Scuola pubblica

Qualcosa che continua

Nonostante tutto, nonostante l’eterno vagare per la provincia, nonostante conoscenze e rapporti che nascono, si consolidano e si chiudono a giugno, almeno dal punto di vista didattico. Lei è una ragazzona grande e grossa, lo era già in prima, quando è stata mia alunna. Mi ricordo che aveva amici, all’epoca. Ha appena finito la quarta.

Mi scrive su instagram, chiedendo di potermi dare del tu. Mi racconta che i suoi si stanno separando e che sta facendo uno stage, in una gelateria. Mi invita ad andarla a trovare. Accetto e propongo una data, sabato scorso nella tarda mattinata. Lei accetta. Io non tengo conto del fatto che è sabato, che la gente va al mare, anche nella tarda mattinata. C’è una gran coda in autostrada. Il paese dove si trova la gelateria è a 40 chilometri da casa, proprio dove c’è l’istituto alberghiero. Mi faccio delle domande sulla mia sprovvedutezza, mentre sono in viaggio per quel paese, mentre osservo le biciclette agganciate sul tettuccio delle macchine e le valige, che già raccontano di vacanze lunghe che stanno per iniziare, non più solo di weekend. Vedo anche diverse automobili di turisti tedeschi, mi vengono in mente gli anni ’80.

Sono convinto che sia una buona cosa andare da lei. Esco dall’autostrada, inforco una provinciale deserta ed entro nel paese, dove hanno sede la gelateria e l’alberghiero. è deserto, tranne qualche signore anziano. La gelateria, nella quale quella mia ex alunna sta facendo lo stage, si trova a metà tra quella scuola di cielle, dove avevo avuto il mio primo incarico un po’ lungo, dove avevo conosciuto V., che avrebbe portato via il mio cuore, almeno per un po’, anche se non sono stato capace di darle ciò di cui aveva bisogno, e l’istituto alberghiero, un luogo accogliente e selvatico, nel quale sono stato bene due anni. In quella gelateria portavo le mie alunne che non facevano religione, qualche anno fa. Si mangia bene il gelato, ha pochi tavoli, dentro e fuori. è in mezzo ad una rotonda, vicino ad una grande fontana. Poco lontano c’è il grande spiazzo dove parcheggiavo la macchina, nell’anno in cui lavoravo nella scuola ciellina. è lo spiazzo nel quale parlavo con V, nel quale vivevamo il nostro amore, senza che io, forse, me ne fossi reso conto. Parlavamo e non mi rendevo conto del tempo che passava. E ci amavamo.

Di fianco allo spiazzo c’è un grande parco, che costeggia il fiume e arriva fino alle terme. Di fianco al parco c’è un viale, bello, ben curato, che arriva fino alle terme. Ed oltre.

Parcheggio e leggo messaggi frenetici e affettuosi di quella ragazza. Mi stupisco anche, perché é una ragazza timida. In una nota vocale mi dice: “Ho combinato un casino, qua in gelateria”. Un po’ sorrido e un po’ scuoto la testa, perché lei è un donnone, grande e grossa, un po’ scomposta, goffa e buona. Passo davanti ad un bar, con davanti qualche signore anziano seduto, che si gode pigramente l’ombra, sotto il tendone e il berretto, dietro gli occhiali da sole.

Entro in gelateria e lei mi corre incontro. Non dice quasi nulla e mi stringe, mi abbraccia stretto stretto. Nella gelateria c’è anche una ragazza, che è la titolare, che si presenta, cordiale e sorridente. Ci salutiamo, la mia ex alunna è timida, molto più di come era stata nei messaggi vocali e qui penso al fatto che i cellulari ci cambiano, probabilmente, così come il computer. Prendo un gelato e lei viene mandata a prendere il latte, ma non dalla mamma. La ragazza proprietaria della gelateria mi racconta, a voce bassa, che la mia alunna è bravina, anche se molto distratta. Aveva appena rovesciato per terra 60 litri di ingredienti, era quello il casino che aveva combinato. “è scollegata mentalmente in questi giorni”, mi dice, “i suoi si stanno separando, io le ho detto di chiedere, prima di fare casini. L’ho detto anche al vicepreside. Non possiamo rimetterci 60 litri al giorno” Scuote la testa in modo malinconico. “è bravina, quando vuole” Mi dice anche: “Ha amici quella ragazza? Mi sembra molto sola”. Rimango stupito, perché quando era stata mia alunna, gli amici li aveva. La ragazzona torna.

Prima sorride, poi mi racconta che i suoi si stanno separando. E piange. Mi dispiace molto, cerco di dire delle parole non troppo stupide. La titolare mi offre il gelato. La ragazzona buona, che sapeva calmare le ire di un ragazzo disabile grave, quando ero il suo prof. mi abbraccia.

Esco dalla gelateria. Fa caldo. In paese non c’è quasi nessuno, i colori sono vividi e un po’ violenti per gli occhi. L’autostrada che va verso la città e vuota. Sono un po’ triste, perché l’ho vista piangere, però forse ho fatto qualcosa di buono, qualcosa che parla di storie che continuano, che mi fa piacere e mi spaventa un po’, perché mi ricorda che ho una grande responsabilità, che persone come lei si aspettano sempre tanto da me, che mi considerano un punto di riferimento, anche se io non credo di essere così importante, anche se mi sento piccolo, anche se non so se merito tutta questa considerazione positiva. Mi sento sempre un ragazzino, alle volte un po’ cazzone, penso che potrei essere una sorta di fratello maggiore un po’ scombinato per loro, al massimo uno zio stravagante, ma mi accorgo che per molti ragazzi non è così, che mi vedono come qualcuno di fondamentale, a volte come un secondo padre, come mi aveva detto la ragazzona buona. E io provo a fare del mio meglio, con i piedi ben piantati al suolo e senza portare a spasso il mio monumento.

a presto.

M.

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Prof e istruttore di zumba?

Forse sono esagerato, anzi, lo sono di sicuro. La scuola è un vestito che mi sta tanto bene, forse troppo. A scuola sono io , la scuola mi da vita, anche se io ho tanti altri interessi.

Un brutto giorno di giugno ricevo la notizia che un alunno di una mia classe è positivo al covid e io devo fare lezione da casa, ai miei alunni presenti in classe. Ci rimango malissimo, la mia giornata è rovinata. Ma come, sei a fine scuola, ci sei sempre andato, tranne i periodi di Dad, addirittura fai un dramma per qualche giorno a casa, fino al tampone? Sì, mi sento triste e fuori posto, anche se so che vedrò gli alunni, sia pure in video. Arriva il giovedì, è il giorno in cui ci deve essere la conversatrice di madre lingua in classe.

La scuola sta per finire e il programma è stato abbondantemente svolto. Si festeggia un po’. Io sono frastornato e intontito, perché vorrei essere con quegli alunni, con quei meravigliosi ragazzi, a cui voglio un mondo di bene. Gliel’ho anche detto. Incomincia il collegamento Meet e la collega di conversazione ricorda ai ragazzi che io sono istruttore di zumba. Dice: “Perché non ci dai una dimostrazione?” Sono un po’ rimbambito e non realizzo subito. Mi collego al sito di zumba e condivido la musica. Chiedo, con non troppa convinzione, “Sentite la musica?”. Mi dicono di sì, mi allontano e sposto un po’ il tavolo, mi tolgo la cravatta, dopo aver scelto un merengue. Sono in pantaloni lunghi e camicia, non esattamente una tenuta da zumba, La tristezza e la malinconia lasciano il posto all’energia, all’entusiasmo. Vedo i ragazzi, dall’altra parte dello schermo, scatenarsi dall’altra parte dello schermi assieme alla conversatrice, che gira un video con il cellulare. I tavoli sono stati spostati in un angolo. Il calore sale, dentro e fuori, il merengue impazza. Force of Happiness, forza della felicità è uno degli slogan di zumba. è vero. Mi sono rigenerato, si sono rigenerati. Finisce il brano, sono felice e sudato fradicio, sono felicissimi, forse sono anche sudati. La scuola è anche questa. Rimarrà nella loro anima, rimarrà nella mia, per sempre.

Data di scadenza

Quasi tutti gli anni la nostra data di scadenza è il 30 giugno, la data in cui termina il nostro contratto, il nostro contratto da precari di terza fascia, che è diventata seconda. Sembrava la terza classe sui treni, sa di passato e di morto. Forse noi siamo un po’ passati, noi insegnanti, perché parliamo di cultura, perché parliamo di qualcosa che dura, qualcosa che non muore in 24 ore, quasi come se fosse una storia di instagram. Si impara con il tempo, si impara studiando a casa, si impara attraverso la parola, attraverso l’esempio che diamo, attraverso la nostra personalità. La seconda fascia è come la seconda visione dei film, sa un po’ di sfigato, di cinema parrocchiale. Quest’anno la mia data di scadenza è il 31 agosto, prendo lo stipendio per due mesi in più, ma non vedo i miei fanciulli da quasi un mese. Non li avrò più come alunni, al 99%. Quando un prof scade va buttato via, il suo lavoro si interrompe e, quasi sicuramente, non ricomincia più con gli stessi alunni. Cambiano le facce, cambiano i caratteri, cambiano i luoghi, che diventano vicini o più lontani, cambiano i colleghi, simpatici oppure no. Cambiano tutti gli anni, tranne uno, all’alberghiero, tranne quando ho insegnato in una scuola di frati, dove ho insegnato per quasi due anni e mezzo, ma ero senza contratto e ho perso 24 punti. Se fossi solo io, se fossimo in pochi ad essere precari, non sarebbe un problema politico. La precarietà è stata istituzionalizzata, negli ultimi 20 anni, da governi di cosiddetta sinistra e di destra. L’istruzione è stata sempre più messa all’angolo, ridicolizzata da politicanti in malafede e privi di contatto con la realtà. I politicanti del cosiddetto centrosinistra hanno iniziato a calpestare la Costituzione, finanziando le scuole private, hanno calpestato la scuola.

A fine aprile, al più tardi a maggio di ogni anno, ti chiedono speranzosi i tuoi alunni e i colleghi: “Rimane il prossimo anno?” Ci tengono e tu racconti loro che non è sicuro. E ogni volta si ripete la stessa storia, ogni volta ricominci da un’altra parte, persuaso del fatto che quello che lasci di positivo rimarrà.

Domenica ha telefonato la persona che prenderà il mio posto a settembre: è giovane e tronfio di orgoglio per essere di ruolo. è difficile essere di ruolo, probabilmente si sente migliore di me. Gli scappa da ridere mentre dice: “Mi dispiace, perché ti porto via il posto.” Gli ride anche il culo. Gli rispondo che conosco benissimo il sistema, che non mi stupisce non riavere più il mio posto. è guerra tra poveri. Per certi aspetti, la situazione è perfino migliorata. I primi tempi in cui insegnavo alle scuole pubbliche, le graduatorie si aggiornavano a novembre/dicembre, Al venerdì uscivi da loro prof, dal lunedì successivo ne avevano un altro, scadevi prima.

Tutto bene

Tutto bene, tutto bene per davvero. La strada prosegue, è giusto che prosegua.

Fai un colloquio on line un venerdì di aprile e ricevi questi riscontri. “Noi genitori speriamo che lei rimanga, perché ha saputo costruire una grande empatia con gli alunni”

Non devo mai scordarlo, non devo mai allontanare dalla mente e dall’anima queste perle. Mi servono e mi serviranno, per quando arriverà l’inverno, l’inverno dentro. Mi servono comunque, per rendermi conto che quello che faccio un senso. Mi servono, per sorridere, mi servono per essere felice e darmi la felicità che merito.

VA BENE, MA PROPRIO BENISSIMO

Finisce lo stage online con i miei alunni e la prof tedesca mi saluta dicendomi che loro sono bravissimi, motivati, che l’hanno resa entusiasta, che meritano il massimo dei voti, che l’hanno molto sorpresa positivamente, per il loro livello di tedesco ed educazione. Mi dice che tutto questo è un mio grande merito e mi dice anche che sono attraente e chic, lodandomi anche per il mio completo che per la mia sciarpa, rigorosamente coordinati. come tanti altri italiani, che hanno stile, come dice lei.

Continua, è giusto che continui.

è giusto che continui questa storia, questa storia segnata da decine di chilometri, segnata da occhiaia e sbadigli profondi, da passi lenti e da giorni che non vogliono incominciare. è una storia segnata da freddini mattutini e da umidità un po’ fastidiose. Ma è una storia che deve andare avanti, anche oltre le mie aspettative, anche oltre i miei dubbi, anche oltre le mie insicurezze. La facciamo continuare, ripensando alla piccola storia di sorrisi e carroattrezzi, di gioia e momenti in cui non penso a nient’altro, alle piccole afflizioni e alle rabbie medie, che rimangono da una parte, lontani e nascosti.

Raccontiamo anche quest’altro capitolo. I miei alunni stanno frequentando uno stage on line di tedesco e l’insegnante fa i complimenti a me e a loro per il loro livello di tedesco e l’educazione. Li riferisco alla collega che si occupa degli stage la quale mi risponde che sa benissimo che è merito mio e che faccio sentire i ragazzi a loro agio e spera che io rimanga con loro ancora per tanto tempo.

Sarebbe bello continuare, anche se la scuola è lontana, anche se mi devo alzare alle 6, fino a che il mio fisico me lo consentirà, spero che me lo consenta per tanto tempo. Sento meno la fatica, quando mi diverto. E mi diverto.

Teoria e pratica

Non sono capace di parlare di teoria della scuola, ammesso che possa servire a qualcosa, ammesso che esista. Mi fa abbastanza ribrezzo il burocratese, quel gergo scuolese, del cui uso compulsivo si vantano alcuni colleghi. Mi piace parlare di pratica, mi piace sporcarmi le mani, cercare soluzioni.

I vari DPCM che si susseguono sulla pandemia hanno sancito il diritto dei BES, cioè di coloro i quali hanno disturbi dell’apprendimento come la dislessia, così come delle persone disabili a frequentare la scuola in presenza. In una delle mie classi i genitori di una ragazza hanno fatto questa richiesta, seguiti da quelli di altre compagne, non in condizioni di dislessia. Non mi ha fatto piacere. A scuola la connessione internet funziona male, malissimo a volte. Questa settimana ci devo andare per due volte, dalla prossima per tre.

Martedì mi alzo prima dell’alba e raggiungo la scuola, molto lontano, a 50 km da casa. Fa freddo, ma soprattutto fa tanto tanto incazzare. Arrivo nella prima aula vuota e faccio lezione solo ai ragazzi a casa, la connessione va discretamente. Alla seconda ora succede il fattaccio, la connessione fa il proprio comodo e i ragazzi di prima perdono metà lezione, perdono il loro diritto allo studio, arrivano la terza e la quarta ora e devo andare nella classe dove ci sono le 4 ragazze. Faccio una battuta con loro, sono contento di vederle. “Mi sembra strano, vedervi a tre dimensioni, a grandezza naturale” Loro ridono. Mi collego con i loro 24 compagni a casa e la connessione va malissimo, la loro voce e la mia diventa metallica, le nostre immagini appaiono e scompaiono spesso.

Per garantire il diritto allo studio in presenza di 4 alunne, lo si è negato, parzialmente, a diecine di loro compagni. Quanto sono distanti la teoria e la pratica.

Succede in tutto l’istituto, perché la connessione non è abbastanza potente, succede nel profondo nord, in un paesone, in un liceo, dove ci sono, molto spesso, famiglie garantite, con pochi problemi a collegarsi da casa. E intanto si continuano a finanziare le scuole private, invece di destinare quei soldi alle pubbliche.

Ha un bellissimo modo di fare


Il liceo è una linea diritta. è stato il mio mondo, lì sono cresciuto, lì ero un ragazzino troppo magro, con un papillon un po’ grande e un po’ ridicolo in una ripresa televisiva. Ero entusiasta e appassionato, straappassionato. Ero timido e un po’ goffo. Ho trascorso 5 anni nel liceo dell’élite della mia città, io che venivo dalla periferia e ci abito ancora. Sono periferico e centrale, cittadino del mondo, ora come allora.

Quando seppi che sarei dovuto andare all’alberghiero, all’inizio non ero stato contento. Avevo paura che quel mondo sarebbe stato troppo lontano da me. Mi sbagliavo, per fortuna. è una linea frastagliata, zeppa di contraddizioni, a volte stancante, fatta di voci alte e risate, a volte un po’ sguaiate, odori buoni e odori forti, umori corporali e cibo guasto. è fatto di foto allegre con i ragazzi, di concetti appresi lentamente, a volte anche in modo più veloce. è fatto di solenni incazzature e di dimostrazioni di affetto viscerali e sincere verso il prof, è fatto di risultati, ottenuti con l’impegno e la pazienza.

Sono stato bene all’alberghiero, ma sono tornato al liceo, non c’era più posto per me lì, hanno nominato un’insegnante di ruolo. Sono stato un po’ dispiaciuto. Mi hanno dato le classi dalla prima alla quinta: ci sono ragazzine e ragazzini imberbi, ma ci sono anche ragazzi/e e donne/uomini. I maschi sono la minoranza, una netta minoranza, era così, anche quando io ero alunno. Sono pettinati bene, tutti o quasi. Sono ragazzi della quieta borghesia di provincia, né poveri, né ricchi. Hanno qualche tragedia, qualche problema, ma niente di tragico, niente di terribile. Sono vestiti bene, tutti si lavano regolarmente.

Da qualche mese c’è la didattica a distanza e anche i ricevimenti sono a distanza. La madre di una ragazzina di prima mi dice: a volte sono a casa e mi capita di ascoltare le sue lezioni, che sono molto interessanti. E poi, lei ha un bellissimo modo di fare con le ragazze, che sono molto cariche.

Veramente ho un bellissimo modo di fare anche con i ragazzi, ma fa lo stesso.

Vittorie

You Want it Darker, testo

If you are the dealer, I’m out of the game
If you are the healer, it means I’m broken and lame
If thine is the glory then mine must be the shame
You want it darker
We kill the flame

Magnified, sanctified, be thy holy name
Vilified, crucified, in the human frame
A million candles burning for the help that never came
You want it darker

Hineni, hineni
I’m ready, my lord

There’s a lover in the story
But the story’s still the same
There’s a lullaby for suffering
And a paradox to blame
But it’s written in the scriptures
And it’s not some idle claim
You want it darker
We kill the flame

They’re lining up the prisoners
And the guards are taking aim
I struggled with some demons
They were middle class and tame
I didn’t know I had permission to murder and to maim
You want it darker

Hineni, hineni
I’m ready, my lord

Magnified, sanctified, be thy holy name
Vilified, crucified, in the human frame
A million candles burning for the love that never came
You want it darker
We kill the flame

If you are the dealer, let me out of the game
If you are the healer, I’m broken and lame
If thine is the glory, mine must be the shame
You want it darker

Hineni, hineni
Hineni, hineni
I’m ready, my lord

Hineni
Hineni, hineni
Hineni

Ho fatto molti viaggi in autostrada. Non so nemmeno se siano molti, non faccio il camionista. Ho fatto 100 chilometri per 5 giorni alla settimana. Ricordo il suono del telefono, che interrompe la musica che sto ascoltando. Prima di notare che è lui, alzo gli occhi al cielo, immaginando uno scocciatore. Sento la sua voce, alta ed entusiasta. Mi tornano alla mente i suoi capelli folti, ricci e ribelli. L’ho conosciuto all’alberghiero. Il mio rapporto con l’alberghiero è complesso. Amo il cibo, amo il vino e quello che comunica. Ho sentito dei sapori importanti e sensati, accanto ad altri sconclusionati e, a volte, poco gustosi, per usare un eufemismo. Ho conosciuto colleghi positivi, in particolare una mia collega di sostegno, cuoca eccezionale, per vocazione e predisposizione, la quale potrebbe aprire un ristorante di successo domattina. I ragazzi che vanno all’alberghiero sono un mondo pieno di colori e contraddizioni. Ci sono quelli che vogliono diventare chef e/o maitre, ci sono quelli che vanno all’alberghiero, per disperazione e per esclusione. Sono diversi da quelli del liceo, anche se qualcuno somiglia loro. Tante volte hanno poca di studiare, o meglio, hanno voglia un giorno sì e due giorni no. Io sono stato un liceale, amante dello studio, mai secchione. Ho frequentato il liceo delle élites, senza tirarmela mai, però. Qualche volta ho fatto fatica a capire chi non ama lo studio, soprattutto lo studio della letteratura e delle lingue, cercando di ascoltare e di aiutare chi aveva più difficoltà di me, mai chiudendomi nel fortino. I due anni all’alberghiero hanno rappresentato per me il confronto con un mondo diverso, un modo per contaminarmi ancora un po’, io che amo le contaminazioni oltre ogni limite.

Ma torniamo ai suoi capelli ricci e ingovernabili, che ogni tanto decide di imprigionare con un elastico, formando una specie di cactus. Quando l’avevo conosciuto, me lo ricordo incazzereccio, ombroso, con il tono nervoso e una cugina brava. L’ho visto cambiare, almeno un po’, l’ho visto cercare il dialogo sulla vita, l’ho visto cercare il cazzeggio nei tempi morti, il cazzeggio intelligente e autoironico, assieme a me e ad altri compagni, tra cui sua cugina. L’ho visto fidanzarsi con una ragazza tranquilla e posata, mentre i suoi capelli diventavano sempre più ricci, lunghi e ribelli. L’ho visto di nuovo ombroso e silente, sfinito a causa di notti tormentate da troppa internet. L’ho visto più pronto a contaminarsi. L’ho visto sempre più pronto ad usare le proprie capacità in tedesco, dimostrando, innanzitutto a se stesso, che ce la poteva fare, anche se non sempre, anche se rimane, a volte, schiavo dei propri umori e malavoglia. E impara cose, fa strada, mi presenta la sua fidanzata in un’interrogazione su Meet. Le dico che ha trovato un bravo ragazzo, che è stata fortunata, anche se, a volte, meriterebbe qualche bastonata quel fanciullo dai capelli ribelli, che quel giorni mi telefona e parliamo di tutto, senza prenderci troppo sul serio. Parliamo delle cose importanti e della sua crescita. Lui mi dice che nessuno gli aveva mai detto quelle frasi che gli stavo dicendo io, nemmeno suo padre. Mi dice che deve preparare un esercizio di tedesco complicato per la scuola, mi dice che vorrebbe lo aiutassi a prepararlo. Pronuncia una frase con tono soddisfatto e autoironico, non avrei mai detto, fino a qualche tempo fa, che avrei chiesto ad un prof di studiare con lui. Gli dico che sono felice per lui, perché sta crescendo, che è giusto così. Sono le più belle vittorie, queste.

La sera facciamo una videochiamata su whatsapp, io sono stanco morto, ma felice di dargli una mano. L’esercizio è abbastanza complicato, ma lui ce la fa. Compare sua mamma, quasi commossa, che mi ringrazia per quello che faccio, ma il premio l’ho già avuto. Ho visto una persona crescere, sono cresciuto un po’ anche io.

M. (è successo qualche mese fa, poco prima che iniziassimo a fare lezioni a distanza)

Non solo prof

Ogni tanto mi ricordo che non faccio solo il prof, anche se questo blog è un blog di scuola.

DIETRO AD OGNI DOCUMENTO, UNA STORIA. NON SOLO CLIENTI.
Sono solo, quando traduco un documento. Sono seduto davanti ad un computer e scrivo, trasferendo con le parole migliori, il senso di un testo in un’altra lingua. Spesso penso a cosa contiene quel documento, quel documento magari contiene il desiderio di una persona di vivere la propria vita in Italia, da italiano/a, dopo avervi abitato per decine d’anni. Quella persona parla italiano con accento bolognese quasi come il mio, magari. A volte non è mai stata nel paese di cui è originaria. Dietro a quel documento ci sono anni di lavoro e di impegno, per tirare su una famiglia e mandare a scuola i figli. Dentro ad un certificato di laurea tradotto in inglese o in altre lingue c’è la storia di una persona che ha tanti meriti, che non vengono riconosciuti in Italia, oppure la storia di una persona che ha deciso di fare un’esperienza altrove. Ci può essere la storia di una persona che ha deciso di comperare la propria automobile all’estero, magari perché costa meno, oppure la storia di una persona che ha deciso di far riconoscere il proprio titolo di studio in Italia. Allora non sono così solo, quando traduco un documento. Lo so che non sono solo, anche se queste presenze hanno voce udibile dall’orecchio solo quando vengono a portare la traduzione o a ritirarla. Oppure quando ti telefonano con voce felice e sollevata, perché il loro figlio ha ricevuto la cittadinanza russa, oppure perché loro sono diventati cittadini italiani o perché la loro ditta ha vinto la gara d’appalto, per la quale hai tradotto i documenti. Oppure, perché sono riusciti a registrare all’anagrafe il loro figlio nato all’estero. Ti telefonano per gli auguri di Natale o per l’anno nuovo, oppure per farti un saluto, perché non sono mai solo clienti. AUGURI DI UN SERENO 2021 A VOI E ALLE PERSONE A CUI VOLETE BENE!