pianto

10 anni e un giorno

Sono passati 10 anni e 1 giorno dall’inizio di questo blog. Ieri non ce l’ho fatta a scrivere, perché piangevo a dirotto. Mia madre sta male, l’ho vista, ho trattenuto le lacrime e sono uscito. Ho pianto cascate di lacrime.

Ho sentito la mia persona del cuore. Voglio vedere la mia persona del cuore e fare l’amore con quella persona, sperando di farcela fisicamente.

Vabbè, che schifo di post.

Mia madre ha, con ogni probabilità, delle metastasi al fegato. Faremo altri esami.

Vabbé. Passo e chiudo. Se fosse qui con me, quella persona, faremmo l’amore, l’amore come droga, come necessità fisica, morale, come farmaco.

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ma adesso basta

Sono solo in casa e un silenzio assordante mi devasta e distrugge. Sento che devo scrivere, per curarmi. Ho bisogno della parola, per frantumare il dolore. Il mio corpo è sempre stato in salute e da un po’ di tempo non risponde ai comandi. Vado in ospedale e faticano a capire cos’ho. Non so neanche io cosa ho di preciso. Qualcuno ha sospettato perfino che io fossi drogato. Non fumo nemmeno. Sono pieno di angoscia, paura e un senso di vuoto mi opprime. Ancora per qualche giorno non potrò fare sport. Ricomincio il 20, o almeno spero, dopo un mese. Vi prometto che smetterò presto, l’inverno dell’anima deve finire.

Non riesco nemmeno a piangere.

stanco, svuotato, ansioso e depresso

per fortuna c’è il sole. mi sento privo di energie, forse sarebbe meglio che piangessi, per sfogarmi. cerco di lavorare, cerco di fare cose, per non pensare. ci provo. Ho le mie traduzioni, però mi sento inutile come una scarpa rotta. Mi sembra di essere disoccupato, invece ho un lavoro che mi soddisfa. Mi annoio da solo, mi sento sciocco e grottesco. Stamattina, mentre andavo verso il tribunale (stavo scrivendo ospedale, capite???) la mia playlist di spotify ha messo questa canzone. Il testo e l’interpretazione sono belli, un bel po’ belli.
Metto il testo:
Ci penso da lontano da un altro mare un’altra casa che non sai

La chiamano speranza ma a volte è un modo per dire illusione

Ci penso da lontano e ogni volta è come avvicinarti un po’

Per chi ha l’ anima tagliata l’amore è sangue, futuro e coraggio

A volte sogni di navigare su campi di grano

E nei ritorni quella bellezza resta in una mano

E adesso che non rispondi fa più rumore nel silenzio il tuo pensiero

E tu da li mi sentirai se grido

Io non ho paura

Il tempo non ti aspetta

Ferisce questa terra dolce e diffidente

Ed ho imparato a comprendere l’indifferenza che ti cammina accanto Ma le ho riconosciute in tanti occhi le mie stesse paure

Ed aspettare è quel segreto che vorrei insegnarti

Matura il frutto e il tuo dolore non farà più male e adesso alza lo sguardo

Difendi con l’amore il tuo passato

Ed io da qui ti sentirò vicino

Io non ho paura

E poi lasciarti da lontano rinunciare anche ad amare come se l’amore fosse clandestino

Fermare gli occhi un istante e poi sparare in mezzo al cielo il tuo destino

Per ogni sogno calpestato ogni volta che hai creduto in quel sudore che ora bagna la tua schiena

Abbraccia questo vento e sentirai che il mio respiro è più sereno

Io non ho paura

Di quello che non so capire

Io non ho paura

Di quello che non puoi vedere

Io non ho paura

Di quello che non so spiegare

Di quello che ci cambierà

vincono le persone

Sono stati giorni difficili. La notizia della fine del mio incarico mi ha sconvolto e addolorato un bel po’. Mi sono affezionato ai miei ragazzi, che saranno sempre i miei ragazzi. Mi hanno mandato, ragazzi e genitori, e-mail bellissime, piene di gratitudine per quello che ho fatto in questo periodo. Ho rischiato di piangere più volte, davanti al computer o al tablet. Oggi è stato l’ultimo giorno, ho risalutato i ragazzini delle medie, ho salutato i ragazzi del liceo. All’ultima ora ho pianto, era la prima volta che mi succedeva davanti agli alunni. 

Mi hanno scritto frasi, di cui Vi scriverò, che mi resteranno per sempre dentro, mi hanno fatto emozionare. Ho vinto come insegnante, ho vinto come persona soprattutto. Ho dimostrato, in questi mesi, di essere una persona e non un personaggio, di essere una persona che vuole bene agli alunni e alla materia che insegna, ma, prima di tutto, una persona. Mi mancano già. 

P.S. Ho raccolto tutte le mail in una cartella, intitolata “cose bellissime”.

P.S. La megera che ho sostituito è una babbiona esaurita. Quanto durerà a scuola???? Spero poco… (lo so che sono cattivo)

100, grazie. ma anche tanta tristezza

Volevo cominciare con un ringraziamento a tutti, sono arrivato a 100 followers.

La tanta tristezza è a causa di quella preside. Come sapete, ho 10 ore di insegnamento, non 18, e ho fatto presente la cosa alla preside, chiedendole il riproporzionamento (parola orribile) degli impegni del pomeriggio, ho meno ore, non vedo perché dovrei partecipare a tutti gli impegni, come se ne avessi 18. All’inizio del mio periodo di insegnamento Lei si era mostrata disponibile, salvo poi rimangiarsi il tutto con una mail, che mi ha mandato prima, nella quale mi comunica che devo partecipare a tutti gli impegni, senza eccezione e che, se non sono in grado di continuare, devo desistere dall’incarico. 

Mi sento veramente deluso e amareggiato, io le ho risposto ricordandole cosa mi aveva detto e copiandole un pezzo del contratto da me sottoscritto, nel quale è prevista la proporzione degli impegni per chi ha l’orario ridotto come il mio. Non mi ha ancora risposto. Mi sento deluso, amareggiato, preso in giro, triste. Ho i brividi, ho voglia di piangere per la rabbia. Io sono una persona leale ed onesta, io non prendo in giro la gente, perché devo incontrare questa gentaglia???? Così non mi ci trovo, questo ambiente non è quello che cercavo. Questa esperienza mi sta lasciando anche pochino, per quanto riguarda gli alunni. 

Perché mi devo rovinare la vita per questa gentaglia?

sentire forte

In questo blog racconto i sentimenti, cercando di non scadere nel patetico. Parlo della scuola da un punto di vista emotivo, cercando di non scadere nella retorica. Quando mi fermo a pensare capisco più cose di quando debbo correre da una lezione all’altra, da un impegno all’altro.

è luglio, penso a cosa è successo quest’anno e mi viene da sorridere. Sorrido delle gioie, tante, che ci sono state, ma sorrido anche dei problemi. Mi hanno aiutato a diventare un po’ più grande, anche se, al momento, mi sono sentito in forte difficoltà, un bel po’ solo. Ho percepito di essere solo, a volte, in mezzo ad una folla di persone. The man in the crowd, per fare una citazione letteraria. Forse se c’è troppo da fare, ci sono classi troppo grandi, scuole troppo grandi, se c’è troppo, non si ha nemmeno voglia di ascoltare. Ho avuto colleghi comprensivi, con i quali ho condiviso molto, ma ho sbattuto anche contro dei muri di gomma. Perché non mi arrabbio, pensando alle difficoltà? Perché ho sempre saputo che ci sarebbero state, perché so, banalmente, che fa parte del mestiere. Perché so che posso pensare anche alla mia libera professione di traduttore, quando voglio. Perché amo troppo fare l’insegnante. Forse sì.

Quest’anno ho conosciuto molte classi. Ne ho conosciuta una, una quarta, grande grande, 27 persone. A me fanno un po’ paura le classi grandi, vengo da un istituto dove le classi sono piccole. Ci sono alcune ragazze, decise e determinate, che sono le leader, comandano anche i maschi, oltre che le altre femmine. Da quando sono entrato la prima volta ho cercato di familiarizzare. Mi piace creare un clima positivo, fare qualche battuta. Non riesco ad essere sempre serioso, per me la scuola non deve essere una penitenza. Bisogna lavorare, ma in un clima disteso, altrimenti non si vive bene. Alle volte i ragazzi di quell’età non accettano mezze misure: sono insicuri, fragili, incerti e quando vedono un insegnante che è sceso dal piedistallo, perché ci si trova male lì sopra, lo considerano poco serio. Mi guardano male, con aria di disappunto e sfida, mi colpisce in modo particolare lo sguardo di MM, una ragazza che ha degli occhi che non possono essere cattivi, come li vuole far sembrare. 

Mi disturbano cercando di farmi cadere in errore, per poi attaccarmi. Si arrabbiano, se mi manca qualche fotocopia del compito in classe e decido di rinviarlo. Studiano mal volentieri la grammatica, che io cerco loro di spiegare dal loro brutto libro. Non mi piace, ma penso, visto che i loro genitori l’han comprato, forse varrà la pena usarlo. Un giorno vanno addirittura dal preside per protestare. è la goccia che fa traboccare il vaso, è un sabato, quello che è successo mi rovina il weekend. Mi sento tradito, mi sento solo, perché so di aver fatto il mio dovere e di non meritarmi questo. Vorrei andare da loro, quel sabato, per sfogare la mia rabbia, ma decido di soprassedere, rischierei di dire delle parole di cui potrei pentirmi, con tutto quel che ne consegue. 

Aspetto il lunedì, alle ultime due ore ho lezione con quella classe. Per me erano diventate un incubo quelle due ore. Prima di loro ho un’ora vuota. Sono in sala insegnanti, sembra la stazione, sembra un porto di mare, siamo in un centinaio di prof. Mi trovo a parlare con una collega di questo problema, la quale prima mi consiglia di mettermi in malattia, mai lo farei, sarebbe rinunciare, poi mi ascolta in silenzio. Parlo, parlo, e mi capita una cosa strana. Il tono della mia voce cambia e mi accorgo che sto quasi per piangere. Io sono una persona riservata, che cerca di non mostrare tanto i propri sentimenti, ma non ce la stavo facendo più. dovevo sfogarmi. Fortuna che suona la campana.

è il momento di andare in quella classe, entro con il volto livido di rabbia, tutti se ne accorgono. Parlo a voce bassa, con parole secche e dure. Il vostro comportamento è stato grottesco, rivolgendovi al dirigente per simili sciocchezze è come se aveste cercato di curare un raffreddore chiamando l’ambulanza, tanto più che molti dei problemi li avete causati voi. Una ragazza, una delle cape, una di quelle che mi guardavano male, alza la mano. Mi dice che non apprezzano il loro libro di testo, che l’anno precedente ne avevano utilizzato un altro. Una ragazza che non mi aveva mai guardato male, si dice pronta a regalarlo. Mi dicono, per favore utilizzi il nostro manuale solo per il lessico. io dico loro che nemmeno io amo quel manuale, che lo utilizzavo solo perché i loro genitori avevano speso del denaro. Mi dichiaro disponibile ad utilizzare quell’altro manuale, dopo averlo visionato. Accetto il regalo della compagna. Gli sguardi cambiano, soprattutto mi colpisce lo sguardo di MM, la ragazza di prima. Gli occhi rivelano la loro natura di buoni. Gli occhi belli devono essere buoni. La lezione fila molto bene, per la prima volta. e così anche la volta successiva.

Al pomeriggio c’è il consiglio di classe, con la presenza dei rappresentanti degli studenti. Durante la seduta una ragazza, SC, bella e dolce e che non mi aveva mai guardato male, prende la parola per chiedere scusa a me, a nome della classe, davanti ai colleghi e ai rappresentanti dei genitori. Faccio un gesto di assenso con il capo, sono un bel po’ emozionato. 

Quel giorno siamo cresciuti, sono cresciuti loro, che hanno acquisito il comportamento giusto, ma sono cresciuto anche io, perché ho capito che si può dare una risposta sbagliata, cioè l’odio verso di me, ad una domanda giusta. Vogliono una scuola che li educhi, che dia loro contenuto, sono diffidenti e fanno anche bene. Alle volte, come è stato per me, hanno esagerato. Non è vero che bisogna accontentarsi, come dicono certi colleghi, visto che questo è un ITC. Loro non si accontentano e bisogna cogliere l’aspetto giusto, anche quando sbagliano.

Quando mi sono trovato a scrivere queste stesse parole a MM, la quale mi aveva chiesto l’amicizia su FB, sono stato contento di me e di lei e dei suoi occhi buoni. Quando mi ha scritto che, all’inizio non le piacevo come prof, e poi si è ricreduta, ho capito che era cresciuta tanto e, forse, una piccola percentuale di responsabilità è stata anche mia.