Ci sono dei momenti in cui hai bisogno di tornare in un posto, per varie ragioni, per cercare sicurezze oppure dei pezzi di te. I luoghi non sono mai neutri, ma sono percorsi da umori, storie, sorrisi e ansia, mille cose che li rendono significativi. Per parte della mia vita, una lunga parte, sono andato in vacanza, per un mese all’anno, al mare, non lontano da casa. Era come un rito religioso, tutti gli anni il primo agosto, io, mia sorella, i miei nonni, i miei genitori. C’era la preparazione delle valigie, la mobilitazione generale che faceva pensare a qualcosa di grande e poi si partiva. Si stava tutti insieme, anche con i problemi della convivenza, ma soprattutto c’era quel luogo. In quel luogo sono cresciuto, in quel luogo c’è il mare. Io vivo un rapporto strano con il mare, non so nuotare, non ho mai imparato, ma lo adoro. Più sono cresciuto, più ho imparato ad adorarlo. Qualcuno dei miei mitici follower si chiederà: ma se non sai nuotare, come fai ad amare il mare? Amo il mare, perché mi piace mangiare il pesce, amo il mare, perché mi piace guardarlo, di giorno e notte. Andavo al molo, fino in fondo al molo, dove l’aria è sempre fresca e leggevo, leggevo e accanto a me, c’era un signore anziano, che arrivava con la bicicletta e uno sgabello e leggeva romanzi. C’erano persone che passeggiavano e persone che leggevano, io prendevo il sole e leggevo, e guardavo il mare. Gli anni sono trascorsi e sono andato meno volte al mare, ma ogni tanto il bisogno di andarci mi ha spinto a partire. Così è stato il 6 gennaio, una giornata di finto inverno, il sole invadeva il cielo, ma anche la mia anima e la mia testa. Avevo bisogno di forza per affrontare la ripresa, per affrontare la suora inquietante. Ho guardato il presepe sulle barche, ho mangiato il cibo del luogo e scattato foto, sono stato felice.