In questo blog racconto i sentimenti, cercando di non scadere nel patetico. Parlo della scuola da un punto di vista emotivo, cercando di non scadere nella retorica. Quando mi fermo a pensare capisco più cose di quando debbo correre da una lezione all’altra, da un impegno all’altro.
è luglio, penso a cosa è successo quest’anno e mi viene da sorridere. Sorrido delle gioie, tante, che ci sono state, ma sorrido anche dei problemi. Mi hanno aiutato a diventare un po’ più grande, anche se, al momento, mi sono sentito in forte difficoltà, un bel po’ solo. Ho percepito di essere solo, a volte, in mezzo ad una folla di persone. The man in the crowd, per fare una citazione letteraria. Forse se c’è troppo da fare, ci sono classi troppo grandi, scuole troppo grandi, se c’è troppo, non si ha nemmeno voglia di ascoltare. Ho avuto colleghi comprensivi, con i quali ho condiviso molto, ma ho sbattuto anche contro dei muri di gomma. Perché non mi arrabbio, pensando alle difficoltà? Perché ho sempre saputo che ci sarebbero state, perché so, banalmente, che fa parte del mestiere. Perché so che posso pensare anche alla mia libera professione di traduttore, quando voglio. Perché amo troppo fare l’insegnante. Forse sì.
Quest’anno ho conosciuto molte classi. Ne ho conosciuta una, una quarta, grande grande, 27 persone. A me fanno un po’ paura le classi grandi, vengo da un istituto dove le classi sono piccole. Ci sono alcune ragazze, decise e determinate, che sono le leader, comandano anche i maschi, oltre che le altre femmine. Da quando sono entrato la prima volta ho cercato di familiarizzare. Mi piace creare un clima positivo, fare qualche battuta. Non riesco ad essere sempre serioso, per me la scuola non deve essere una penitenza. Bisogna lavorare, ma in un clima disteso, altrimenti non si vive bene. Alle volte i ragazzi di quell’età non accettano mezze misure: sono insicuri, fragili, incerti e quando vedono un insegnante che è sceso dal piedistallo, perché ci si trova male lì sopra, lo considerano poco serio. Mi guardano male, con aria di disappunto e sfida, mi colpisce in modo particolare lo sguardo di MM, una ragazza che ha degli occhi che non possono essere cattivi, come li vuole far sembrare.
Mi disturbano cercando di farmi cadere in errore, per poi attaccarmi. Si arrabbiano, se mi manca qualche fotocopia del compito in classe e decido di rinviarlo. Studiano mal volentieri la grammatica, che io cerco loro di spiegare dal loro brutto libro. Non mi piace, ma penso, visto che i loro genitori l’han comprato, forse varrà la pena usarlo. Un giorno vanno addirittura dal preside per protestare. è la goccia che fa traboccare il vaso, è un sabato, quello che è successo mi rovina il weekend. Mi sento tradito, mi sento solo, perché so di aver fatto il mio dovere e di non meritarmi questo. Vorrei andare da loro, quel sabato, per sfogare la mia rabbia, ma decido di soprassedere, rischierei di dire delle parole di cui potrei pentirmi, con tutto quel che ne consegue.
Aspetto il lunedì, alle ultime due ore ho lezione con quella classe. Per me erano diventate un incubo quelle due ore. Prima di loro ho un’ora vuota. Sono in sala insegnanti, sembra la stazione, sembra un porto di mare, siamo in un centinaio di prof. Mi trovo a parlare con una collega di questo problema, la quale prima mi consiglia di mettermi in malattia, mai lo farei, sarebbe rinunciare, poi mi ascolta in silenzio. Parlo, parlo, e mi capita una cosa strana. Il tono della mia voce cambia e mi accorgo che sto quasi per piangere. Io sono una persona riservata, che cerca di non mostrare tanto i propri sentimenti, ma non ce la stavo facendo più. dovevo sfogarmi. Fortuna che suona la campana.
è il momento di andare in quella classe, entro con il volto livido di rabbia, tutti se ne accorgono. Parlo a voce bassa, con parole secche e dure. Il vostro comportamento è stato grottesco, rivolgendovi al dirigente per simili sciocchezze è come se aveste cercato di curare un raffreddore chiamando l’ambulanza, tanto più che molti dei problemi li avete causati voi. Una ragazza, una delle cape, una di quelle che mi guardavano male, alza la mano. Mi dice che non apprezzano il loro libro di testo, che l’anno precedente ne avevano utilizzato un altro. Una ragazza che non mi aveva mai guardato male, si dice pronta a regalarlo. Mi dicono, per favore utilizzi il nostro manuale solo per il lessico. io dico loro che nemmeno io amo quel manuale, che lo utilizzavo solo perché i loro genitori avevano speso del denaro. Mi dichiaro disponibile ad utilizzare quell’altro manuale, dopo averlo visionato. Accetto il regalo della compagna. Gli sguardi cambiano, soprattutto mi colpisce lo sguardo di MM, la ragazza di prima. Gli occhi rivelano la loro natura di buoni. Gli occhi belli devono essere buoni. La lezione fila molto bene, per la prima volta. e così anche la volta successiva.
Al pomeriggio c’è il consiglio di classe, con la presenza dei rappresentanti degli studenti. Durante la seduta una ragazza, SC, bella e dolce e che non mi aveva mai guardato male, prende la parola per chiedere scusa a me, a nome della classe, davanti ai colleghi e ai rappresentanti dei genitori. Faccio un gesto di assenso con il capo, sono un bel po’ emozionato.
Quel giorno siamo cresciuti, sono cresciuti loro, che hanno acquisito il comportamento giusto, ma sono cresciuto anche io, perché ho capito che si può dare una risposta sbagliata, cioè l’odio verso di me, ad una domanda giusta. Vogliono una scuola che li educhi, che dia loro contenuto, sono diffidenti e fanno anche bene. Alle volte, come è stato per me, hanno esagerato. Non è vero che bisogna accontentarsi, come dicono certi colleghi, visto che questo è un ITC. Loro non si accontentano e bisogna cogliere l’aspetto giusto, anche quando sbagliano.
Quando mi sono trovato a scrivere queste stesse parole a MM, la quale mi aveva chiesto l’amicizia su FB, sono stato contento di me e di lei e dei suoi occhi buoni. Quando mi ha scritto che, all’inizio non le piacevo come prof, e poi si è ricreduta, ho capito che era cresciuta tanto e, forse, una piccola percentuale di responsabilità è stata anche mia.