scuola privata

Omofobia

Apprendo che i detrattori del DDL Zan non vogliono, tra le altre cose, che le scuole private (sì, sì chiamano SCUOLE PRIVATE e non quell’ipocrita definizione di paritarie) siano tenute ad organizzare iniziative contro l’omofobia, come vorrebbe il DDL. Questo significa che per loro non è giusto essere contro l’omofobia. O forse è giusto essere a favore, secondo loro?

Non vogliono combattere l’omofobia, mentre le discriminazioni e le persecuzioni nei confronti delle persone omosessuali continuano incessanti. Ricordiamo che queste scuole ricevono soldi pubblici, grazie al cosiddetto centro sinistra e alla destra. Mah.

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Teoria e pratica

Non sono capace di parlare di teoria della scuola, ammesso che possa servire a qualcosa, ammesso che esista. Mi fa abbastanza ribrezzo il burocratese, quel gergo scuolese, del cui uso compulsivo si vantano alcuni colleghi. Mi piace parlare di pratica, mi piace sporcarmi le mani, cercare soluzioni.

I vari DPCM che si susseguono sulla pandemia hanno sancito il diritto dei BES, cioè di coloro i quali hanno disturbi dell’apprendimento come la dislessia, così come delle persone disabili a frequentare la scuola in presenza. In una delle mie classi i genitori di una ragazza hanno fatto questa richiesta, seguiti da quelli di altre compagne, non in condizioni di dislessia. Non mi ha fatto piacere. A scuola la connessione internet funziona male, malissimo a volte. Questa settimana ci devo andare per due volte, dalla prossima per tre.

Martedì mi alzo prima dell’alba e raggiungo la scuola, molto lontano, a 50 km da casa. Fa freddo, ma soprattutto fa tanto tanto incazzare. Arrivo nella prima aula vuota e faccio lezione solo ai ragazzi a casa, la connessione va discretamente. Alla seconda ora succede il fattaccio, la connessione fa il proprio comodo e i ragazzi di prima perdono metà lezione, perdono il loro diritto allo studio, arrivano la terza e la quarta ora e devo andare nella classe dove ci sono le 4 ragazze. Faccio una battuta con loro, sono contento di vederle. “Mi sembra strano, vedervi a tre dimensioni, a grandezza naturale” Loro ridono. Mi collego con i loro 24 compagni a casa e la connessione va malissimo, la loro voce e la mia diventa metallica, le nostre immagini appaiono e scompaiono spesso.

Per garantire il diritto allo studio in presenza di 4 alunne, lo si è negato, parzialmente, a diecine di loro compagni. Quanto sono distanti la teoria e la pratica.

Succede in tutto l’istituto, perché la connessione non è abbastanza potente, succede nel profondo nord, in un paesone, in un liceo, dove ci sono, molto spesso, famiglie garantite, con pochi problemi a collegarsi da casa. E intanto si continuano a finanziare le scuole private, invece di destinare quei soldi alle pubbliche.

Idiota (storia vera/falsa)

idiòta (ant. idiòto) agg. e s. m. e f. [dal lat. idiota, gr. ἰδιώτης «individuo privato, senza cariche pubbliche; inabile, rozzo, ecc.» (der. di ἴδιος «particolare, che sta a sé»)] (pl. m. -i). – 1. ant. Uomo semplice; persona rozza, priva d’istruzione: molto più conosce Iddio un santo idioto che un savio peccatore (Cavalca); come tu sai, io non ho la grazia del predicare, e sono semplice e idioto (Fior. di s. Franc.); parole le quali lo Spirito santo sopra la lingua dell’uomo idiota poneva (Boccaccio); noi laici ed idioti (Della Casa). 2. Persona di scarsa intelligenza, stupido, deficiente: è un povero i.; comportarsi come un i.; guarda, piccolo stupido, un pupazzino così, con la cera, l’ho fatto stanotte, non spalancare la bocca come un i., è solo un animaletto, non è somigliante? (Antonio Tabucchi); spesso titolo d’ingiuria: è un perfetto i.; ha una faccia da i.; per estens., solo come agg., di atto o parole che rivelano idiozia: espressione i.; una risposta idiota. Nel linguaggio politico e giornalistico è stata usata talvolta la locuz. utile i. per indicare chi assume posizioni che fanno, anche indirettamente, il gioco degli avversarî (di partito o d’ideologia) favorendone le manovre. 3. In medicina, persona affetta da idiozia. Qual è il significato etimologico, storiografico e letterario della parola “idiota”? Quali sono i suoi usi?
RISPOSTA
Stella Domino
In italiano la parola idiota entra nel XIV secolo, riprendendo di peso per via colta il latino idiota. In latino, idiota significava ‘incompetente, inesperto, incolto’ e proveniva a sua volta dal greco idiótes. Idiótes voleva dire ‘uomo privato’, in contrapposizione all’uomo pubblico, il quale ultimo rivestiva cariche politiche e dunque era colto, capace, esperto; quindi già in greco idiótes valeva ‘uomo inesperto, non competente’. Torniamo alla lingua italiana del Trecento: idiota vi significa (e di lì in poi significherà fino ai giorni nostri) ‘che, chi è stupido, privo di senno, incapace di ben ragionare’ e, anche per influsso della coeva poesia francese, ‘incolto, ignorante’. Come per altri vocaboli di significato simile (stupido, scemo, imbecille ecc.) è possibile fare di idiota un uso, come dire, aggressivo, adoperandolo come epiteto spregiativo o colloquialmente scherzoso.
Idiota ‘chi è malato di idiozia’ risente di una tecnicizzazione medica del vocabolo idiozia e famiglia (idiota, idiotismo), che ci proviene dal francese dell’Ottocento. L’idiozia come ‘grave malattia dello sviluppo mentale’ ha cessato da tempo di costituire una fattispecie nosografica valida nella medicina. Insomma, oggi idiota e idiozia restano nel dominio esclusivo della lingua comune.
Per un celebre idiota letterario, basti citare L’idiota (titolo originale russo: Idiòt) del grande narratore Fëdor Dostoèvskij. L'”idiota” protagonista del romanzo, il principe Myškin, è però un idiota molto particolare, segnato da una forte valenza simbolica: un candido, un buono integrale, un angelo che cerca di farsi uomo e, in quanto tale, riguardato dagli altri esseri umani – di animo molto meno nobile – come una sorta di socialmente disadattato, di mentecatto, di malato di idiozia (nel senso tecnico del termine, allora in voga): un idiota, appunto.
L’idiota della locuzione utili idioti è, come mostra di sapere il signor Cristofori, un “idiota politico”: in origine, appena dopo la seconda guerra mondiale e per molti anni ancora, l’espressione (coniata da Stalin ma immediatamente fatta propria dagli anticomunisti) si riferì a coloro che, per ingenuità, finivano col fare gli interessi dei partiti di sinistra (e specialmente del Partito comunista), pur non militandovi. In séguito, per estensione, pur mantenendo il significato originario, la locuzione ne ha sviluppato uno più generico, riferendosi a chiunque agisce a vantaggio di altri senza che il proprio merito sia riconosciuto e senza guadagnarci nulla.

C’è un alunno che da dell’idiota ad un professore. Cerchiamo di capire come abbiamo fatto per arrivare a questa situazione. Il professore di sostegno scrive la nota disciplinare, anche se sa che è perfettamente inutile scriverla. È perfettamente inutile, perché se una ragazzina di 12 anni da dell’idiota ad un insegnante che ha rimproverato un compagno, vuol dire che quella ragazzina manca delle basi del vivere civile, vuol dire che quella ragazzina è infinitamente povera, povera di empatia, povera di civiltà. Quale educazione le hanno impartito i genitori? A volte mi verrebbe da chiedermi, quanti libri hanno letto i genitori. E poi penso alla mia bisnonna, la quale ha imparato a leggere dai libri dei propri figli, che educava al rispetto e alla civiltà. I libri servono, sono importanti, io stesso amo infinitamente leggere, ma credo che la soluzione sia ben più complicata. Cosa fanno i genitori appena ritornano a casa dal lavoro? Forse sono stanchi, forse fanno un lavoro schifoso e frustrante. Sul lavoro vengono maltrattati, ricevono uno stipendio basso e faticano a pagare le bollette. Anche i miei nonni e i miei bisnonni faticavano a pagare le bollette, mi viene da dire e insegnavano il rispetto nei confronti dell’insegnante, rispetto che non significa perdita del senso critico, ma significa giusta considerazione della figura che ho davanti. Scrivo queste righe, mentre sono dentro ad una saletta che viene usata dal responsabile del plesso di un grosso istituto in cui lavoro. È dicembre, in questa saletta si arriva a stento ai 18 gradi. Sto scrivendo con il mio computer portatile, c’è una scrivania dove sono poggiati in disordine dei documenti, alla sinistra della scrivania dietro la quale sono seduto c’è un termoventilatore, perché questa stanzetta è senza riscaldamento, accanto a questo termoventilatore c’è un’altra scrivania, sulla quale è poggiato un computer abbastanza recente con la stampante un po’ vecchiotta. Di fianco all’altra scrivania c’è un armadietto pieno di computer portatili. Davanti a me c’è una porta, questa saletta misura circa 15 metri quadrati, c’è un’altra saletta, fa freddino anche lì con un tavolo e delle sedie posti al centro, alla destra del tavolo c’è una porta, quasi sempre aperta. Dalla porta entra l’aria fredda dal cortile di cemento. Poco lontano da questa scuola c’è una scuola privata nella quale ho insegnato alcuni anni fa. Le famiglie pagano la retta all’istituto e non ci sono bidelli, la scuola viene pulita per tre ore alla settimana da una signora di un’impresa di pulizie. È una scuola molto grande, divisa in due ali. Questa scuola privata percepisce dei finanziamenti dallo stato, da tutta la collettività dunque, atei compresi. Un governo di centrosinistra ha deciso questi finanziamenti, i governi di destra li hanno sempre avallati. Adesso al governo c’è un partito strano, fatto di tutto e di niente, per il quale io ho votato al senato, in coalizione con la lega, un partito di destra. Il primo dei due si è presentato come partito antisistema, pur non convincendomi mai del tutto. Ha bacchettato pesantemente la destra e il centrosinistra e li bacchetta ancora. Qualche minuto fa ho letto di un deputato del partito di Grillo, che è passato al partito di Berlusconi, così come altri sono passati al Pd, a Fdi e robe varie e le perplessità su quel movimento aumentano. Avevano combattuto contro i finanziamenti alle scuole private, che sono un abominio, ma si sono alleati con un partito come la Lega, il quale supporta ed è supportato da bigotti, dunque, di eliminare questo abominio non se ne parla. Torniamo a noi, chi leggerà queste digressioni è invitato a perdonarmele. È dal 1999 che questa cosa mi indigna. Sono in questa saletta piena di umidità, che mi si infila nelle ossa. Sto per infilarmi il cappotto, mentre penso alla metropolitana di Mosca. Le stazioni del centro di Mosca sembrano gli atrii di grandi alberghi, il Baffone le aveva volute così, per rendere omaggio ai lavoratori che le avrebbero utilizzate. C’è qualcosa che lega intimamente questa saletta fredda e le stazioni della metropolitana di Mosca, c’è un filo sottile che accomuna queste due realtà con l’aula grigia e spoglia, con gli attaccapanni che cadono, della scuola di Culonia. Osservo il mio smartphone e leggo di un programma radiofonico, in cui viene intervistato un calciatore. Il livello di ignoranza dei calciatori è noto, per questo motivo gli pongono domande di storia, lo so che sembra una battuta, ma a questo punto sono ridotti i media in Italia. Questo cretino sostiene che mussolini abbia fatto anche cose buone, la classica frase idiota da bar di terzo ordine, il classico luogo comune sputato da ignoranti. Il web è una cassa di risonanza quanto mai efficace per gli ignoranti, i quali possono ostentare la loro incompetenza e la loro stupidità davanti a folle, spesso adoranti. Ma torniamo al calciatore cretino. Parla a vanvera, i social media riportano la notizia, come se fosse una notizia. O almeno i social media dovrebbero ribadire che quel calciatore è un povero cretino ignorante, come molti calciatori sono. È istruttivo leggere i commenti, tra i quali compaiono quelli di apologeti del fascismo, i quali discettano con enciclopedica incompetenza di mussolini, riferendosi, a volte, a siti internet dotati di zero autorevolezza. C’è qualcosa che lega quella parola proferita da quella ragazzina dallo sguardo duro e dall’aria fredda alla manifesta insipienza di quei commentatori. Internet fornisce la possibilità di sentirsi competenti, di sentirsi colti, anche quando non si sa nulla. Chiunque può scrivere su internet, anche io posso mettermi a scrivere su Internet di idraulica, anche se non so niente di idraulica, ma non lo faccio. C’è gente che scrive di storia o di politica senza saperne nulla e ci sono dei boccaloni che ci credono. Vi fareste curare i denti da un idraulico? No, di sicuro, però date retta ad incompetenti sulla politica, sull’attualità e sulla storia, alcuni danno retta, mica tutti, è ovvio. Ma torniamo a noi, torniamo a quella ragazzina piccola e magra, dalla voce stridula e dal naso pronunciato, che ha offeso quel professore di sostegno. Gli ha posto una domanda, mentre l’aula esplodeva di rumore, durante la lezione di arte e immagine. Ma lei non dovrebbe seguire quelli che hanno dei problemi, gli ha chiesto. L’insegnante di sostegno deve essere emarginato, deve considerato uno che vale di meno, al pari di quella ragazzina che lui segue. Se ha dei problemi vale di meno, per la ragazzina che gli ha dato dell’idiota. E se vale di meno la ragazzina disabile vale di meno anche il professore, tanto più che non fa lezione, tanto più che non può nemmeno mettere i voti. Quando il professore è in classe, la gran parte degli insegnanti lo ignora e la cosiddetta insegnante di tedesco, Bastonnelculo, non lo saluta nemmeno. Nemmeno lei lo chiama in considerazione, nonostante lui sia esperto, sia capace, sia un traduttore iscritto all’albo dei CTU del Tribunale. La sedicente insegnante di musica non accetta nemmeno che lui autorizzi le uscite degli alunni. Attraverso questa riflessione credo di star delineando la strada che porta all’insulto della ragazzina, anche se manca ancora qualche pezzo. Il professore di sostegno scrive la nota sul registro elettronico, a seguito della quale i genitori ricevono un messaggio sul proprio cellulare. Passano 48 ore, il professore consulta il registro, il quale segnala che i genitori non hanno visto la nota. In 48 ore non hanno avuto tempo di consultare il registro elettronico per comunicazioni riguardanti la loro figlia. Chiunque ha uno smartphone e questi genitori non hanno il tempo per verificare quanto loro comunicato. È lunedì sera e il professore di sostegno sta tornando dalla palestra, quando gli arriva una chiamata, è quella della coordinatrice di classe, Bastonnelculo. Ho letto la nota, attacca senza salutarlo, volevo dirti che avresti dovuto avvisare immediatamente me e la dirigente scolastica, perché hai scritto che ti ha dato dell’idiota. Lo dice il regolamento scolastico, al comma 9877/bis dell’articolo 151. Adesso bisogna convocare un consiglio straordinario con la presenza della dirigente scolastica, dell’alunna e dei genitori. E guarda che ti dovrai difendere. Il professore di sostegno si dovrà difendere dall’aver preso dell’idiota, per aver sgridato un compagno della ragazzina dallo sguardo duro, il quale voleva tenere la finestra aperta con meno sei gradi sotto zero. Bastonnelculo proseguì, devi cambiare la nota, scrivendo che l’alunna ha pronunciato frasi ingiuriose, perché altrimenti rischi un richiamo scritto e la sospensione dallo stipendio, ma tanto la cambio io. Bastonnelculo riattacca. Forse sta arrivando qualche risposta, forse la curiosità del narratore e quella dei lettori, se mai ce ne saranno, sarà appagata. Forse. Ma torniamo a Bastonnelculo. Non vuole rotture di palle, non se la sente neanche, ma chiama, chiama meccanicamente i genitori della bambina con il naso prominente, quella che ha dato dell’idiota al professore. Vuol fare vedere al professore di sostegno che la scuola ha polso. Vuole fargli vedere che lei non è una vigliacca, per una questione di orgoglio. Non sa neanche perché lo fa. Lui non le piace, non le è mai piaciuto, perché lei non tollera che un laureato in tedesco presenzi alle sue “lezioni”. Dall’altro capo del filo risponde una donna cicciottella con il naso prominente. Pronto, sono la professoressa Bastonnelculo della scuola secondaria di primo grado di Santa Incatenata. La donna cicciottella stava guardando il grande fratello e le è scocciato molto alzarsi per andare a rispondere, era quasi sola in casa. Suo marito era uscito per andare ad organizzare il Family Day e poi era andato a farsi frustare da un trans. Sua figlia stava giocando con il cellulare e non voleva disturbarla. Lei ha sempre tenuto molto alla figlia. Sì, cosa c’è, spero che lei abbia un motivo importante per importunarmi, visto che stavo guardando il gf. Guardi, veramente no, disse Bastonnelculo in modo triste e insicuro. Lei era una donna che ostentava spesso la propria sicurezza, le piaceva farsi grande, ma in quel momento si sentiva dominata dalla signora cicciottella con il nasone, si sentiva in soggezione. Ascolti, mi faccia un favore, venga con suo marito una di queste mattine a parlare con me, perché quell’idiota dell’insegnante di sostegno ha dato una nota a vostra figlia, perché lei, di sicuro giustamente, gli ha dato dell’idiota. Non si preoccupi, a sua figlia non accadrà niente, non sarà punita. Voglio solo far vedere a quel povero sfigato che non sono una pusillanime. Cooosa, gridò la signora cicciottella, chi ha osato punire la carne della mia carne, la mia povera bambina, ma come si permette quel cretino, io lo denuncio, lo denuncio, professoressa Bastonnelculo lei deve prendere dei provvedimenti contro quello schifo di insegnante. Cara signora, lei ha ragione, se io potessi licenzierei quello schifo di insegnante, anche solo per il fatto che porta la giacca, ma non posso. Ascolti, venga a scuola, così metto a tacere quel cretino, è un fatto di orgoglio, voglio far finta di essere un po’ severa per pigliarlo per il culo. Le pago un aperitivo, una cena, ma venga, mi faccia ‘sto piacere. La signora cicciottella con il naso prominente alzò gli occhi al cielo e disse, senta, mi mancano 100 euro per il nuovo Iphone e la finanziaria non concede il finanziamento, cacci 100 euro e veniamo a scuola io e mio marito per fare ‘sta buffonata, ma che sia l’ultima volta, la prossima volta mi dovrà pagare un vestito di Gucci. Bastonnelculo sudava al telefono, guardava nel vuoto, sì, grazie, grazie mille signora, come è umana lei. Si salutarono. La cosiddetta professoressa di tedesco aveva la salivazione azzerata e la lingua felpata. Faticò a dormire quella notte. Mandò un messaggio al professore di sostegno verso le due di notte, mentre stava guardando un film di Kiarostami in farsi. Ricoprì di spilloni la bambola vodoo con le sembianze dell’odiato prof, mentre la mattina arrivava. Il narratore di questa storia è un professore di tedesco, come lo è il professore di sostegno. Ha esperienza e capacità, ha una cattedra ha 50 km da casa, in cui deve insegnare tedesco per quattro ore e per undici ore deve fare da tappabuchi per delle supplenze oppure rimanere solo soletto in sala insegnanti, pagato con i soldi pubblici per non fare niente, mentre, a qualche decina di chilometri da lui, c’è un professore ubriaco che sta cercando di fare lezione di lingua. Il professore ubriaco ha il posto fisso, mentre il professore competente ed esperto, ma anche sobrio, non l’ha.
All’appuntamento del giovedì il professore di sostegno si presentò agguerrito, per parlare con i cosiddetti genitori della ragazzina dal naso prominente. I cosiddetti genitori lo volevano denunciare, per avere scritto la nota di demerito nei confronti della loro bambina innocente. Volevano denunciare anche la scuola, per non avere impedito al professore di mettere la nota alla figlia, provocandole un grave turbamento morale. La signora cicciottella e il marito, un tipo senza capelli e gli occhiali, sottomesso alla moglie, entrano nell’aula di educazione artistica, oppure arte immagine, con pochi pennelli e poco di tutto, sporca e vecchia, fredda e spoglia. La signora cicciottella camminava qualche passo avanti rispetto al marito, da lei represso e sottomesso. In aula ci sono il professore di sostegno e Bastonnelculo. Bastonnelculo aveva delle occhiaia profonde come solchi e puzzava come un cane marcio in una giornata di pioggia (cit.), ogni tanto guardava in cagnesco il professore di sostegno. Lei incominciò, rivolta alla madre, signora e padrona, innanzitutto la ringrazio per essere venuta qua sacrificando il suo tempo e per aver trascinato quella specie di pupazzo che lei ha sposato. Il marito guardò la moglie con aria supplichevole e la lingua fuori, ho tanta fame e tanta sete, le disse. Dammi da bere, cucciola. Modera i termini, carino, gli disse la moglie, prima di tutto dammi del Lei e chiamami signora e padrona, visto che ho un conto in banca doppio rispetto al tuo e poi fammi vedere se ti ho comprato le scatolette dell’hard discount, sì, ne ho una, per tua fortuna e ho anche la ciotola. Tirò fuori la ciotola dalla borsetta, la riempì con del cibo per cani gelatinoso e puzzolente, l’appoggiò a terra e il marito iniziò a mangiare. Allora, adesso, zitto e a cuccia che parla la padrona, testa bassa e muto. Con gli occhi che le uscivano dalle orbite incominciò a parlare, noi siamo veramente arrabbiati per essere stati chiamati, perché noi lavoriamo e dobbiamo guadagnare. Riteniamo la cosa inqualificabile. Sì, certo, avete ragione, rispose Bastonnelculo, mi dispiace avervi disturbato, ma forse vostra figlia, può essere che abbia un pochino esagerato dando dell’idiota al professore di sostegno, al massimo avrebbe potuto dargli dello scemo e non dell’idiota. La signora cicciottella era diventata paonazza, senta, se nostra figlia ha dato dell’idiota all’insegnante avrà avuto delle buone ragioni. Mia figlia è una che ragiona e se ha dato dell’idiota all’insegnante se lo è meritato. Nostra figlia è buonissima a casa e a scuola si agita. La colpa è vostra, solo vostra. Adesso andiamo a denunciare la scuola e anche lei, urlò verso l’insegnante di sostegno. L’insegnante di sostegno parlò con tono calmo ed agguerrito, lei non si può preoccupare di quello che fa sua figlia, ma si rende conto, è sua figlia, non la mia, l’avete fatta voi e indicava i cosiddetti genitori della bambina con il naso prominente. Per quanto mi riguarda potete denunciare chi volete, anzi, sapete che faccio, vengo con voi e denuncio voi, per non avere impartito nessuna educazione a quella bambina. La professoressa Bastonnelculo era nel panico più completo, un momento, ragioniamo, signora cicciottella, non vada a denunciare la scuola, la supplico, non mi ci faccia finire in mezzo. Guardi, capisco che il professore di sostegno possa avere commesso degli errori che hanno fatto sì che vostra figlia gli desse dell’idiota, le chiedo scusa anche da parte sua, ma non denunci la scuola, dopo la preside mi cazzia, la prego, mi metto in ginocchio da lei. Il professore di sostegno intervenne, ma quali errori avrei commesso che mi emarginate in continuazione, ma quali errori, ma vi rendete conto. Ma vi rendete conto che quella figlia l’avete fatta voi. Voi siete i responsabili per vostra figlia sempre e dovete porvi delle domande molto serie se vostra figlia si comporta in questo modo a scuola. Ma scherziamo,… Il professore di sostegno si rendeva conto che doveva difendersi, non solo da quelle specie di genitori, ma anche dal rischio di cambiare, dal rischio di perdere la propria natura. Certi alunni gli stavano tremendamente sulle palle, ed era umano, perché erano maleducati e incivili, proprio degli stronzi, sì, proprio degli stronzi, ma la colpa maggiore era dei loro cosiddetti genitori e dei sedicenti insegnanti. Se erano cresciuti così era soprattutto colpa loro. È tutto ovvio, ma non è scontato. Bisogna ripeterselo, ripeterselo, soprattutto quando si è mezzo alla bufera, quando la nebbia ricopre tutto di grigio, soprattutto ricopre la testa e l’anima e rischia di ricoprire anche la testa e l’anima di chi è dotato di buona volontà. Bisogna ripeterselo quando i tuoi colleghi non sono tuoi alleati. Il cosiddetto padre della ragazzina con il naso prominente parlò, con la bocca piena, professore lei di solito ha problemi ad andare d’accordo con gli alunni, mi sembra impossibile che nostra figlia le abbia dato dell’idiota senza una ragione. La moglie lo guardò malissimo, hai mangiato il chappi inferiore (cit.), sì, sì, rispose l’inferiore sudato, hai visto e indicò la ciotola vuota. Allora, ha problemi ad andare d’accordo con gli alunni. Il professore di sostegno parlò, lo sa che io con i miei alunni sono andato in discoteca, lo sa che ho amicizie che durano da dieci anni con i miei ex alunni, con i miei alunni ho ballato salsa. Ma come le vengono in mente certe domande, come le vengono in mente certe insinuazioni. Ma come ti vengono in mente certe domande, gli gridò la moglie, innanzitutto devi chiedere il permesso per poter parlare, caro il mio inferiore, e tu non l’hai chiesto, razza di sfigato. Scusa, scusa, rispose il marito. Scusa un cazzo, replicò la moglie e gli mollò un ceffone. E poi mi devi dare del lei, davanti agli altri. Stasera dormi in cortile e chiudo a chiave la tua cuccia. Nooo, la cuccia no, il marito era a quattro zampe e piangeva. La professoressa Bastonnelculo stava, come al solito, ritta, come se avesse avuto un bastone piantato nel retto anale e con la boccuccia a culo di gallina. La prego, non denunci la scuola. Le stacco un assegno. La madre della bambina con il naso prominente la guardò con aria di compatimento, non meno di 500 euro, mi raccomando. Va bene, va bene, come è gentile lei, rispose Bastonnelculo. Intanto la madre rivolse la parola di nuovo al professore di sostegno, senta, mia figlia a casa è buonissima, bisogna indagare comunque su quel che succede a scuola. Forse ha problemi con qualche insegnane, magari non con lei, chi lo sa. Aveva cambiato espressione quella donna, non guardava più con aria di superiorità e rabbia l’insegnante di sostegno. Era rimasta colpita da quella reazione decisa, non l’avrebbe mai ammesso con nessuno che era rimasta colpita. Forse forse un po’ lo ammirava, ma non glielo avrebbe mai detto. Mia figlia a casa è buona, io le do un sacco di schiaffi, però è buonissima a casa. Alle elementari era buonissima, prendeva sempre note e voti bassi in condotta, però era buonissima. Lei difendeva i compagni, quando riteneva fossero vittime di ingiustizie da parte degli insegnanti. Adesso le dirò di farsi i cavoli propri, per quieto vivere. Le darò un sacco di schiaffi e poi uscirò a comprarle l’hoverboard da 400 euro, così si potrà sfogare. Magari, ogni tanto, provi ad affidarle qualche mansione, anche nei riguardi della bambina a cui lei fa sostegno. Il professore di sostegno la guardò con un sorrisino di compatimento, va bene, va bene. La madre mise il guinzaglio al marito, lavò nel rubinetto lì vicino la ciotola e si avvicinò all’uscita. Diedero entrambi la mano al professore di sostegno, sorridendogli e con aria sicuramente meno spavalda dell’inizio. Diedero la mano alla professoressa Bastonnelculo, schifati perché le sudavano le mani.
Il quadro svanisce in dissolvenza e si delineano i contorni per primi e poi tutto il resto dell’aula della classe del professore di sostegno. C’è la professoressa Scapece Immacolata, piccola, bassa, puzzolente e con i baffi, che “insegna” italiano e storia. Entra in classe senza salutare il professore di sostegno, ciao bambini, ma come state puffetti. Bene prof, bene, bene, qualcuno non rispose, perché guardava i siti porno sullo smartphone, con una mano infilata nelle mutande. Vaffanculo brutta troia, le rispose il ragazzino che sbatteva sempre la testa al muro, perché mi stracci la minchia mentre guardo hitler.org. La professoressa Scapece Immacolata, scusa carino, non lo faccio più. Guardò la cattedra e vide che non c’era il computer collegato ad internet. Ancora su sta il computer, chiese agli alunni, bisogna scendere il computer, già, una professoressa di italiano che dice, bisogna scendere il computer. E scendi sto cazzo, le ribatté il ragazzino Psico. Bimbi, prendete il libro di storia, forza, sottolineate dalla riga 1 alla riga 10, bravi, e mo sottolineate dalla riga 12 alla riga 37. Bravi, l’avete fatto. La seguivano solo una ragazzina e un ragazzino con gli occhiali. C’era un ragazzino biondo grassottello che si trastullava con il cellulare. Alza la mano e parla senza aver chiesto il permesso, scusi prof, ho scritto una poesia, la posso leggere. Ma prego carino, gli rispose la sedicente prof, la quale era ben contenta di smettere di spiegare. Il ragazzino biondo cicciottello andò alla cattedra e lesse per venti minuti con enfasi degna di un Gassmann che non ce l’ha fatta. La poesia era una schifezza indegna. Professoressa, posso leggere i soprannomi che ho dato ai miei compagni, erano 23, li spiegò uno per uno, professoressa posso leggere i soprannomi che ho dato ai prof. Ma certo carino, gli rispose la prof. E lui lesse i soprannomi per i prof, l’handicappato, il negro, il frocio, il comunista di merda, aveva chiamato la prof di storia la puzzona e lei si era messa a ridere. Che simpatico, sei proprio simpatico, gli aveva detto. Adesso ti metto 9 in italiano, la poesia è stupenda, i soprannomi poi, sono uno spasso. Hai capito proprio il senso della mia vita, io mi ispiro al personaggio di Franchino in Fantozzi subisce ancora, vorrei avere la barba come lui, pensa te. Il ragazzino la guardò male, ma quale 9 professoressa lei non capisce proprio niente, oltre ad essere una puzzona, mi deve dare 10 almeno. Mi dia la password del registro elettronico che lo scrivo io il voto. Bravo, grazie, giusto, hai capito tutto, io penso che tu sia veramente avanti, gli dice la prof. I ragazzini che avrebbero voluto seguire guardavano la scena sconsolati. Suonò la campana. Forse siamo perduti, forse la speranza è una trappola. (cit.) Forse non c’è niente da fare e questa nebbia dura più di quest’inverno.

Dovevo proprio pubblicarlo

Questo articolo sembra frutto della mia fantasia. Invece è un articolo del “Fatto Quotidiano” del 16 novembre del 2018. Parla di una scuola privata, dove si educano gli alunni all’omofobia. è una scuola privata religiosa, una scuola privata cattolica dove si insegna agli alunni che l’omosessualità è uguale alla pedofilia e altre amenità sulla vagina e il pene. Vi confesso che ho cercato, per qualche secondo, di avere un approccio “asettico” ad una vicenda come questa, di lasciare parlare i fatti, ma mi sono arreso subito. Queste vicende mi toccano profondamente. Nella scuola privata ci ho vissuto e lavorato per anni, ho conosciuto persone eccellenti e persone orribili. Mi sono anche trovato bene, nonostante fossi stato e fossi ancora molto differente da quel mondo. Ho passato momenti duri, ora ricordo la vicenda di Eluana Englaro e la cappa sulfurea su quel luogo, per colpa di Cl. Lasciamo parlare l’articolo.

scuola privata omofobia.jpg

Più civile

Da oggi l’Italia è un po’ più civile: il biotestamento è legge. Mi tornano alla mente le pressioni al limite del mobbing che ho subito nella scuola di comunione e liberazione ai tempi di Eluana Englaro. Avrei dovuto raccontare balle agli alunni su quel caso. Avrei dovuto fermare un appello per costringere Eluana Englaro a vegetare. Non l’ho fatto. Ho raccontato la verità. Non mi hanno rinnovato il contratto. Sono stato fiero di me.

Ora in Italia c’è il biotestamento. Ogni tanto qualcosa funziona.

Il corpo è nostro e nessuno ce lo può sequestrare.

scuole private

In tanti possono passare da quelle scuole, da studenti o da insegnanti precari. Tanti hanno una famiglia che ha messo da parte qualcosa e che ti consente di vivere con tranquillità. Puoi cercare lavoro senza ansie, ma, nello stesso tempo, hai voglia di fare esperienze, hai voglia di metterti alla prova. E hai voglia di metterti alla prova anche in una scuola privata. Si chiamano private e non “paritarie”, come le hanno ipocritamente ribattezzate. Sono scuole buone, discrete, belle e brutte, ma sono scuole di una parte, sono scuole che offrono una visione parziale della vita. Ci sono stato da comunista, ci sono stato da sostenitore della scuola pubblica, ci sono stato da persona curiosa ed aperta. E ho passato anche dei bei momenti e non pochi. Ho ancora degli amici, tra ex alunni e prof, sento ancora un mio ex collega, fondamentalista cattolico, il quale, udite udite, mi apprezzava. Ho trascorso molti anni nelle scuole private, ho conosciuto molte persone, mi sono innamorato di una ragazza. Ho visto bambini, ragazzi, alunni. Ho visto ragazzi pieni di vita che stonavano nello squallore bigotto della scuola ciellina, ho visto anche un uomo severo e abbastanza corretto, nella scuola del centro, ho visto una suora senza umanità. Ho visto e ho provato emozioni: mi sono emozionato, sono stato felice, sono stato arrabbiato e sono stato schifato.

Ci sono stato, ma non vorrei più tornarci. Ci sono stato ed è stato giusto esserci stato, ho imparato qualcosa.

Altre avventure della suora inquietante

Quando è trascorso del tempo da un avvenimento cresce l’esigenza di rifletterci sopra. L’esperienza con la suora inquietante mi ha mostrato un mondo pre-moderno e ultramoderno, allo stesso tempo. Mi ha mostrato il potere assoluto ancien regime e mi ha mostrato il neo capitalismo, che mette in discussione i diritti dei lavoratori e i rapporti con le persone, con la stragrande maggioranza degli alunni.

Ci sono tante sfaccettature del rapporto che ho avuto con quell’essere che è giusto analizzare: una di queste è la sfiducia che mi ha dimostrato fin dall’inizio della nostra conoscenza.

Quell’essere immondo mi assume con un contratto di quindici giorni, che prevede la possibilità del licenziamento ad nutum, così come la possibilità per me di andarmene senza preavviso. Alla fine dei 15 giorni, mi assume con un contratto di 6 mesi e mezzo. Lei mi deve dare un preavviso di 1 mese e io pure, se volessi andarmene. Pochi giorni dopo la proroga del contratto, quando sto uscendo dal ripostiglio chiamato pomposamente “aula di tedesco”, mi viene incontro e mi invita a tornarci dentro. Mi chiede come mai non ho aggiornato il registro elettronico e io le rispondo che la segretaria non l’ha ancora predisposto. Mi dice di farmi aiutare da un prof della scuola e io replico che il registro elettronico non è ancora pronto. Lei continua per la propria strada, mostrando di non credermi. Secondo quell’essere io avrei mentito su una cosa, per la quale mi avrebbe potuto smentire in 2 secondi, andando a chiedere alla segretaria, a pochi passi da lì. Secondo lei, io sarei stato, oltre che bugiardo, decisamente stupido. Forse ho già raccontato questo passaggio, ma mi serve per agganciarmi al passaggio successivo.

G.P. ha 13 anni, gli occhi come due fessure e la bocca grande, deformata da un ghigno cattivo. è vestito firmato dalla testa ai piedi, con il cellulare da 600 euro. Voi sapete del mio infinito affetto nei confronti di tanti alunni, che ho conosciuto nella mia carriera, ma non ho voluto bene a quel ragazzino. è un ragazzino viziato dalla madre, ricco, cattivo e bugiardo. è incapace di amare, perché non lo hanno mai amato nel modo giusto. Questo ragazzino va a dire alla suora inquietante che io passo tutto il tempo della lezione attaccato al tablet. Utilizzo il tablet nel ripostiglio di tedesco, per firmare il registro elettronico, visto che quello schifo di preside non ha messo la lim, per inserire gli argomenti della lezione e i voti, da quando la segretaria ha sistemato il registro elettronico. Io spiego la verità alla suora inquietante, non si capisce se mi crepe oppure no, ma io ho qualche sospetto che non mi creda. Un giorno di inverno con il sole, mentre sto facendo lezione alla terza media di G.P., questo inizia a lanciare pallini di carta a L.M., un ragazzino biondo, svogliato e maleducato. L.M. risponde e qualche altro ragazzino si associa, ma i due colpevoli principali sono loro due. Li sgrido, minaccio punizioni, ma continuano imperterriti, fino a ridurre il pavimento un tappeto di pezzetti di carta. Suona l’intervallo e la fine della lezione e io dico loro di raccogliere i pezzetti di carta, ma loro se ne vanno. Li raccolgo io. La volta successiva faccio loro una reprimenda e assegno un compito di punizione. Me lo portano e la cosa sembra finire lì. Sembra. Un venerdì sera alle 21 mi arriva una mail della suora inquietante, con scritto nell’oggetto “comunicazioni suora inquietante”, che mi fissa un appuntamento per il martedì successivo, per discutere di generiche questioni educative. è un processo kafkiano, l’ho capito. Il giorno dopo non ho lezione e la chiamo per sapere il motivo esatto della convocazione, lei si fa negare.

Arriva il martedì. Lei tarda 20 minuti e poi sfodera una lettera scritta da G.P., che mi accusa di umiliarlo. Sostiene che io l’avrei accusato ingiustamente di lanciare pallini, quando lui era innocente, e che non avrei controllato i suoi compiti di punizione. Mi racconto che la madre del ragazzino è andata a parlare con la suora al venerdì alle 20 30. Io spiego la verità alla suora e lei mi risponde “perché il ragazzino dovrebbe mentire?”. Io rimango basito, ma rispondo ugualmente “perché ha 13 anni, perché ha paura di essere punito, per nascondere quello che ha fatto.”Lei mostra di non credermi, crede ad un ragazzino di 13 anni e non ad un professore di 37 anni, che, secondo lei, si sarebbe inventato tutto, della storia dei pallini.

Penso che la madre di G.P. fa dei servizi gratis per la suora e mi spiego tutto, o quasi.

Sfodera una presunta lettera anonima, scritta da presunti anonimi genitori, contro di me e altre balle. Ho rimosso tutto dalla mia mente. Se me lo ricorderò, ve lo racconterò.

Suora inquietante

Siamo in un bar di periferia, modesto. è giugno e io entro, perché mi ha invitato una mia collega un po’ baciapile, che crede che io sia religioso, anche se non so perché. è una zona molto verde, davanti c’è un bel giardino con i giochi per i bambini, di fianco al bar ci sono negozi ed un supermercato coop. quel giorno di giugno è grigio, minaccia pioggia.

la scuola è ormai finita, io e la mia collega baciapile abbiamo partecipato ad uno scrutinio di una classe che abbiamo avuto in comune. Di mattina la scuola senza alunni non sembra più la stessa. Seduti ad un tavolo ci sono la mia collega, un signore anziano e due bambini, di cui uno avrà 5-6 anni e l’altro qualcuno in più. Sono fratelli, i nipoti di quel signore. è un gentile signore del sud, che ha intenzione di offrirci da bere. Il più piccolo dei bambini mangia delle patatine, con aria vorace. è allegro e ha l’aria presente. Il più grande ha lo sguardo assente, tenta di mangiare le patatine, le quali gli scivolano in gran numero sul viso e sulla maglietta. La mia collega baciapile dice che il bambino è stato traumatizzato da dei compagni, il nonno annuisce. Non spiegano dove, ne come. Mi chiedo se quello fosse stato il primo trauma, il bambino mi sembra molto turbato ed assente. Non posso chiedere al nonno di specificare, naturalmente. La mia collega baciapile suggerisce al nonno di mandare il bambino a scuola dalle suore, anzi dalle suorine, come dice lei. Frequenta una scuola pubblica, quel bambino.

La mia mente corre subito alla scuola ciellina, dove non c’erano (non credo che ci siano neanche ora) ascensori e scale di sicurezza e dove io dovetti portare in braccio per due rampe di scale la bambina temporaneamente disabile. In quella scuola senza ascensori una ragazza con una protesi al posto della gamba doveva salire fino al terzo piano, per entrare in classe. In quella scuola non c’erano insegnanti di sostegno, c’erano educatori di una cooperativa ciellina, pagati dal comune, cioè dalla collettività. C’erano ragazzini disabili abbandonati a loro stessi, non c’erano neanche i bidelli. Veniva un’impresa di pulizie 1 volta alla settimana, per tre ore. Nella scuola privata dove sono stato tre anni gli alunni disabili si contavano sulle dita di una mano, c’era, credo, 1 insegnante di sostegno, c’era l’ascensore. Non mi ricordo se ci fosse la scala antincendio. Nella scuola della suora inquietante non c’erano insegnanti di sostegno, i ragazzini disabili sono seguiti in qualche modo dagli insegnanti delle altre materie. C’è l’ascensore.

Molte volte mi sono chiesto che cosa spinga un genitore a far frequentare ai propri figli una scuola privata, molte volte mi sono stupito quando ho saputo di intere famiglie, zii, genitori, figli etc. mandati alla scuola privata. Ho visto tante facce. Ho visto persone che vogliono rispettare la tradizione, perché i figli dei loro amici lo fanno, i loro amici andavano a scuola lì,, ecc. Ho visto persone che credono di proteggere i propri figli, mandandoli in scuole dove non ci sono i cosiddetti “casi sociali”, dove non si fa sciopero, ho visto persone convinte che in quelle scuole si impartisse un’istruzione migliore rispetto alle scuole pubbliche, anche se i dati dicono il contrario. Ho visto persone che scelgono la scuola privata, perché vogliono che i propri figli sia indottrinati secondo i dettami cattolici, ho visto persone che mandano i propri figli alla scuola privata, chiamata paritaria, ora, per mascherare il fatto che è una scuola privata, perché nella scuola pubblica ci sono insegnanti di sinistra. Ci sono persone che mandano i figli alla scuola privata, perché sperano che gli insegnanti chiudano un occhio di fronte all’ignoranza dei figli, ci sono persone che mandano i figli alla privata, perché costa molto e vogliono far vedere che sono ricchi.

Quando vado a votare rivedo la scuola elementare che ho frequentato, in un quartiere cosiddetto “difficile”, all’interno di un bel giardino, con il campo da basket. La mia scuola è piena di luce, mette allegria. La nostra maestra, che ho sempre adorato, è molto cattolica (nessuno è perfetto). Ci ha insegnato la Divina Commedia, l’Orlando Furioso, l’Eneide, ci ha portato nei più bei musei, ci ha insegnato anche qualcosa sul Parlamento, il Presidente della Repubblica e il Consiglio Comunale. Io sapevo chi era il sindaco, il presidente del consiglio, quello della repubblica, perfino il presidente della circoscrizione. In un quartiere difficile, come lo chiamano.

Lì intorno ci sono case basse, carine, con il giardino e  molti nani da giardino. Sembra quasi di essere in periferia e invece siamo vicini ai viali di circonvallazione. il frastuono delle macchine della via poco lontano ci ricorda che siamo quasi in città. sulla sinistra ci sono pochi uffici, qualche bar, qualche negozio. Sulla destra c’è una strada perennemente trafficata, con palazzi alti e decorosi e villette con giardino e nani. Le case sono rosse, bianche o color panna, in maggioranza. In mezzo alle case basse si staglia un maniero marrone scuro ed imponente. Attorno al maniero c’è un giardino, con qualche albero e molto cemento, di fianco alla grande strada trafficata. Davanti al maniero c’è una donna grassa, bionda e stupida, con i capelli ben pettinati, freschi di parrucchiere. Io entro e la saluto, perché ho la sventura di conoscerla, da prima di frequentare quella scuola. Le mie nipoti frequentano questa scuola, la piccola frequenta l’asilo, la grande è alle elementari. Abbiamo voluto che la grande avesse come maestra suor O., perché è stata la maestra di mio figlio. Una vecchina in abito da suora fa capolino, dalla porta nera di quel maniero. Dall’aspetto sembra che abbia un’ottantina d’anni. Sorride alla nonna timidamente, la nonna bionda la saluta calorosamente. Entro nell’atrio della scuola, immerso nella penombra. Dentro l’atrio c’è una donna sulla sessantina, con baffi vistosi. Davanti a me una porta conduce ad una delle segreterie, qui le segreterie non mancano. C’è la segreteria amministrativa, c’è la segreteria alunni, c’è la segreteria di non so cosa e poi c’è la collaboratrice fissa della suora inquietante. Da quella porta filtra un po’ di luce. A sinistra dell’entrata una porta conduce al corridoio delle elementari, immerso nella penombra, con il mobilio nero e le finestre piccole. Ci sono andato per il colloquio, prima di essere assunto, in uno stanzino con un piccolo lavandino.  A destra dell’entrata c’è il corridoio dell’asilo, immerso nella semioscurità. Salgo le scale strette e una luce cerca di farsi largo da una finestra, con scarsi risultati. A sinistra delle scale si apre un corridoio dove c’è luce, le finestre sono grandi e le aule luminose, hanno la lavagna interattiva. In mezzo alla luce fa contrasto l’ufficio della preside, da cui una persona uscì con seri problemi, qualche anno fa. Nell’ufficio della preside la finestra è piccola, e l’unica luce è quella fioca di una lampada da scrivania, che sta sul tavolo della preside e su quello della sua collaboratrice. La preside è una donna piccola, magrissima, con il volto scavato dal tempo. Ha l’espressione quasi sempre fredda, sorride poco e in modo un po’ falso. C’è anche la sala insegnanti, di fianco all’ufficio della preside, immersa nel quasi buio, con il mobilio nero e una finestrina.

Quando ho iniziato la preside mi ha condotto nella cosiddetta aula di tedesco. Siamo al primo piano, a destra delle scale, in un corridoio vinto dall’oscurità. Le finestre sono poche, piccole ed esposte a nord. Apre la porta e davanti a me c’è una stanzetta che non arriva ai venti metri quadrati con un tavolo rettangolare lungo al centro. Ai lati ci sono armadi, che occupano una parte dello spazio. C’è una lavagnetta, appesa al muro, simile a quelle che ci sono nei pub. Mi fa dare un pennarello da lavagna, da una delle segretarie, gentile e timida, sottomessa alla suora. Mi dice di utilizzarlo con parsimonia. Nella stanzetta c’è un cartello scritto a pennarello, con la declinazione dell’articolo maschile determinativo tedesco, solo questo mi ricorda che sono in un’aula di tedesco. Nella scuola media ci sono tre sezioni di scuola media, i ragazzini che studiano tedesco di prima, di seconda e di terza vengono riuniti per queste ore di lezione. Entrano i ragazzini delle tre prime medie e sono 12. Non ci stanno attorno al tavolo. Una bambina, piccola e magra, appoggia il quaderno sulle ginocchia. Sta tra il tavolo e la lavagna, sulla quale io devo scrivere, con il rischio di urtare la bambina. Molti bambini sono costretti a dare le spalle alla lavagna, pur di appoggiare il proprio materiale e si devono contorcere per potere leggere quello che io scrivo. L’unica luce è un flebile neon. La suora vede quello che succede e capisce che qualcosa non va. Mi dice che mi avrebbe cambiato d’aula con la prima media e così, dalla volta successiva, avrebbe fatto. Chissà perché non ha avuto la stessa idea con la seconda media e la terza, 10 e 9 alunni, ammassati in un’aula che, in realtà, è un ripostiglio. La terza media e la seconda le ho anche alle ultime ore e arrivano con gli zaini, che ingombrano ancora di più la presunta aula di tedesco. Nell’aula, chiamiamola così, non c’è la lavagna interattiva e io devo usare il mio tablet per firmare il registro elettronico. Posso solo firmarlo, ma non posso mettere i voti e scrivere il contenuto delle lezioni, perché una delle segretarie non l’ha ancora attivato, per tedesco. Devo prendere appunti su un mio quaderno. Gli alunni delle superiori di tedesco sono pochissimi, 1 per la seconda, 2 per la terza, di cui un ragazzo epilettico. Dicono che le persone affette da epilessia, quando sono colpite dalla crisi, si buttino per terra, dimenandosi e scalciando. Mi chiedo cosa sarebbe successo se quel ragazzo avesse avuto una crisi durante le mie lezioni. I ragazzi delle superiori scendono dal secondo piano, quando è l’ora di tedesco. Il secondo piano è luminoso, ma un po’ scialbo, c’è qualche immagine religiosa, come al primo, ma sa di poco, come si dice. In quella stanzetta non hanno problemi di spazio, ma mi domando, perché non debbano avere una lavagna multimediale come gli altri o un’aula luminosa.. Per proiettare filmati vari devo usare il mio portatile o il mio tablet. Meno male che c’è il wi-fi. Di fianco alla cosiddetta aula di tedesco, ci sono alcune aule, di medie e di elementari, luminose ed attrezzate. Ma il corridoio è buio. Nella scuola l’unica bidella cerca di tenere pulito. Passano i quindici giorni di prova e vengo confermato per altri 6 mesi, chissà perché non fino a giugno. Ho un regolare contratto, lo stipendio mi viene versato quasi sempre regolarmente. Sostituisco un’anziana collega, che sarebbe in pensione, la quale prende un terzo della mia paga, facendo il mio stesso lavoro. Ha i genitori, ormai vetusti, ammalati. In quella scuola lavorano insegnanti anziani, qualche suora apparentemente vetusta, insegnanti giovani, c’è perfino una mia cugina di secondo grado, che non vedo mai. Lavora lì da quando si è laureata, non so come faccia, ma forse so perché non la vedo mai. Molti se ne vanno, per andare nella scuola pubblica.

La scuola organizza molte attività, corsi di chitarra e cinese, ma li ospita nella cosiddetta aula di tedesco, senza luce e lavagna interattiva, con la lavagnetta del pub.

Chiedo alla preside di potere cambiare aula, chiedo alla segretaria timida una lampada. Non resisto a stare al buio. La preside promette di pensarci. La segretaria timida mi procura una piantana da pavimento. Per leggere devo stare sotto la piantana da pavimento, che occupa un bel po’ di posto, nella già piccola aula. Io mi compro anche una piccola torcia.

Un giorno devo fare lezione alla prima media, in un’aula luminosa. La collega di religione mi chiede di lasciarle quell’aula e mi invita ad usare l’aula magna. e sia, andiamo in aula magna, ma ci sono le sedie e non i banchi, i bambini devono scrivere la verifica seduti in terra, con il foglio appoggiato sulla sedia davanti oppure tenendo il foglio sulle ginocchia. Meno male che l’aula magna è luminosa. Lo stesso episodio si ripete un paio di volte.

La cosiddetta aula di tedesco viene usata dalla suora inquietante anche per colloqui con genitori e professori. Mi convoca lì dentro più volte, anche per dirmi di farmi aiutare per il registro elettronico, da un altro professore. Le spiego che il registro elettronico non è ancora stato attivato dalla segretaria. Lei mostra di non credermi.Secondo lei io sarei un bugiardo. Il registro elettronico viene attivato per tedesco verso novembre. Devo trascorrere due pomeriggi interi per aggiornarlo. Meno male che si può aggiornarlo anche da casa.

Mi faccio spedire qualche poster della Germania, per migliorare l’aula, uso la piantana e la torcia, fino a che, fino a che non accade il fattaccio, per così dire. Un giorno finisco la mia lezione ed entra la suora inquietante con dei genitori. Io esco velocemente, dimenticandomi di spegnere la luce. Quando torno, il giorno successivo, la lampada non c’è più. Chiedo lumi alla segretaria timida, la quale mi risponde che è un ordine della preside. Vado dalla preside e lei mi dice che è una punizione per averla tenuta accesa il giorno precedente. Io protesto e le dico che è molto difficile fare lezione in quella situazione. Lei promette di trovare una soluzione. Quel giorno non leggo, mentre i ragazzini sgranano gli occhi sul libro e il quaderno. Al pomeriggio vado a comprarmi una lunga torcia da cantiere. Da quel momento in poi avrei letto sempre con l’aiuto della torcia, per non accecarmi. Un sabato mattina c’è un open day, io rivolgo il libro verso il poco sole che entra dalla finestrina in alto, quando la porticina dell’aula si apre e un bambino la mostra ai genitori. Quando si accorge della situazione chiude la porta di scatto. Dietro di loro c’è la suora inquietante, con aria arcigna. Dopo circa un mese dalla punizione della suora inquietante, mi viene comunicato che potrò andare a fare lezione con la seconda e la terza media in aule luminose. Chissà perché la seconda e la terza superiore non hanno diritto ad un’aula luminosa.

I giorni passano e arriva un giovedì umido e freddo di marzo, il mio ultimo giovedì di ricevimento genitori. Dobbiamo essere presenti sempre, anche se non ci sono genitori che hanno preso l’appuntamento. Il ricevimento avviene nella mensa, nei sotterranei umidi e freddi. è la mensa delle elementari, i tavoli e le sedie sono bassi, anche lì è buio. Accendo la luce, per essere un po’ meno triste, una suora grassa e arcigna la spegne poco dopo. Al sabato finisce il mio incarico, in ossequio alla continuità didattica, come la chiamano. Gli ultimi due mesi i ragazzi avranno un’altra insegnante, solo perché io mi sono ribellato ai soprusi della suora inquietante, che violava il contratto che lei stessa aveva firmato.

Ora penso ad alcune cose: penso alla suora inquietante, che ogni tanto sta male, perché ha la leucemia, penso alla suora grassa e arcigna, la quale, risponde con fastidio a chi le chiede come sta la suora inquietante, perché la odia, evidentemente. Penso alle ore di spiritualità, in ginocchio nella cappella scolastica, mentre la suora inquietante esalta la figura di una beata che passava le notti a contemplare l’immagine di una madonna. Penso ad un frate francese che esalta una setta religiosa fondamentalista, davanti agli alunni, nella quale gli adepti ripetono, con occhi spiritati e le braccia alzate, god is great, god is awesome. Non esalta Don Puglisi, Don Gallo, Don Ciotti. Già.

Penso che non tornerei mai là, dalla suora inquietante.