istituto alberghiero

L’anno scorso

100 chilometri non sono tanti, questa storia non racconta di un’impresa eroica, 50 all’andata e 50 al ritorno, per andare al lavoro, occupati, per la gran parte del tempo, dall’autostrada. 5 giorni alla settimana, iniziando sempre alla prima ora. Mi era preso lo sconforto, quando ero andato a prendere servizio, il primo giorno. Ero stato assegnato ad un liceo linguistico, per insegnare una materia linguistica. E allora che ti prende, prof? Non sei mai contento. Venivo da due anni all’alberghiero, dove avevo fatto la partita, giocando fuori casa (CIT.), guadagnandomi le simpatie di ragazzi variopinti, pieni di energia, allegri, buoni, un po’ rustici, ma anche intelligenti e impegnati. Già, dicevo prima, che mi prende? Mi prende che ho avuto problemi di salute, problemi non gravi, ma che hanno minato un po’ la fiducia in me stesso, già precaria. Avevo paura di non farcela fisicamente. La prima notte non ho quasi dormito, il mattino dopo ho dovuto sorbirmi problemi di famiglia e poi, via, verso il liceo.

Il primo giorno stava facendo lezione la conversatrice di madrelingua. Avevo già sonno di mio. Quando non devo fare lezione, la stanchezza si moltiplica. Il venerdì feci le mie prime ore da solo, facendo lezione. Finalmente giocavo “in casa”, anche se, in realtà, la mia casa si trova ovunque io trovi qualcuno che mi sa ascoltare. Portare i miei contenuti, approfondirli, studiare sistemi per coinvolgere ragazzi diversi, rispetto a quelli dei due anni precedenti, portare me stesso, la mia identità, diversa dal solito, hanno rappresentato una sfida, che ha mobilitato il mio cuore e impegnato il mio cervello. Ascoltavo musica rock, mentre andavo al lavoro, ma anche musica pop, avevo dedicato la canzone dei Coldplay, “Viva la Vida”, all’anno scolastico scorso. La cantavo, cantavo le canzoni degli AC/DC, per darmi la carica. La stanchezza svaniva pian piano, fin quasi ad annullarsi, quando ero con i ragazzi.

Arriva la DAD, rimango a casa e le lezioni si svolgono nel mio salotto, dove continuo ad indossare giacca e cravatta, come faccio nelle lezioni in presenza, per continuare la mia disciplina. Sto bene anche a casa, anche perché la mia connessione è nettamente migliore di quella della scuola. Mi serve anche per recuperare energie, visto che mi alzo un’ora dopo. Non è poco.

Passano i mesi e sono contento di ritornare in presenza, come di stare a distanza, riuscendo a cogliere il meglio di ogni cosa. Mi alleno, studio, lavoro, sono contento della mia mente e del mio fisico. E ho vinto la sfida, come si dice, in modo un po’ pomposo.

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Ha un bellissimo modo di fare


Il liceo è una linea diritta. è stato il mio mondo, lì sono cresciuto, lì ero un ragazzino troppo magro, con un papillon un po’ grande e un po’ ridicolo in una ripresa televisiva. Ero entusiasta e appassionato, straappassionato. Ero timido e un po’ goffo. Ho trascorso 5 anni nel liceo dell’élite della mia città, io che venivo dalla periferia e ci abito ancora. Sono periferico e centrale, cittadino del mondo, ora come allora.

Quando seppi che sarei dovuto andare all’alberghiero, all’inizio non ero stato contento. Avevo paura che quel mondo sarebbe stato troppo lontano da me. Mi sbagliavo, per fortuna. è una linea frastagliata, zeppa di contraddizioni, a volte stancante, fatta di voci alte e risate, a volte un po’ sguaiate, odori buoni e odori forti, umori corporali e cibo guasto. è fatto di foto allegre con i ragazzi, di concetti appresi lentamente, a volte anche in modo più veloce. è fatto di solenni incazzature e di dimostrazioni di affetto viscerali e sincere verso il prof, è fatto di risultati, ottenuti con l’impegno e la pazienza.

Sono stato bene all’alberghiero, ma sono tornato al liceo, non c’era più posto per me lì, hanno nominato un’insegnante di ruolo. Sono stato un po’ dispiaciuto. Mi hanno dato le classi dalla prima alla quinta: ci sono ragazzine e ragazzini imberbi, ma ci sono anche ragazzi/e e donne/uomini. I maschi sono la minoranza, una netta minoranza, era così, anche quando io ero alunno. Sono pettinati bene, tutti o quasi. Sono ragazzi della quieta borghesia di provincia, né poveri, né ricchi. Hanno qualche tragedia, qualche problema, ma niente di tragico, niente di terribile. Sono vestiti bene, tutti si lavano regolarmente.

Da qualche mese c’è la didattica a distanza e anche i ricevimenti sono a distanza. La madre di una ragazzina di prima mi dice: a volte sono a casa e mi capita di ascoltare le sue lezioni, che sono molto interessanti. E poi, lei ha un bellissimo modo di fare con le ragazze, che sono molto cariche.

Veramente ho un bellissimo modo di fare anche con i ragazzi, ma fa lo stesso.

Vittorie

You Want it Darker, testo

If you are the dealer, I’m out of the game
If you are the healer, it means I’m broken and lame
If thine is the glory then mine must be the shame
You want it darker
We kill the flame

Magnified, sanctified, be thy holy name
Vilified, crucified, in the human frame
A million candles burning for the help that never came
You want it darker

Hineni, hineni
I’m ready, my lord

There’s a lover in the story
But the story’s still the same
There’s a lullaby for suffering
And a paradox to blame
But it’s written in the scriptures
And it’s not some idle claim
You want it darker
We kill the flame

They’re lining up the prisoners
And the guards are taking aim
I struggled with some demons
They were middle class and tame
I didn’t know I had permission to murder and to maim
You want it darker

Hineni, hineni
I’m ready, my lord

Magnified, sanctified, be thy holy name
Vilified, crucified, in the human frame
A million candles burning for the love that never came
You want it darker
We kill the flame

If you are the dealer, let me out of the game
If you are the healer, I’m broken and lame
If thine is the glory, mine must be the shame
You want it darker

Hineni, hineni
Hineni, hineni
I’m ready, my lord

Hineni
Hineni, hineni
Hineni

Ho fatto molti viaggi in autostrada. Non so nemmeno se siano molti, non faccio il camionista. Ho fatto 100 chilometri per 5 giorni alla settimana. Ricordo il suono del telefono, che interrompe la musica che sto ascoltando. Prima di notare che è lui, alzo gli occhi al cielo, immaginando uno scocciatore. Sento la sua voce, alta ed entusiasta. Mi tornano alla mente i suoi capelli folti, ricci e ribelli. L’ho conosciuto all’alberghiero. Il mio rapporto con l’alberghiero è complesso. Amo il cibo, amo il vino e quello che comunica. Ho sentito dei sapori importanti e sensati, accanto ad altri sconclusionati e, a volte, poco gustosi, per usare un eufemismo. Ho conosciuto colleghi positivi, in particolare una mia collega di sostegno, cuoca eccezionale, per vocazione e predisposizione, la quale potrebbe aprire un ristorante di successo domattina. I ragazzi che vanno all’alberghiero sono un mondo pieno di colori e contraddizioni. Ci sono quelli che vogliono diventare chef e/o maitre, ci sono quelli che vanno all’alberghiero, per disperazione e per esclusione. Sono diversi da quelli del liceo, anche se qualcuno somiglia loro. Tante volte hanno poca di studiare, o meglio, hanno voglia un giorno sì e due giorni no. Io sono stato un liceale, amante dello studio, mai secchione. Ho frequentato il liceo delle élites, senza tirarmela mai, però. Qualche volta ho fatto fatica a capire chi non ama lo studio, soprattutto lo studio della letteratura e delle lingue, cercando di ascoltare e di aiutare chi aveva più difficoltà di me, mai chiudendomi nel fortino. I due anni all’alberghiero hanno rappresentato per me il confronto con un mondo diverso, un modo per contaminarmi ancora un po’, io che amo le contaminazioni oltre ogni limite.

Ma torniamo ai suoi capelli ricci e ingovernabili, che ogni tanto decide di imprigionare con un elastico, formando una specie di cactus. Quando l’avevo conosciuto, me lo ricordo incazzereccio, ombroso, con il tono nervoso e una cugina brava. L’ho visto cambiare, almeno un po’, l’ho visto cercare il dialogo sulla vita, l’ho visto cercare il cazzeggio nei tempi morti, il cazzeggio intelligente e autoironico, assieme a me e ad altri compagni, tra cui sua cugina. L’ho visto fidanzarsi con una ragazza tranquilla e posata, mentre i suoi capelli diventavano sempre più ricci, lunghi e ribelli. L’ho visto di nuovo ombroso e silente, sfinito a causa di notti tormentate da troppa internet. L’ho visto più pronto a contaminarsi. L’ho visto sempre più pronto ad usare le proprie capacità in tedesco, dimostrando, innanzitutto a se stesso, che ce la poteva fare, anche se non sempre, anche se rimane, a volte, schiavo dei propri umori e malavoglia. E impara cose, fa strada, mi presenta la sua fidanzata in un’interrogazione su Meet. Le dico che ha trovato un bravo ragazzo, che è stata fortunata, anche se, a volte, meriterebbe qualche bastonata quel fanciullo dai capelli ribelli, che quel giorni mi telefona e parliamo di tutto, senza prenderci troppo sul serio. Parliamo delle cose importanti e della sua crescita. Lui mi dice che nessuno gli aveva mai detto quelle frasi che gli stavo dicendo io, nemmeno suo padre. Mi dice che deve preparare un esercizio di tedesco complicato per la scuola, mi dice che vorrebbe lo aiutassi a prepararlo. Pronuncia una frase con tono soddisfatto e autoironico, non avrei mai detto, fino a qualche tempo fa, che avrei chiesto ad un prof di studiare con lui. Gli dico che sono felice per lui, perché sta crescendo, che è giusto così. Sono le più belle vittorie, queste.

La sera facciamo una videochiamata su whatsapp, io sono stanco morto, ma felice di dargli una mano. L’esercizio è abbastanza complicato, ma lui ce la fa. Compare sua mamma, quasi commossa, che mi ringrazia per quello che faccio, ma il premio l’ho già avuto. Ho visto una persona crescere, sono cresciuto un po’ anche io.

M. (è successo qualche mese fa, poco prima che iniziassimo a fare lezioni a distanza)

Sole e ombre

Forse questa vicenda l’ho già raccontata, non mi ricordo più. Ma devo aggiungere una riflessione. era l’11 ottobre di due anni fa, il sole era tiepido e gentile, proprio come piace a me. Qualche giorno prima avevo saputo che sarebbe arrivata una giornalista russa nella scuola in cui ero, luogo santo, benedetto dalla sorte. Il preside è un uomo saggio, sa della mia conoscenza del russo e mi chiede di fare da interprete. Sono onorato ed emozionato, anche un po’ impaurito. Parlo russo, sono laureato in russo ed ho già lavorato come interprete. Ma ogni volta è sempre una prova, ogni volta è sempre la prima volta. Ascolti una voce, una voce che può avere anche un accento difficile, a volte poco comprensibile. Parlo bene il russo, così mi dicono. Nell’interpretariato consecutivo hai pochi secondi per pensare. Non puoi sbagliare e devi tradurre. Devi trasporre nella tua lingua e nell’altra lingua dei pensieri, delle emozioni. Arrivo davanti a scuola e vedo una mia alunna. Mi assalgono mille dubbi. A volte penso che sarebbe meglio che non ci fosse quell’evento. Ho delle ore di potenziamento, delle ore di disponibilità in quel luogo santo e il preside decide di utilizzarle per farmi fare l’interprete. è un’altra parte di me, è quello che so fare, devo essere contento. Avrei delle ore di lezione quel giorno e il preside decide di sostituirmi. La classe di quell’alunna che ho incontrato esce un’ora prima. Entro nell’aula magna, fatta ad anfiteatro. Tutto è moderno, trasparente, vetrato e luccicante. C’è un palco, con un tavolo per gli oratori, dietro al quale devo sedermi. Vedo la giornalista, la saluto e le rivolgo la parola. Parla un russo pulito, con dizione quasi attoriale. Le chiedo di parlare lentamente, di pronunciare frasi brevi e a voce alta. Lei è d’accordo. Inizia l’incontro e il saggio preside presenta la giornalista e il sottoscritto, definendomi una grande risorsa per l’istituto. Sono strafelice ed emozionato. Speriamo che vada bene. Davanti a noi ci sono duecento circa tra insegnanti ed alunni, venuti ad ascoltare lei, ma anche me, anzi, soprattutto me, perché nessuno di loro conosce il russo. La giornalista è un’oppositrice di Putin, che ha trascorso 8 anni di carcere, perché accusata di terrorismo. Lei si proclama innocente. Ma non è quello il punto. Le mie parole escono fluide, chiare, precise. Sono sicuro, strasicuro, mentre lei racconta la propria esperienza in carcere. Termina l’esposizione e partono le domande del pubblico, che io devo tradurre. L’incontro termina, ma è solo il primo turno. Vengo circondato dal preside, da colleghi e alunni, strabiliati per la mia conoscenza del russo. Mi fanno complimenti. E io sono felice. Inizia il secondo turno, entrano altri duecento tra alunni e studenti. La storia si ripete, felice e piena di gloria. La mattinata termina, saluto tutti ed esco, baciato dal sole gentile di ottobre. è una pagina bella, bellissima, di vita e di scuola.

Trascorrono alcuni giorni e una mia collega mi incrocia per i corridoi con i libri di testo in mano, mi chiede, con aria perplessa, ma  tu lavori qui, io pensavo che tu fossi un traduttore esterno. No, no, lavoro qui, le dico, mentre passo da una classe all’altra per fare lezione. Uno bravo come te cosa ci fa a scuola, mi chiede, negativamente stupita. è una collega esperta e brava, pensa queste cose della scuola.

Passano gli anni. Siamo a ieri. Sono all’alberghiero. Fuori non c’è il sole. Sono in sala insegnanti a leggere il giornale nell’ora di disponibilità, come faccio molto spesso, e una bidella arriva, professore, potrebbe dare un’occhiata ai ragazzi di seconda per venti minuti, visto che il prof di cucina deve uscire prima. Ho studiato, imparato, accumulato anni di esperienza e vengo messo a fare quello che potrebbe fare benissimo un bidello. (con rispetto parlando)

Non ero quello bravo?

Raggi di luce

Pochi giorni fa un’alunna mi è venuta incontro per abbracciarmi, voglio dare un abbraccio al mio prof preferito, ha detto. è volenterosa, anche se scarsamente dotata in tedesco. è una brava ragazza, positiva ed educata. Qualche raggio di luce c’è.

Questa mattina ho consumato carburante, meno male che ho il gpl, e finanziato la società autostrade con ben 2 euro e 60, come faccio due volte al giorno, per cinque giorni a settimana. Questa mattina l’ho iniziata con una sostituzione e continuerò con due ore vuote. Dalla settimana prossima potrei fare meno sostituzioni e più lezioni. Ma la polvere è tanta, la polvere accumulata sulla mia anima è veramente tanta. Cercherò di dare il massimo, di sicuro ci proverò, anche se il luogo in cui sono è demotivante. All’istituto alberghiero ci va, spesso, chi non ha voglia di studiare, pur di completare l’obbligo scolastico. Io sono abituato ai licei e a ragioneria. Dovrei fare venire a questi ragazzi almeno un po’ di voglia di studiare tedesco, almeno un pochino. Se le ore di sostituzione non mi demotivano troppo. Ma non ci sono solo le supplenze, ci sono anche i progetti. La scuola è ammalata di “progettite”. Si organizzano progetti con esperti esterni, a volte anche discutibili, a volte anche interessanti. I progetti vengono organizzati sempre nelle ore scolastiche, bloccando l’attività didattica, come anche l’alternanza scuola lavoro e robe simili. Penso che quest’anno sarà molto lungo, troppo lungo. Da un lato non vedo l’ora che finisca, dall’altro so che senza scuola, almeno durante l’anno scolastico, starei peggio. Confesso che in estate non mi manca affatto, perché sono troppo preso dai mie viaggi e dagli altri mille impegni.

In questo momento fa un caldo boia e non si respira. Sarà più una condizione fisica o psicologica? Mah… Meno male che tra poco finisce l’ora di sostituzione o di badantato.

M.

Sballottato

Inizia l’anno scolastico. Sono sballottato, come sempre, da una scuola all’altra. Mi hanno mandato ad un alberghiero, in cui sono stato 5 anni fa per gli esami di maturità, a 50 km da casa. Devo provarci e fare del mio meglio. Caspiterina, i post di prima mattina sono proprio un’esplosione di fantasia e creatività.