




sono tornato al mare, sono tornato nella stessa località piena di zanzare, strade che sembrano mulattiere e vino che fa troppo spesso cagare. oddio, c’è anche il vino buono, ma non lo sto trovando e che cazzo. c’era un locale che aveva aperto a dicembre. qui a dicembre non c’è un cazzo di nessuno, si vede qualcuno in giro solo il sabato sera. ero andato in quel ristorante, si mangiava bene, sembrava una bella promessa, si beveva bene, lo champagne era valido. il cuoco è intellligente, come quella ragazza che serviva ai tavoli. il locale ha chiuso, probabilmente per colpa della crisi seguita al covid. e mi viene in mente la provvisorietà della vita, mi vengono in mente le troppe promesse non mantenute.
Per iniziare a scrivere questa storia ho aspettato qualche giorno. è una storia vera, dove non c’è una sola briciola di invenzione.
Tutto è incominciato da una telefonata, anzi da una sera di giugno. Ci sono degli alunni di quinta superiore e dei prof in una pizzeria. C’è un prof alto che si siede davanti ad una ragazza con il tubino nero. Non si conoscono. Lei è di spagnolo e lui è un insegnante di tedesco, fiero ed entusiasta del proprio lavoro. c’è una cena di classe, che è un grande momento di scambio di emozioni. Quell’insegnante di tedesco si emoziona molto, rimane anche colpito da quella ragazza sensibile e delicata. Lui va a letto inebriato dalle emozioni e pensa anche a quella ragazza.
Pochi giorni dopo si incontrano nella hall di un albergo. è un bell’incontro. Poi arriviamo alla telefonata. Lei lavora al mare, gli propone di andarla a trovare. E lui accetta, proponendole quella sera. Va in palestra, si prepara ed esce.
è il momento dell’autostrada, delle idee che si affollano anarchiche, dell’incredulità che affolla, che occupa militarmente la mente e il cuore di quel prof. è sempre stato un po’ timido e gli riesce a volte difficile capire che una ragazza bella, delicata, dolce e sensibile possa avere interesse ad incontrarlo. è strano, perché lui non è certo brutto ed ha qualcosa da dire, ma è fatto così. La giornata declina dolcemente, accompagnata dalla musica dello stereo e dal navigatore, che lo porta fino a lei.
Lui le scrive, lei esce di casa ed è meraviglia. Prenota in un bel ristorante, le dedica una canzone, anzi qui bisogna cambiare il pronome personale, qui bisogna usare quel pronome immensamente politico che è noi, in questo caso loro. Loro camminano nella freschezza della sera, loro sorridono, scherzano e ragionano profondamente. Posso dirlo? Sono proprio belli e pieni zeppi di dignità morale, tra un brindisi, una risata e un pensiero, un sorriso e uno sguardo, la sera va verso la fine, ma forse quelle serate non finiscono mai del tutto. Lui la riaccompagna a casa, con il cuore e l’anima in una dimensione onirica. Riprende l’autostrada, rivede la città, pensa e si lascia andare alla bellezza, lascia andare il cuore. Sdraiato sul letto, guarda il soffitto con aria contenta, quasi troppo. Non è mai troppo. Il suo sguardo delicatamente malinconico, il suo sorriso, la sua risata, le sue parole oneste, profonde e sincere, quelle sue mani, con le dita lunghe e magre, che sembra cerchino altre mani o un abbraccio, la sua andatura elegante e sobria come lei, i suoi occhi profondi e quasi infiniti sono un balsamo per l’anima. Sono calore per l’inverno del cuore.
Domani c’è un altro giorno: andrà meglio, grazie a lei, anzi a loro.
Solo
Solo contemplare l’onda:/
senza invocare transito/
o cibo: ospitarla/
nella mente, senza frutto,
senza tentare alcuna costa,
né alcuna schiuma
frangere.
Non più strumento: leggere il mare.
(Pietro Ingrao, L’alta febbre del fare, Mondadori)
Questa foto l’ho scattata io, era il 1 settembre del 2017. L’ho scattata con un cellulare Samsung e me ne sono innamorato.
Sono al mare in attesa di chiamate da parte di scuole. Sono nella terza fascia ed è ancora presto. La località dove trascorro le mie vacanze è abbastanza spopolata. Ci sono pensionati e stranieri: tedeschi, cechi, russi e ungheresi, soprattutto. Preferiscono il sole gentile di settembre. Vicino all’edicola dove vado, c’è un ristorante carino, dove si mangia decorosamente. C’è una coppia di persone anziane, sono vestiti elegantemente. Mangiano lentamente e voracemente. C’è una famiglia russa che si abbuffa di pesce e vino bianco. Ridono. Ci sono solo due tavoli occupati. È un giorno infrasettimanale di settembre. Sono, siamo deliziosamente fuori tempo e fuori luogo. Che bello.
Dove mi hanno portato i miei passi oggi. Tra poesia e zanzare, colori sfavillanti dell’estate in trionfo, puzza di pesce morto del fiune e del mare vicini, voglia e bisogno di perdersi, taccuini o blog da riempire di parole e sensazioni, un cellulare Samsung S7bcon una macchina fotografica che adoro, che utilizzo con entusiasmo, inesperienza e incoscienza fanciullesca.
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Dott.Massimo Romano
Sognatore di mestiere. Credo ancora nella fiaba del principe azzurro.