disagio

un po’ ridicolo

capisco di essere un po’ ridicolo, o molto ridicolo, a seconda dei punti di vista, ma quello che mi è successo, tra la fine di giugno e luglio, mi ha segnato pesantemente.

è un sabato molto caldo, sto per partire per Padova, per andare a cena in un bel ristorante. faccio la doccia, dopo di che noto sulle mie caviglie un rossore strano. noto che sono un po’ rosso sotto l’ascella destra. non sono particolarmente preoccupato, ma decido lo stesso di andare in farmacia. nella prima farmacia il commesso non mi sa dare risposta, nella seconda mi da una pomata, di cui mi sono già scordato il nome. vado a Padova, mi sono scordato di portarmi una camicia. vado al centro commerciale a comprarne una. alla sera sono a cena in un ristorante elegante, tre stelle Michelin. La cena è fantastica, ecc. ecc. Vado a letto. Il giorno dopo è ancora più caldo, vado in giro per Padova con i pantaloncini. sudo molto e mi affatico. torno a casa.

il mattino dopo mi ritrovo le gambe coperte da “ustioni”, dalle ginocchia fino al piede compreso. non mi fanno male. devo andare a scuola, a una delle riunioni preparatorie per l’esame di maturità. dalle “ustioni” esce del siero. chiamatemi idiota e incosciente, potete farlo, ma aspetto la fine della riunione per andare in farmacia. vado in farmacia, spiego la faccenda e mi danno della connettivina, con garze e la rete. vado a casa e mi medico. Mi addormento un’ora.

Vado in palestra al pomeriggio e le gambe fanno un male cane (resisto fino alla fine, chiamatemi stupido, fate bene). Il giorno successivo torno in palestra e le gambe fanno male, ma un po’ meno. La connettivina produce un po’ di effetto, meno male. Passano i giorni e le ferite alle gambe se ne vanno, anche se rimangono le ferite ai piedi. Mi sento disorientato, non mi sento più io. Il mio corpo è deforme, le gambe sono gonfie, un po’ meno dei primi giorni. Avverto anche meno il piacere del cibo. Vuol proprio dire che non sono più io. Per due giorni ho nausea e pressione bassa, vuol dire che non sono più io.

Ricomincio ad andare ad allenarmi, dopo qualche giorno. Le gambe fanno un male cane, anche se non ho più ferite. Sabato non ho molte energie, mi sento un po’ fiacco. Vado a fare la spesa. Vado al ristorante, ma non mi diverto e mangio con meno appetito. Torno a casa e mi levo le scarpe. I piedi sono pieni di piaghe e vesciche purulente, gonfi come meloni. E ancora non vado al pronto soccorso. Passo la domenica con due miei conoscenti un po’ strani. Andiamo ad un centro commerciale, io ho le ciabatte e qualcuno mi addita. I miei piedi sono intrisi di liquido. Al lunedì sto chiuso in casa, vado all’edicola vicina con l’automobile, molto presto. al martedì faccio la stessa cosa, così come al mercoledì, ma non ce la faccio più. vado in farmacia, sperando che la farmacista mi prescriva qualcosa, ma, giustamente, mi dice di andare all’ospedale. Faccio fatica a camminare, con quel siero che esce dalle vesciche.

sono sempre più disorientato e triste. al pomeriggio vado da mia madre, pensando che mi possa aiutare in qualche modo, o medicare in qualche modo. Sto pensando di andare all’ospedale seriamente. Sarà anche il caso, visto che i miei piedi, specialmente il destro, sono ridotti da schifo.  Mia madre è una donna ansiosa, come tutte le mamme, mia madre forse un po’ di più. fa una tragedia, mi mette ancora più ansia. Sarei dovuto andare all’ospedale da solo. Mi accompagna all’ospedale, con la sua macchina scassata. sono rassegnato ad andarci, ma con lei faccio finta di non esserlo. chissà perché. vado al triage, dove spiego tutto ad un’infermiera disattenta. Mi attribuiscono il codice verde.

Ci sono tante persone, molti anziani, in quel luogo. Guardo nel vuoto e guardo il cellulare, mezzo scarico. Non ho neanche niente da leggere. Non sono più io. C’è una signora di una certa età, vuole parlare. Mia madre è rimasta fuori in macchina. Mi racconta che ha prurito ad un fianco. Mi chiede che cosa ho io. Parlo. Sto un po’ meglio psicologicamente. Torna mia madre, con lo sguardo sconvolto. Mi critica per cose che non c’entrano niente. Ho ancora più ansia. Ci sono anziani sulle lettighe, ragazzi. Mia madre torna fuori, a pagare il tagliando del parcheggio.

Le ore  non passano mai. Un’infermiera chiama il mio cognome, la seguo velocemente. Entro in un ambulatorio dove c’è una dottoressa giovane e un po’ arrogante. Le racconto quello che mi è successo e mi prende per bugiardo. Sarò stato stupido, ma bugiardo no. Mi sdraio sul lettino. La dottoressa mi fa paura, dicendo che mi vuole ricoverare. Io rispondo atterrito che non voglio, mi dice, ma lei rischia di perdere le gambe. Lo fa apposta per farmi paura. Lei deve sottoporsi ad una terapia antibiotica, deve fare l’ecodoppler e andare dal dermatologo. Mi lavano le ferite. Mi bendano le gambe e i piedi fino alle ginocchia. Le devo fare un prelievo. Era dal 1996 che non lo facevo. (sono strano, lo so). I lettori mi perdoneranno se non abbondo in particolari su questo aspetto del racconto, ma ho il terrore e il ribrezzo per quell’argomento e non vorrei rimettere sul computer. Sappiate che ho tenuto un ottimo comportamento, da bravo ometto. La dottoressa arrogante mi dice, le darei una botta in testa, per aver aspettato dal 27 giugno al 13 luglio. Ha ragione.

Arriva un’altra dottoressa, con l’aria tranquilla. La dottoressa un po’ arrogante mi prende in giro davanti alla collega e se ne va, è il cambio turno. La dottoressa un po’ arrogante mi ha chiesto perché sono andato all’ospedale. Le rispondo, per colpa del liquido che mi esce dai piedi. La dottoressa giovane e un po’ arrogante se ne va. La sua collega mi finisce di bendare e mi fa salire su una lettiga. Mi trasportano in un open space, assieme a tanti altri malati, soprattutto anziani. Solo una tenda mi divide dal malato di fianco. Sono di fianco all’entrata. Entra un ragazzo, vittima di un incidente stradale, tutto fasciato, tranne la faccia. Sto male, ma non per i miei piedi, per quello che vedo. Una signora anziana si lamenta, ha fame, deve andare in bagno. Un signore anziano chiama la badante, che era andata a fumarsi una sigaretta. Aveva paura di aver perso i soldi, li aveva lei. Li conta davanti a lui. Gli racconto come li ha spesi. Ha provato a chiamare i parenti dell’uomo, ma non rispondono. Passa un’infermiera e le chiedo che ne sarà di me. Non mi sa dire niente. Passa la dottoressa e mi dice che deve aspettare i risultati degli esami. Sollevo le gambe, abbasso le gambe. Sono le 22 e la dottoressa mi dice che posso andare. E chi mi libera dalla flebo? Arriva un’infermiera, mi sfiora il piede, per fortuna che non ho dolore. Mi toglie la flebo, con poca delicatezza. Ho i piedi fasciati ed esco dall’open space. Vuole che le chiami un taxi, mi dice l’infermiera. Aspetti che controllo se c’è la persona che è con me. Mia madre è rimasta lì, da 7 ore. Esco dal pronto soccorso, con i piedi fasciati e avvolti in copri scarpe, lo sguardo sconvolto. I valori delle mie analisi sono buoni, però, la glicemia un po’ alta, ma non preoccupante. Vado a casa e mangio male. Mi lavo e vado a letto. Il giorno successivo mi avrebbe atteso l’eco doppler e la visita dal dermatologo. Alle quattro del mattino apro gli occhi e non riesco più a dormire. Ho ancora negli occhi le immagini di quello che ho visto.

Vado all’ospedale e mi fanno la visita angiologica. Non ho trombosi, meno male. La dottoressa e l’infermiera sono ritardatarie, ma gentili e premurose. La dottoressa mi dice che ho i muscoli robusti e che si vede che faccio sport, soprattutto per il cavo popliteo. Dice che devo camminare molto. Ho una forte infiammazione e questo si sapeva. Mi fascia di nuovo e mi tocca andare dal dermatologo. Il dermatologo mi dice che non ho l’infezione, ma ho un eczema da stasi. Il dermatologo non guarda nemmeno l’ecodoppler. Maneggia le mie gambe, come se fossero un pezzo di carne morta. Mi fa un impacco di acqua borica, brucia da matti. Dice che devo stare quasi fermo, con le gambe in posizione di scarico, tenute verso l’alto. Ho in programma, per quel fine settimana, due giorni a Roma. Esco e mi compro le scarpe da infortunato, costano 140 euro, ammazza. Devo sottopormi a medicazioni all’ausl. Mi deve fare l’impegnativa il mio medico di famiglia, un perfetto stronzo. Ritorno alla vita solita. Il mercoledì successivo inizio le medicazioni. C’è un’infermiera giovane, ma poco delicata. Mi fascia troppo stretto e mi fa male. Mi faa un po’ di ramanzina, per la glicemia un po’ alta, ma non preoccupante. Mi dice che, se mi fa male, posso togliermi le fasciature. Torno a casa e mi tolgo le fasciature. Vado in palestra, dove mi alleno con le ciabatte. Non ho più vesciche e alleno solo petto, bicipiti e addominali. sono andato a Roma, lo spirito e il corpo ne hanno guadagnato. Adesso devo andare a fare la spesa. continuo più tardi. Non vi preoccupate che finisce abbastanza bene.

 

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al parco

Ci sono quei giorni in cui è tutto troppo, tutto eccessivo. Ieri, la suora ha fatto dei cambiamenti d’orario, per poter far vacanza domani (alleluia, non vedrò la suora inquietante). Debbo iniziare alla prima ora (ooooh), con la terza liceo. Mi alzo un’ora prima del solito, vado a scuola e trovo uno solo dei due ragazzi. è un ragazzo intelligente, con qualche limite in tedesco, molto volenteroso. è simpatico, ha un po’ l’aria da sfigato, con la panzotta, i denti sporgenti e gli occhiali spessi. Ripassiamo grammatica, io ho un sonno boia e penso: per fortuna che non mi sono capitate le medie, sarebbe stato peggio, alle 8 del mattino. Finisce l’ora e ho un’ora vuota, vado al bar lì vicino, bevo un caffè e me ne ritorno a scuola, dopo aver letto attentamente il giornale della mia città, un putrido giornalaccio fascistoide, che si trova in tutti i bar, anche quelli di sinistra e che hanno sempre comprato tutti, anche i comunisti, forse perché contiene molte notizie nella cronaca locale. Inizio con la prima media e si comportano abbastanza bene, qualche sgridata, ma, nel complesso, sono abbastanza attenti. La loro attenzione salta completamente gli ultimi 5 minuti, ma va bene lo stesso. Dopo passo in seconda media, forse è la classe che preferisco alle medie, mi hanno anche dedicato i bigliettini natalizi. Sono bambini intelligenti, con caratteri molto diversi tra loro. C’è MVZ, un biondino silenzioso e acuto, con l’aria da ometto e il faccino da bimbo, c’è FT, un ragazzino con i capelli lunghi un po’ incolti, con l’aria a volte un po’ crucciata, ma che è anche pronto alla battuta ed è pronto alla battuta. Loro sono due ragazzini abbastanza maturi, che si differenziano un po’ dagli altri, almeno nelle mie lezioni, come si differenzia ALP. Lei è una ragazzina vivace, carina, intelligente, forse la più intelligente di tutte, egocentrica, un po’ permalosa, ma simpatica e sincera. Poi ci sono quelli che sono cresciuti in questi mesi, quelli che sto vedendo diventare dei ragazzini e meno dei bambini, c’è AM, che ha una facciotta da luna piena simpaticissima, che ha aumentato l’attenzione nelle mie lezioni e migliorato i voti, anche se sbaglia qualche congiuntivo (nella scuola privata, a pagamentooooooooooo!!!!!!!), c’è MO, piccolino, con gli occhi vispi penetranti e scuri, che sta acquisendo sempre più autocontrollo, mi ha detto ieri “all’inizio non mi comportavo bene, perché lei è un supplente, poi ho capito che sbagliavo”, c’è ASG, una ragazzina dalla faccina tonda e gli occhi simpatici, che sta crescendo e si sta controllando sempre di più. Poi c’è una ragazzina indecifrabile, CM, è una bambina più bassa della media della sua età, sospetto che possa tendere al nanismo. è inchiodata in un busto che la costringe a camminare rigidissima ed è quasi afona. Agli inizi dell’anno non studiava, faceva un po’ la furbina, piano piano si è ripresa e, nell’ultimo compito di grammatica, ha preso 8. Se ne sta tranquilla, assieme alla sua amica ALP, ogni tanto la si sente confabulare, anche perché è quasi senza voce, poverina. Non parla tanto, anche perché è timida, però, in silenzio, si sta riprendendo dall’insufficienza. è un po’ difficile aiutarla a superare le difficoltà, in queste condizioni, ma mi sembra di starci riuscendo, almeno credo. Speriamo non sia stato solo un fuoco di paglia, l’ultimo compito. Finalmente arrivano loro, ED e GS, Loro sono amiche per la pelle, ED è una ragazzina con gli occhiali, un sacco di capelli corvini ricci, un busto che la costringe a star rigida e la fa soffrire sia fisicamente che psicologicamente. Per due volte mi ha chiesto di andare in bagno per toglierselo, con gli occhi pieni di sofferenza. Ha una voce altissima, insicurezza, bisogno di attenzioni ed affetto. Fatica a stare concentrata, ma ce la mette tutta. Ha dei limiti in tedesco, ma prova, con tutte le proprie forze, a superarli. L’ho sgridata, per la mancanza di attenzione, perché chiacchiera a volte e ridacchia con la sua amica GS. L’ho anche punita con esercizi supplementari, ho scritto, tramite il registro elettronico, ai suoi genitori. Lei si è sforzata sempre di più, con tante difficoltà, ma con tanto, tantissimo impegno. GS ha gli occhi blu grandi e svegli, la voce altissima, i capelli castani lunghi. è brava in tedesco, anche abbastanza dotata, ma ha una capacità di concentrazione bassa, più volte la riprendo perché chiacchiera con ED, scrivo ai genitori. Sua madre mi racconta che ha altri due figli più piccoli di lei e sta per divorziare. Capisco ancora di più, perché la ragazzina è nervosa. a 12 anni è, forse, ancora più difficile da accettare. Minaccio le due ragazzine di appioppare note sul registro, cosa che non faccio mai, perché vedo che ci provano a stare attente, vedo che ce la mettono tutta. Due lezioni fa, all’ennesimo rimprovero, dico a GS, adesso vado al computer e ti metto la nota. Lei mi dice, ma sono migliorata, altre volte non me l’ha messa. Io le dico, ma è la somma che fa il totale, devi imparare, siamo a febbraio, bla bla bla. Suona l’intervallo e mi viene davanti a promettermi di migliorare. La rivedo nei corridoi il giorno successivo e mi ripete seriamente la promessa. Un po’ dubito, ma apprezzo l’intenzione. So che è in buona fede, so che si sforza. Per una lezione sta quasi sempre buona, così come la sua compagna ED, la quale mi aveva fatto la stessa promessa, forse in tono un po’ meno solenne. GS mi dice, ho già parlato con ED, mi ha detto che non mi farà più ridere. Ieri le riprendo più volte, anche qualcuna in meno delle altre volte, ad un certo punto perdo la pazienza e glielo dico, adesso arriva la nota e metto mano al registro elettronico con fare deciso. In pochi secondi gli occhioni di GS si riempiono di lacrime e il suo faccino si contorce in una smorfia di pianto “avevo parlato con ED, le avevo detto di non farmi più ridere, glielo avevo promesso”. I suoi compagni sono scocciati con lei, le dicono, “te la sei cercata la nota, noi vogliamo ascoltare”, io le dico, con aria sempre più rammaricata, avresti dovuto pensarci prima alle conseguenze. Piange sempre di più, mentre suona l’intervallo. Dice ai suoi compagni, “sapete cosa mi fa mia madre se prendo una nota, riporta il gatto che ha portato a casa al gattile”, continua a piangere. La sua compagna sta per piangere e io vorrei buttarmi di sotto. Non sopporto veder piangere le persone, sono una persona sensibile. Non sopporto veder piangere una bimba, mi sento quasi in colpa io, anche se io non ho colpa. Vado in terza media, interrogo dopo aver avvisato, visto che quegli stronzetti supponenti si sono lamentati delle interrogazioni da loro non previste. Il peggiore della classe non ha studiato quasi niente e non si preoccupa neanche tanto dell’insufficienza (mah!), un altro scemotto sa due cose imparaticce e gli metto sei, le squinziette un po’ arroganti sanno, perché sono brave a scuola, anche se, almeno per ora, assai poco simpatiche. 

Dopo la mattinata pesante a scuola faccio un salto a casa per mangiare, poi ritorno, perché ci sono gli scrutiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiii, che palle, ‘ste riunioni. La suora inquietante è una chiacchierona perditempo da competizione e le ore si trascinano lente, un ragazzino di prima media che mi aveva mandato a fare in culo durante la lezione non subisce alcuna conseguenza, aveva 8 in condotta nel pagellino di metà quadrimestre e 8 rimane. Non si può dire prendere per i fondelli, si può mandare a fanculo il prof di tedesco (non c’erano gli alunni migliori nella scuola privata????) , viva la coerenza. Alla fine degli scrutini c’è una riunione con gli insegnanti della scuola steineriana (che ne pensate???), per gli esami di terza media. L’insegnante capa della delegazione dice che per loro non è molto importante il contenuto (ah, niente male la scuola senza contenuti, la scuola per ignoranti), dice che l’esame di terza media per loro è lo spettacolo di fine anno (ah però), che non si usano i computer nella loro scuola (ah però, nell’era digitale non si usano i computer, complimentoni sinceri!!!) , dice che nella loro scuola non si pratica educazione fisica, ma euritmia (una specie di danza, che ha tra i suoi passi quello di battere forte il piede a terra, per marcare un’allitterazione, ah però). Passa un’altra ora di chiacchiere in cui la suora dice che io non ci sarò all’esame di terza media, perché sono un supplente (dovrei finire il 30 marzo, ma la stronza emerita che sostituisco dovrebbe stare a casa fino a giugno, financo andare in pensione. Per caso la suora sa qualcosa che non so??? Boh, penso, domani telefono alla stronza che sostituisco, con la scusa di sentire come va a casa sua (echissenefrega!!!!). Esco trafelato da quel diluvio di parole, spesso sciocche ed inutili, con un gran mal di testa, stanchezza e una gran fretta di arrivare ad un appuntamento di lavoro, dove debbo incassare dei soldi. Vado, li incasso, torno a casa. Per distrarmi, vado a bere un aperitivo. Ho sempre nella testa quelle due bimbe, soprattutto GS, che piange e singhiozza. Mi sento quasi male io, la sera ho sonno, sono un po’ in dormiveglia davanti a Servizio Pubblico e poi cerco di andare a letto. Mi prende una gran agitazione, perché penso a quelle due bimbe. Non volevo vederle piangere, una stava per, ma si capiva che mancava poco. Ci metto più di un’ora per addormentarmi, ED ha detto che sua madre non l’avrebbe più mandata a danza, trattenendo a stento le lacrime. La mattina mi sveglio a pezzi, vado a portare la vettura dal meccanico per il tagliando e ripenso a quello che è successo, so di aver ragione, ma mi sento a disagio. Penso che sono in buona fede, penso che quelle due bimbe sono in difficoltà. Penso di cancellare loro la nota, ma prima vorrei parlar loro, vorrei che capissero. Dovrei aspettare lunedì per parlare con loro, la cosa mi pesa troppo. Decido per un gesto unilaterale, cancello la nota. Mi sento meglio, più leggero, ma anche svuotato. Voglio troppo bene a quelle ragazzine, sono fragili, ci stanno provando. I loro genitori non le hanno ancora lette, le note. Non so se ho fatto il loro bene, però c’ero rimasto troppo male nel vedere la loro reazione, sapendo cosa c’è dietro. Ho anche pensato al rischio che la madre di GS, con i problemi familiari che hanno, possa veramente riportare il gatto al gattile. Martedì parlerò con loro. Ho telefonato alla stronza che sostituisco, la quale, senza avermi mai visto insegnare, si è permessa di dispensare critiche maligne e suggerimenti. Ha anche detto che, salvo imprevisti, se la madre muore, ad esempio, rimarrà a casa ad assisterla per tutto l’anno, dunque io dovrei concludere a giugno (suora inquietante permettendo). Vado a riprendere la macchina, vado a fare aerobica, non manca mai, poi, oggi pomeriggio decido di andare al parco. Non mi va di lavorare davanti ad un computer, non mi va di concentrarmi, ho bisogno solo di silenzio. Vado in un grande parco ai limiti della città, che conduce al di fuori. è lo stesso parco dove andavo a correre quando avevo quindici anni. Percorro la stessa strada, questa mattina sembrava primavera, nel pomeriggio pian piano il cielo si rabbuia, passeggio sul sentierino asfaltato che percorrevo anche all’epoca. Ho bisogno di silenzio, ho bisogno di svuotare la testa, passano poche persone che parlano piano, è venerdì e il tempo si sta guastando, arrivo fino in cima alla collinetta, dove mi fermavo una volta, dopo le corse. Mi ricordo che mi toglievo la maglietta, per prendere il sole sul petto scarno, qualche volta mi toglievo le scarpe e i calzettini per camminare a pieni nudi sull’erba fresca. Naturalmente lo facevo d’estate,… Alle volte prendevo il sole in mutande, quando non mi vedeva nessuno. Penso, mentre guardo quello spiazzo in cima alla collinetta, sono passati ventidue anni e mi sembra ancora di vedermi qua. Forse non sono mai andato via completamente. Torno indietro, suona il telefono, mi chiama un conoscente, mio ex compagno delle medie. Scatto qualche foto con il tablet, incontro un simpatico gattone nero, sdraiato sopra ad un gabbiotto del gas, lo riempio di carezze e lo fotografo. Lui gradisce molto, anche io, mi da serenità accarezzare i mici. Continuo il mio cammino e incontro un gattino trotterellante, un cucciolo, al quale faccio qualche carezza, ma lui se ne va subito, ha fretta. Vado a casa e scrivo il post. E penso di essere un insegnante un po’ troppo tenero.