questa volta,… tirò fuori il barattolo di crema di nocciole artigianale. e come quello che prende la mia mamma, quello di eataly. ma dai, anche lei compra le cose lì. sì, vuole solo il cibo di eataly, da quando il suo negoziante preferito, si chiamava Ettore, si è ritirato a Cuba. il bambino andò in cucina, prese quattro rosette di pane belle grandi e le portò in tavola. Le tagliò, le farcì smodatamente di crema di nocciola e le porse al nostro protagonista. era vero, era molto meglio della nutella quella crema di nocciole. anche il nostro protagonista si sentì bambino, forse più bambino del bambino con cui era in quel momento. vuoi che ti aiuti a lavare i piatti, non era un asso, ma ci provava. no, non c’è bisogno, pulisco un po’ le pentole, poi ci pensa la lavastoviglie. vuoi il caffè, gli chiese mentre stava pulendo le pentole. no grazie, disse il nostro uomo gentilmente. si guardò attorno. vide dei quadri alle pareti e delle foto. In una c’era il ragazzino in pantaloncini e maglietta, con i capelli legati e le scarpette da danza bianche, assieme ad una decina di bimbe in body rosa. erano alla sbarra. va pure a danza, pensò, ma quando vive. ci sono altri bimbi in questo palazzo, chiese il nostro protagonista. sì, c’è la mia amica Teresa, del primo piano, giochiamo spesso, viene a danza con me, c’è anche Edoardo, del palazzo di fronte, è in classe con me e giochiamo a calcio assieme. pure a calcio, mamma mia, ma questo ha più impegni di un adulto, ma quando fa i compiti. di fianco alla foto di danza c’era una foto del bimbo in tenuta da calcio, assieme ad una bella donna  dagli occhi azzurri, la madre. proprio quella mattina gli sembrava di averla vista, per qualche secondo a scuola, ma era di sicuro una sua impressione. incominciò a tuonare.

mia madre torna tardi dal ristorante in cui lavora, posso dormire con te, gli chiese Marco. Dai vieni, non scordarti di spegnere il gas e la luce.

tramonto sul Danubio (e se fosse -due)

dentro questa foto c’è molto, c’è una ricerca di calma, c’è una ricerca di senso. dentro questa foto c’è una ricerca di significato. il nostro protagonista guardava una foto come questa quando il ragazzino stava guadagnando l’ingresso della camera da letto. sembrava che avesse frequentato casa sua. si mise a letto e sollevò la coperta, quando disse al nostro protagonista, puoi stenderti qua di fianco a me e abbracciarmi. ho paura dei tuoni e mio papà lo fa sempre. ma io non sono tuo padre, rispose il nostro protagonista, il cui viso aveva assunto una colorazione rosso fuoco. ti spengo la luce. buona notte, mi dici come ti chiami, per favore, chiese al ragazzino. Marco, rispose il ragazzino mentre si stava addormentando. se ne andò nel suo studio, ma non riuscì più a lavorare e si mise a cazzeggiare su facebook. dopo un po’ si sentì in colpa, per quel ragazzino lasciato solo nella sua camera da letto, prese un orsacchiotto di peluche che aveva da quando era bambino e lo mise accanto a Marco. Marco era fin troppo bello, sembrava uno di quei bambini della pubblicità. era la prima volta che andava in casa sua e dormiva nel suo letto. prima di quel momento il nostro protagonista non sapeva neanche il nome di quel ragazzino e ricordava vagamente la fisionomia. sarà stata l’una di notte quando il nostro protagonista andò a coricarsi, di fianco a quel bambino. era un po’ imbarazzato, infatti dormì poco e con un sonno agitato. il giorno successivo si doveva alzare presto, avrebbe dovuto iniziare un incarico a scuola come prof. sua madre gli aveva sempre detto di trovarsi un lavoro serio, anche se quello di scrittore gli rendeva abbastanza per vivere meglio. ma come avrebbe fatto con quel ragazzino? la sveglia suonò e il professore andò, con gli occhi cisposi e sbadigliando, in cucina. Il bambino era sveglio e pimpante e stava preparando la colazione. aveva messo su il bollitore del te e apriva, con fare esperto, gli armadietti della cucina del nostro protagonista. Il bambino gli sorrise, fuori aveva smesso di piovere. il nostro protagonista pensava di stare sognando. Buongiorno, gli disse il bambino allegramente, ti ho preparato la colazione, contento? sì, grazie, sei molto gentile. Mangiarono assieme. che scuola frequenti, gli chiese il nostro protagonista. la scuola qua vicino,rispose il ragazzino faccio la quinta elementare. tu sei un professore, gli chiese. come fai a saperlo, replicò il nostro protagonista con aria sempre più perplessa. Ho visto i libri di scuola. che domanda stupida ho fatto, pensò il nostro protagonista, mentre il ragazzino si passava una mano sui capelli che gli erano andati sulla fronte, per tirarseli indietro. aveva dei bei capelli nerissimi e lucenti, gli occhi neri grandi e la bocca con le labbra carnose, le guance piene e il  viso rotondo. Ti volevo ringraziare, rincominciò Marco, stanotte ho dormito benissimo, non ho avuto paura dei tuoni. posso tornare da te, se c’è il temporale, gli chiese spalancando gli occhioni. Il nostro protagonista rispose, se la tua mamma te lo permette sì. Grazie per avermi preparato la colazione, sei stato molto gentile. di nulla, non c’è di che. adesso ti saluto, devo andare a scuola, gli si avvicinò, gli diede un bacio sulla guancia e se ne andò. il nostro protagonista andò a lavarsi, si vestì e uscì sul pianerottolo. rivide Marco con la madre, presumibilmente, una giovane signora con i capelli castani, raccolti in uno chignon. buongiorno e grazie, gli disse la madre. non c’è di che, signora, rispose il nostro protagonista, cercando di guardare il nome scritto di fianco al campanello di casa. Mi chiamo Rossi, non ci siamo mai presentati. si diedero la mano.  Il bambino aveva un giubbotto di pelle tipo bomber e i capelli raccolti in un coda, sotto una cuffia. guardò la propria madre sorridendo e le chiese, posso tornare da lui se c’è il temporale, posso vero. La madre rispose, se il prof è d’accordo. Ma come fa a sapere che sono prof, pensò il protagonista. di nuovo con le domande stupide, pensò il protagonista, glielo avrà detto il bambino. certo che sono d’accordo, non c’è problema, rispose il nostro protagonista. anzi, il suo bambino, non era certo che si chiamasse Marco o Edoardo, è stato molto gentile, mi ha anche preparato la colazione. Lo fa sempre, è fatto così, sorrise la madre. voleva intendere che il bambino aveva l’abitudine di infilarsi nelle case di sconosciuti per dormire nel loro letto, quando c’era il temporale, e preparare al mattino la colazione? che strano bambino. meno male che non gli aveva preso l’orsacchiotto, il nostro protagonista ci teneva, era un ricordo di infanzia. Marco andò a scuola con la mamma e il nostro protagonista andò a scuola un po’ perplesso.Tramonto sul Danubio

e se fosse

se decidessi di raccontare una storia non del tutto vera, se decidessi di inventare qualcosa? se decidessi, per una volta, di inventare tutto? ho sempre raccontato la verità. oggi mento. via alla storia inventata, che come finisce non si sa.

c’è un uomo solo, solo solo, che vive da solo in un palazzo carino, non troppo bello, ma neanche troppo brutto. è un uomo bello, ma dovrebbe curarsi un po’ di più forse. sono le 10 di sera di una serata di autunno piovosa, c’è il temporale. si sentono tuoni e lampi. c’è un uomo che sta scrivendo un romanzo, non ha troppa ispirazione e sta quasi per andare a letto. la televisione è spenta, come quasi sempre accade. a volte l’uomo che fa lo scrittore si domanda se non sia il caso di vendere quella televisione, che lui guarda così poco e distrattamente. guarda l’orologio.

suonano alla porta, un suono insistito. si prende paura, non conosce nessuno nel condominio, non ama socializzare, è abbastanza timido. oppure gli altri condomini gli stanno molto sulle balle, perché sono ignoranti e fascisti. non ha familiari, o meglio, se ne frega di loro, cordialmente ricambiato. suonano alla porta e lui decide di andare a chiedere chi è, ma ha un po’ di paura. e se fosse un malitenzionato? in quel quartiere succedeva abbastanza poco. era curioso. fa pochi passi dalla sala all’ingresso. chi è? sono edo, risponde una voce di bambino. l’uomo apre la porta e si trova di fronte un bambino in pigiama bianco, con i capelli lunghi neri sulle spalle, ben pettinati, gli occhi neri grandi. avrà avuto circa 10 anni . ciao, sono edo, il figlio della nuova vicina di casa. ho paura del temporale, la mamma mi ha detto di suonare da te, perché ha detto che hai un’aria rassicurante. posso dormire con te? il nostro protagonista rimase un bel po’ stupito. lui aveva visto qualche volta la madre del ragazzino, una bella donna bionda e riccia, ma non le aveva mai parlato e aveva visto il ragazzino un paio di volte, alla mattina presto, quando stava andando a scuola e alla sera, con una borsa sportiva. è in casa la tua mamma, gli disse l’uomo. no, è uscita, lavora fino all’una, fa la cameriera. vieni, disse al bambino con aria perplessa. lo fece entrare in casa, ma avrebbe voluto scomparire.