Con infinito piacere ripubblico un post di Andrea Scanzi su Priebke:
Continuo a leggere inviti alla tolleranza e al perdono riferiti a Priebke. Li rispedisco al mittente: la morte non cancella le colpe. E neanche impone una sorta di rispetto obbligatorio. La pietas si conquista, in vita come in morte, e non ne provo alcuna per Priebke. Né da vivo e né da morto. Il nazista Erick Priebke partecipò in prima persona, il 24 marzo 1944, al massacro delle Fosse Ardeatine,… annotando da freddo burocrate i nomi delle vittime (335), sparando anche lui su civili inermi e mai rinnegando quel gesto (“Eseguii gli ordini e le vittime erano tutte terroristi”). Non ha pagato le sue colpe, tra latitanze dorate in Argentina e “permessi di lavoro” nonostante l’ergastolo. Il suo non era un ruolo “minore”. Era uno dei boia che svolgeva in prima persona gli interrogatori-tortura a Canton Mombello. La staffetta partigiana Agape Nulli raccontò al Corriere della Sera: «Ricordo il giorno dell’interrogatorio, Priebke entrò nella stanza puntandomi l’indice contro e mi chiese a bruciapelo “Hai letto la Bibbia?”. Gli risposi di no, sapevo che era una domanda tranello per scoprire se fossi ebrea. Poi mi domandò dove si nascondevano i miei fratelli, anche loro partigiani, ma non potevo saperlo perché mi trovavo in carcere da più di un mese. Il mio incontro si chiuse lì, altri miei compagni di sventura furono assai meno fortunati: Bruno Gilardoni fu riportato in cella più morto che vivo dopo ore di interrogatorio appeso al soffitto con una fune, altri furono inviati nei campi di concentramento e lì morirono» Nessun crimine del Novecento è stato abnorme come il nazismo. Quell’abominio reiterato è stato la forma più gigantesca di Male sulla Terra. Una vergogna ostentata, un sadismo scellerato, una crudeltà “ideologica” terrificante. Che occorre ricordare, per non ricascarci un’altra volta. Appartengo, orgogliosamente, a una razza (temo) in estinzione. Appartengo alla razza che ha camminato sui sentieri dei nidi di ragno di Calvino. Che ha pianto con il partigiano Johnny di Fenoglio. Che ha rivissuto la guerra civile nei saggi di Pavone. Appartengo ai partigiani che quella sera ormai lontana ad Alba, nella chiesa di San Domenico, hanno applaudito i CSI. Appartengo a quelli che rabbrividiscono di fronte ai negazionisti e si incazzano quando leggono i deliri quasi-intellettuali di un Odifreddi (mito inspiegabile e soporifero di una certa sinistra salottiera) che scrive: «Il processo (di Norimberga) è stata un’opera di propaganda». Sono uno di quelli che a Sant’Anna di Stazzema c’è stato, lì e in troppi altri luoghi, a Civitella in Val di Chiana come a Monte Sole (Marzabotto), per omaggiare le vittime dei tanti eccidi perpetrati da bestie come Priebke. E ho sognato anch’io, come Tarantino, che la fine dei nazisti coincidesse con il liberatorio grand guignol di Inglorious Bastards. Questi equilibrismi su nazismo e pietà cristiana mi hanno rotto le palle. C’è un limite anche all’ipocrisia. Io provo pena se muore Mario Monicelli. Pena e dolore. Provo pena se muore Peppino Impastato, se muore Rosario Livatino, se muoiono Franca Rame e Don Gallo. Quando invece muore uno come Priebke, mi dispiaccio unicamente che sia accaduto soltanto nel 2013. Io non perdono a prescindere, e soprattutto non dimentico.