salute

Cimiteri

è un buon periodo, questo, almeno discreto, quindi non ho nulla di cui lamentarmi. Stavo pensando a dei tristi anniversari che mi riguardano, per quanto riguarda dicembre, a problemi di salute, alla perdita di controllo che ho avuto sul mio corpo. Svenire, senza un motivo apparente, lascia straniti, basiti, atterriti. Avere una famiglia che ti considera un moribondo, anche se dall’ospedale ti dimettono immediatamente, consigliandoti di sottoporti a qualche esame, ma senza fretta, ti mette in un regime di eterna emergenza, che ti toglie la normalità della vita. Era solo qualche anno fa, stavo sprofondando. Vedere i miei alunni mi ha salvato, stare con loro mi ha fatto rivivere.

Pubblicità

Fiori e dolori

INCERTO LOTTATORE CONTRO L’INSICUREZZA

4 anni fa ero stato nella stessa scuola. Era stato un anno bello, di gioie a scuola e qualche sofferenza di salute. All’inizio dell’anno mi viene proposto un corso collettivo di russo, al pomeriggio. Era necessario un numero minimo di 15 persone, quando lo seppi persi ogni speranza, ma ero già contento della proposta del preside. Fu così che si iscrissero più di 20 persone, di cui molti erano già miei alunni della mattina. Molti mi avevano detto che si sarebbero iscritti solo per la mia presenza. Che grande orgoglio, che grande responsabilità per me. Mi sento come una fogliolina al vento, mi sento piccolo come un granello di sabbia. C’è qualcuno che mi vede come un esempio, qualcuno che mi vede addirittura come un mito, come quella ragazza bella con i capelli ricci, la cui madre mi ringraziò per quello che facevo per i ragazzi. Il preside mi ferma per i corridoi. Vuole farmi i complimenti per i risultati del corso di russo. Mi dice: “Si comunica quello che si è”.

Sono insicuro, la mia insicurezza supera, a volte, il livello di guardia, come quando non riuscivo a saltare 45 centimetri a piedi uniti, quella volta con la personal trainer. Era solo una questione mentale, solo un fantasma che mi portavo dentro. E poi ho scacciato quei fantasmi, anche grazie alla mia meravigliosa pt, che mi ha permesso di riacquistare una forma più che decente, dopo che mi stavo ovalizzando, oltre che stima nelle mie capacità.

Ogni tanto mi fa quasi paura godere di questa stima, godere di questo affetto, essere visto come un modello. Non so se ho le spalle così robuste, ma mi fa tanto tanto piacere.

Tra due giorni avrò la prova scritta del concorso per la scuola. Non ho studiato nulla, non penso che supererò l’esame. Stavo quasi pensando di non presentarmi nemmeno. Poi ho pensato che devo andare. Lo devo ai ragazzi, lo devo ai genitori che ho incontrato nel corso degli anni. Lo devo alle persone che hanno avuto e hanno fiducia, stima e affetto per me, come mia nonna, che è e sarà sempre una delle mie più grandi tifose. Lo devo a me stesso, di ora e di ieri, che poi sono la stessa persona. E poi vada come vada, anche se non mi piace l’idea di sostenere prove scritte e magari prove orali. Avrei voluto andarci preparato, ma non ho avuto né il tempo, né la voglia di farlo. Ho altri interessi, tanto altro da fare. Una volta studiavo sempre, prima dei compiti in classe e delle interrogazioni. Vada come vada.

Buona vita.

M.

Fine

e anche quest’anno scolastico se ne è andato, nell’atmosfera un po’ rarefatta della didattica a distanza, seduto al mio tavolo, davanti al mobile della mia antenata, molto bello. Se ne è andato in diretta dal mio salotto, dove ho fatto lezione, ma anche sedute di personal training e zumba, durante il confinamento. Se ne è andato tra qualche problema di salute mio, tra novembre e dicembre, che i miei ragazzi mi hanno fatto scordare, con il loro affetto meraviglioso. Se ne è andato tra miei esami medici, in cui sono stato anche legato come un cotechino (niente bondage, era solo un tilt-test). è stato il secondo anno all’istituto alberghiero e li ho visti ancora crescere, splendidamente imperfetti e pieni di contraddizioni, ma anche in grado di farti sentire a casa tua. Se ne è andato tra i miei viaggi di 45 km andata e ritorno, ascoltando cantautori, reggaeton e hard rock. se ne è andato con la speranza di tornare lì, pensa un po’, spero di tornare lì, anche se fanno una gran fatica con il tedesco, anche se la mia quinta adorata se ne andrà, anche se se ero abituato con licei e ragionerie. Spero di tornare lì, perché quando ero uscito dall’ospedale, quel giorno, dopo quell’esame, sono arrivato lì con la sensazione di essere in paradiso. Se mi avessero offerto un milione di euro in cambio, non li avrei accettati.

M.

Le emozioni

è il giorno di San Giuseppe e i fazzoletti di neve cadono implacabili. Io non amo la neve, la detesto, perché impedisce gli spostamenti. Non amo guidare con la neve, ma non attacca al suolo. I mesi precedenti erano stati difficili, macchiati da due ricoveri in ospedale. Lavoro in una scuola superiore della pianura, frequentata da ragazzi sereni e positivi. Stavo seduto sul lettino del medico, ero perplesso. Le chiedo, sarà prudente che io vada in gita con gli alunni. Lei mi risponde, certo che sì, puoi farlo, anzi ti farà bene.

Quando mi alzo, devo ancora preparare dei bagagli .  Mi ero alzato un po’ prima del solito per finire di prepararli. Mi lavo, mi vesto e faccio colazione. Ho una grande elettricità, una tensione positiva. Esco dal palazzo con la valigia e la metto in macchina. Sembra tutto speciale, forse lo é. Lo è. Vado a prendere il giornale e mi metto alla guida sulla lunga strada di pianura. Il tempo è più leggero, la strada dura di meno. Arrivo davanti alla scuola, il ritrovo è alle 7. Arrivo circa dieci minuti prima e ci sono quasi tutti i ragazzi con i genitori. Hanno sonno e sorridono, sono entusiasti e un po’ stanchi. Metto la mia valigia sul pullman e occupo il mio posto. Sembra tutto così normale, anzi lo é. Dobbiamo andare prima a Monaco e poi a Praga. è una normale gita scolastica, anzi è straordinaria. Sono felice ed elettrizzato, saluto gli alunni e i miei colleghi, parlo con loro e con i miei alunni. Sono arrivati anche gli ultimi alunni ed è il momento di partire. Andrei dovunque.  Lo scolaretto sono io, più carico di loro.

Il viaggio a Praga e Monaco è un viaggio fatto di sorrisi e di emozioni. Scrivo al presente, perché questo viaggio non è mai finito. Nella mia mente e nel mio cuore continua a produrre effetti, effetti positivi. Mi ha curato l’anima. è una storia di gioia, di bellezza. è una storia da raccontare, come ce ne sono tanti. è una storia che costruisce fiducia, come ce ne sono tante in questo blog. è una storia che tiene fede allo spirito che dovrebbe animare questo luogo virtuale, spero che lo si possa chiamare così.

un po’ ridicolo

capisco di essere un po’ ridicolo, o molto ridicolo, a seconda dei punti di vista, ma quello che mi è successo, tra la fine di giugno e luglio, mi ha segnato pesantemente.

è un sabato molto caldo, sto per partire per Padova, per andare a cena in un bel ristorante. faccio la doccia, dopo di che noto sulle mie caviglie un rossore strano. noto che sono un po’ rosso sotto l’ascella destra. non sono particolarmente preoccupato, ma decido lo stesso di andare in farmacia. nella prima farmacia il commesso non mi sa dare risposta, nella seconda mi da una pomata, di cui mi sono già scordato il nome. vado a Padova, mi sono scordato di portarmi una camicia. vado al centro commerciale a comprarne una. alla sera sono a cena in un ristorante elegante, tre stelle Michelin. La cena è fantastica, ecc. ecc. Vado a letto. Il giorno dopo è ancora più caldo, vado in giro per Padova con i pantaloncini. sudo molto e mi affatico. torno a casa.

il mattino dopo mi ritrovo le gambe coperte da “ustioni”, dalle ginocchia fino al piede compreso. non mi fanno male. devo andare a scuola, a una delle riunioni preparatorie per l’esame di maturità. dalle “ustioni” esce del siero. chiamatemi idiota e incosciente, potete farlo, ma aspetto la fine della riunione per andare in farmacia. vado in farmacia, spiego la faccenda e mi danno della connettivina, con garze e la rete. vado a casa e mi medico. Mi addormento un’ora.

Vado in palestra al pomeriggio e le gambe fanno un male cane (resisto fino alla fine, chiamatemi stupido, fate bene). Il giorno successivo torno in palestra e le gambe fanno male, ma un po’ meno. La connettivina produce un po’ di effetto, meno male. Passano i giorni e le ferite alle gambe se ne vanno, anche se rimangono le ferite ai piedi. Mi sento disorientato, non mi sento più io. Il mio corpo è deforme, le gambe sono gonfie, un po’ meno dei primi giorni. Avverto anche meno il piacere del cibo. Vuol proprio dire che non sono più io. Per due giorni ho nausea e pressione bassa, vuol dire che non sono più io.

Ricomincio ad andare ad allenarmi, dopo qualche giorno. Le gambe fanno un male cane, anche se non ho più ferite. Sabato non ho molte energie, mi sento un po’ fiacco. Vado a fare la spesa. Vado al ristorante, ma non mi diverto e mangio con meno appetito. Torno a casa e mi levo le scarpe. I piedi sono pieni di piaghe e vesciche purulente, gonfi come meloni. E ancora non vado al pronto soccorso. Passo la domenica con due miei conoscenti un po’ strani. Andiamo ad un centro commerciale, io ho le ciabatte e qualcuno mi addita. I miei piedi sono intrisi di liquido. Al lunedì sto chiuso in casa, vado all’edicola vicina con l’automobile, molto presto. al martedì faccio la stessa cosa, così come al mercoledì, ma non ce la faccio più. vado in farmacia, sperando che la farmacista mi prescriva qualcosa, ma, giustamente, mi dice di andare all’ospedale. Faccio fatica a camminare, con quel siero che esce dalle vesciche.

sono sempre più disorientato e triste. al pomeriggio vado da mia madre, pensando che mi possa aiutare in qualche modo, o medicare in qualche modo. Sto pensando di andare all’ospedale seriamente. Sarà anche il caso, visto che i miei piedi, specialmente il destro, sono ridotti da schifo.  Mia madre è una donna ansiosa, come tutte le mamme, mia madre forse un po’ di più. fa una tragedia, mi mette ancora più ansia. Sarei dovuto andare all’ospedale da solo. Mi accompagna all’ospedale, con la sua macchina scassata. sono rassegnato ad andarci, ma con lei faccio finta di non esserlo. chissà perché. vado al triage, dove spiego tutto ad un’infermiera disattenta. Mi attribuiscono il codice verde.

Ci sono tante persone, molti anziani, in quel luogo. Guardo nel vuoto e guardo il cellulare, mezzo scarico. Non ho neanche niente da leggere. Non sono più io. C’è una signora di una certa età, vuole parlare. Mia madre è rimasta fuori in macchina. Mi racconta che ha prurito ad un fianco. Mi chiede che cosa ho io. Parlo. Sto un po’ meglio psicologicamente. Torna mia madre, con lo sguardo sconvolto. Mi critica per cose che non c’entrano niente. Ho ancora più ansia. Ci sono anziani sulle lettighe, ragazzi. Mia madre torna fuori, a pagare il tagliando del parcheggio.

Le ore  non passano mai. Un’infermiera chiama il mio cognome, la seguo velocemente. Entro in un ambulatorio dove c’è una dottoressa giovane e un po’ arrogante. Le racconto quello che mi è successo e mi prende per bugiardo. Sarò stato stupido, ma bugiardo no. Mi sdraio sul lettino. La dottoressa mi fa paura, dicendo che mi vuole ricoverare. Io rispondo atterrito che non voglio, mi dice, ma lei rischia di perdere le gambe. Lo fa apposta per farmi paura. Lei deve sottoporsi ad una terapia antibiotica, deve fare l’ecodoppler e andare dal dermatologo. Mi lavano le ferite. Mi bendano le gambe e i piedi fino alle ginocchia. Le devo fare un prelievo. Era dal 1996 che non lo facevo. (sono strano, lo so). I lettori mi perdoneranno se non abbondo in particolari su questo aspetto del racconto, ma ho il terrore e il ribrezzo per quell’argomento e non vorrei rimettere sul computer. Sappiate che ho tenuto un ottimo comportamento, da bravo ometto. La dottoressa arrogante mi dice, le darei una botta in testa, per aver aspettato dal 27 giugno al 13 luglio. Ha ragione.

Arriva un’altra dottoressa, con l’aria tranquilla. La dottoressa un po’ arrogante mi prende in giro davanti alla collega e se ne va, è il cambio turno. La dottoressa un po’ arrogante mi ha chiesto perché sono andato all’ospedale. Le rispondo, per colpa del liquido che mi esce dai piedi. La dottoressa giovane e un po’ arrogante se ne va. La sua collega mi finisce di bendare e mi fa salire su una lettiga. Mi trasportano in un open space, assieme a tanti altri malati, soprattutto anziani. Solo una tenda mi divide dal malato di fianco. Sono di fianco all’entrata. Entra un ragazzo, vittima di un incidente stradale, tutto fasciato, tranne la faccia. Sto male, ma non per i miei piedi, per quello che vedo. Una signora anziana si lamenta, ha fame, deve andare in bagno. Un signore anziano chiama la badante, che era andata a fumarsi una sigaretta. Aveva paura di aver perso i soldi, li aveva lei. Li conta davanti a lui. Gli racconto come li ha spesi. Ha provato a chiamare i parenti dell’uomo, ma non rispondono. Passa un’infermiera e le chiedo che ne sarà di me. Non mi sa dire niente. Passa la dottoressa e mi dice che deve aspettare i risultati degli esami. Sollevo le gambe, abbasso le gambe. Sono le 22 e la dottoressa mi dice che posso andare. E chi mi libera dalla flebo? Arriva un’infermiera, mi sfiora il piede, per fortuna che non ho dolore. Mi toglie la flebo, con poca delicatezza. Ho i piedi fasciati ed esco dall’open space. Vuole che le chiami un taxi, mi dice l’infermiera. Aspetti che controllo se c’è la persona che è con me. Mia madre è rimasta lì, da 7 ore. Esco dal pronto soccorso, con i piedi fasciati e avvolti in copri scarpe, lo sguardo sconvolto. I valori delle mie analisi sono buoni, però, la glicemia un po’ alta, ma non preoccupante. Vado a casa e mangio male. Mi lavo e vado a letto. Il giorno successivo mi avrebbe atteso l’eco doppler e la visita dal dermatologo. Alle quattro del mattino apro gli occhi e non riesco più a dormire. Ho ancora negli occhi le immagini di quello che ho visto.

Vado all’ospedale e mi fanno la visita angiologica. Non ho trombosi, meno male. La dottoressa e l’infermiera sono ritardatarie, ma gentili e premurose. La dottoressa mi dice che ho i muscoli robusti e che si vede che faccio sport, soprattutto per il cavo popliteo. Dice che devo camminare molto. Ho una forte infiammazione e questo si sapeva. Mi fascia di nuovo e mi tocca andare dal dermatologo. Il dermatologo mi dice che non ho l’infezione, ma ho un eczema da stasi. Il dermatologo non guarda nemmeno l’ecodoppler. Maneggia le mie gambe, come se fossero un pezzo di carne morta. Mi fa un impacco di acqua borica, brucia da matti. Dice che devo stare quasi fermo, con le gambe in posizione di scarico, tenute verso l’alto. Ho in programma, per quel fine settimana, due giorni a Roma. Esco e mi compro le scarpe da infortunato, costano 140 euro, ammazza. Devo sottopormi a medicazioni all’ausl. Mi deve fare l’impegnativa il mio medico di famiglia, un perfetto stronzo. Ritorno alla vita solita. Il mercoledì successivo inizio le medicazioni. C’è un’infermiera giovane, ma poco delicata. Mi fascia troppo stretto e mi fa male. Mi faa un po’ di ramanzina, per la glicemia un po’ alta, ma non preoccupante. Mi dice che, se mi fa male, posso togliermi le fasciature. Torno a casa e mi tolgo le fasciature. Vado in palestra, dove mi alleno con le ciabatte. Non ho più vesciche e alleno solo petto, bicipiti e addominali. sono andato a Roma, lo spirito e il corpo ne hanno guadagnato. Adesso devo andare a fare la spesa. continuo più tardi. Non vi preoccupate che finisce abbastanza bene.