parole

La necessità

Quest’anno è volato via, a scuola, con leggerezza e velocità. Questo blog rappresenta la necessità di trovare parole che esprimano sensazioni, che diano continuità e solidità a questi mesi. Devo fermare in queste righe quei sorrisi, quei giorni e quelle settimane iniziate e finite, leste come il vento. Li devo fermare, prima che l’oblio annebbi la bellezza che mi si è depositata dentro. Qualche volta piacciono anche ad altri e questo è bene.

Pochi giorni fa ho dato una dimostrazione di zumba a dei miei alunni. Hanno 15/16 anni. Sono simpatici, quasi tutte femmine, tranne un ragazzo alto e magro. Hanno una conoscenza abbastanza labile del tedesco, ma sono migliorati. All’inizio dell’anno erano molto peggio. Era un caldo boia in giardino, io ero in pantaloni e camicia, non proprio la tenuta ideale per ballare zumba. Loro erano felicissimi ed elettrizzati. Io pure, madido di sudore.

è anche giusto che sia finita, ero un bel po’ stanco.

P,S, Oggi non sono riuscito ad andare in palestra, causa rallentamenti negli scrutini. Ho fatto attività fisica a tutto andare nel weekend, ma ci sono rimasto male lo stesso. Sono incontentabile!

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prestito di parole

Chiedo in prestito le sue parole, perché debbo raccogliere le mie idee. Debbo capire il significato del mio caos. Debbo trovare una via d’uscita intelligente dalla tristezza. Ho prodotto sostanza, ci sono persone che hanno imparato delle cose, ci sono delle persone che hanno respirato bene. Sono riuscito a far lavorare bene e tanto delle persone, sono riuscito ad essere Michele. Ho prodotto civiltà, ho prodotto società. Penso che resterà tutto. Resterà tutto e per sempre. Però ho voglia di sorrisi e ho voglia di energia, ho voglia di guardarli negli occhi, ho voglia di passioni forti. Coraggio. Coraggio.

Mmm….
E’ pur sempre bellissima un’emozione
con le cadute e tutto il male
come una musica, come un dolore lascia il suo segno e non si fa scordare
l’anima in ogni sua imperfezione
ti fa cadere e rialzare
seguire logiche senza ragione
prendere e andare nel nome…

anche se non trovi le parole
hai girato il mondo dentro a un cuore intero…

nessuna replica, poco potere
mentre decidi se ti puoi fidare
il tuo momento ti viene a cercare puoi solo credere
forse saltare
come un elastico senza pensare non c’è più tempo forse fa male

anche se non trovi le parole
hai gitato il mondo dentro a un cuore…
anche se puoi perderti a cercare
hai girato il mondo dentro a un cuore
e devi dire grazie a te se resti come sei
dire grazie a te che
non ti lasci mai
anche se non riesci più a dormire
perchè non ci credi che è la fine
anche se non puoi ricominciare
hai girato il mondo dentro a un cuore intero

Belle giornate

tante volte la fatica ti stronca in questo lavoro, soprattutto la fatica psicologica. io ho un bagaglio di esperienze, ho le mie idee, a volte penso di essere un po’ tanto complesso, forse un po’ troppo. Debbo confessare che, prima di ricevere questo incarico, mi aveva un po’ spaventato l’idea di trovarmi di fronte ad un sacco di bambini delle medie. Pensavo che la gran parte avrebbe fatto fatica a capire me e che io avrei fatto fatica a capire loro. Per fortuna ho avuto dimostrazioni che mi hanno convinto che mi hanno convinto di star sbagliando. Riesco a comunicare anche qualcosa di cui non mi accorgo. Vi ho già raccontato che una ragazzina di seconda media mi ha detto che io non sono come gli altri prof, che sembro quasi uno di loro. 

Pochi giorni fa è stata l’ultima lezione prima di Natale. Io avevo detto loro di preparare dei bigliettini natalizi, un po’ per farli esercitare in tedesco, un po’ per far esercitare la loro creatività, ma anche un po’, diciamocelo, per ingraziarmi la simpatica suora, in fin dei conti sono in casa sua. I ragazzini li hanno dedicati a me, me li hanno regalati e la cosa mi ha sorpreso un bel po’. Non pensavo che mi apprezzassero tanto. La ragazzina che mi aveva rivolto quelle frasi mi ha scritto sul biglietto, lei insegna molto bene tedesco, è molto paziente, simpatico ed estroverso, con un tedesco non sempre perfetto, ma con affetto e sincerità che addolciscono l’anima. Ho fatto lezione per poco, poi abbiamo mangiato dolcetti e cioccolatini, portati dai bimbi, che mi hanno circondato di caotico affetto e attenzioni. belle giornate.

Discrasie

Recentemente c’è stato nella scuola delle suore dove lavoro, l’open day. è la solita espressione inglese, che si usa per infiorettare un concetto abbastanza banale. La scuola rimane aperta, al sabato pomeriggio o domenica mattina, per consentire le visite di genitori clienti potenziali. Confesso di avere difficoltà, quando i miei clienti di traduzioni mi chiedono rassicurazioni in merito alla qualità dei lavori che effettuerò. Io rispondo, citando i nomi di alcune aziende importantissime e autorevolissime che si avvalgono dei miei servigi, per dimostrare che, se loro che sono loro si servono di me, vuol dire che non sono l’ultimo arrivato. Sul mio sito web professionale ho evitato gli autoincensamenti, che mi appaiono piuttosto ridicoli, a vantaggio di una descrizione asciutta e precisa. La scuola nella quale lavoro si descrive con slogan che appaiono molto simili a quelli del dentifricio, con tutto il rispetto per il dentifricio. 

Ma non è di questo che voglio parlare. Voglio parlare di un disagio, del disagio che tanti avvertono, quando notano la differenza tra parole e cose. è quasi patologico. senti che qualcosa non funziona, smetti di essere te stesso. Io ho avvertito questo disagio qualche giorno fa. Ho le ore con le prime medie, i primi giorni li portavo in un’auletta, inutilmente denominata “aula di tedesco”, uno stanzino per le scope buio e polveroso, di 3 metri per 4. Sono 12, eravamo uno sull’altro, una povera bimbetta doveva tenere il quaderno sulle ginocchia. Dopo alcuni giorni la suora evasiva ci manda in un’aula libera, dove gli alunni stanno abbastanza comodi, problemi non ne ho. Ho persino il proiettore. Giovedì la prof di religione mi dice, puoi andare su tu in aula magna, perché io ho bisogno di quest’aula. Che dici alla prof di religione, alla scuola delle suore, sì. Dicesi aula magna una normalissima aula, con computer, proiettore, microfono e pianoforte, con le sedie, ma senza banchi. E i ragazzini dovevano fare il compito in classe. Alcuni ragazzini usavano una sedia vuota come tavolo, ma si storcevano la schiena e, allora si sono dovuti sedere per terra. Due ragazzine carine ed educate mi guardano e dicono, prof, ma non è giusto che facciamo il compito in questa condizione. Li guardo, mi vergogno anche se non è colpa mia, e allargo le braccia.

Sarebbe stato bello se in quel momento fosse passato un genitore interessato a visitare la scuola, per pensare di iscrivere il figlio lì. Sono quelli gli open day.

Le parole e le cose

Ho scelto di avviare questo blog, perché desideravo scrivere in libertà, parlando di una realtà, come quella scolastica, da un punto di vista emotivo. Il primo obiettivo è sempre stato quello di non raccontare balle, di parlare di qualcosa di spontaneo. Lo faccio, perché lo voglio fare. è questo l’importante. Quando sento qualche cosa che non corrisponde alla realtà, mi chiedo se le parole hanno ancora un senso e ho qualche dubbio. 

Come ormai tutti sanno, io non sono religioso. Non capisco come mai ci siano personaggi come Don Gallo assieme a ciellini, l’ho già scritto. Credo che chiunque dovrebbe essere almeno un po’ sincero, solo un po’. Quando lavoravo nella scuola ciellina, c’erano le medie, il liceo, l’istituto professionale. Io non insegnavo al professionale. Un giorno ho notato una ragazzina minuta, con il velo. Mi sono stupito, nel vedere una ragazzina mussulmana in una scuola ciellina, una scuola cattolica. La ragazzina muoveva a fatica una gamba. Notai, nel giro di pochi secondi, che quella ragazzina aveva una protesi. Quella ragazzina, nella scuola cattolica, senza ascensore né uscite di sicurezza, saliva lentamente le scale. Quella ragazzina arrivò fino all’ultimo piano, al terzo, le scale erano erte, gli estintori. Quali estintori? La classe di una ragazzina con una protesi al posto di una gamba, in una scuola cattolica senza ascensore né uscita di sicurezza, al terzo piano. Le parole e le cose.

Insegnare

Se vuoi toccare sulla fronte il tempo che passa volando

in un marzo di polvere di fuoco e come il vecchio di oggi sia stato il ragazzo di ieri

Se vuoi ascoltare non solo per gioco il passo di mille pensieri

tu chiedi chi erano i Beatles, chiedi chi erano i Beatles…

Se vuoi sentire sul braccio il giorno che corre lontano

e come una corda di canapa è stata tirata, come la nebbia inchiodata fra giorni sempre più brevi

Se vuoi toccare col dito il cuore delle ultime nevi tu chiedi chi erano i Beatles, chiedi chi erano i Beatles…

Chiedilo ad una ragazza di 15 anni di età

tu chiedi chi erano i Beatles e lei ti risponderà… …la ragazzina bellina col suo sguardo garbato, gli occhiali e con la vocina

ma chi erano mai questi Beatles?, lei ti risponderà….

I Beatles non li conosco, neanche il mondo conosco

si, si conosco Hiorshima ma del resto nè sò poco ,ne sò proprio poco

Ha detto mio padre l’Europa bruciava nel fuoco

dobbiamo ancora imparare, noi siamo nati ieri, siamo nati ieri

Dopo le ferie d’agosto non mi ricordo più il mare

non mi ricordo la musica e fatico a spiegare le cose per restare tranquilla

scatto a mia nonna le ultime pose

ma chi erano mai questi Beatles, chi erano mai questi Beatles?

Voi che li avete girati nei giradischi e gridati

voui che li avete ascoltati e aspettati, bruciati e poi scordati

voi dovete insegnarmi con tutte le cose non solo a parole

ma chi erano mai questi Beatles, ma chi erano mai questi Beatles?

Perchè la pioggia che cade è presto asciugata dal sole

un fiume corre su un divano di pelle, ma chierano mai questi Beatles?

di notte sogno città che non hanno mai fine

e sento tante voci cantare e laggiù gente rispondere

monto tre onde di sole, cammino nel cielo del mare

Ma chi erano mai questi Beatles, CHI ERANO MAI QUESTI BEATLES…?