cultura

Grazie nonni, che mi avete fatto venire l’amore per i libri

Un pomeriggio buttato un po’ nel cestino, un post che non sarà indimenticabile, anzi sarà pure un po’ sciocchino.

Mi viene in mente il profondo amore per i libri, che mi hanno trasmesso i miei nonni, soprattutto mia nonna, ma solo perché mio nonno se ne è andato quando avevo 14 anni. Mi viene in mente, quando lui mi regalò un libro di Enzo Biagi. Era una sera di agosto, al mare. Eravamo sul porto-canale. Penso che fosse un libro di storia, intitolato “Noi c’eravamo”. Mio nonno fu orgoglioso di regalarmelo. Avrò avuto 12-13 anni, non ricordo precisamente. C’era un libreria, dove oggi c’è una gelateria. La gente non legge, io leggo e mangio i gelati. Leggo tanto e mangio tanti gelati. Infatti, mi era venuta una panza clamorosa, che ho buttato in gran parte giù, soprattutto grazie alla mia personal trainer, che mi ha fatto recuperare un bel po’ di fiducia in me stesso. E pensare che una dottoressa mi aveva avvertito che avrei potuto avere un infarto,

Torniamo a quella sera al mare. Avevamo appena mangiato, io e i miei nonni meravigliosi. Mia nonna era felice. Uscii felice con il libro, che lessi avidamente. MI piace lo stile di Enzo Biagi, semplice, asciutto e minimale. Mi piace la mescolanza di vita e storia nelle sue opere. Quel regalo mi è rimasto impresso. Non avevano potuto studiare i miei, amavano la cultura, amavano la vita. Mi hanno ispirato l’amore per la cultura, per la lettura. Mia madre è una donna difficile, possessiva ed estremamente gelosa. Non amava tanto i miei nonni, i suoi genitori. Mia nonna, in particolare, era una donna allegra, mentre mia madre è estremamente umorale, non ride tanto. Mia nonna era una donna profondamente ironica, mio nonno più riservato e sulle sue, mia madre ride poco, qualche volta si dichiara orgogliosa di ridere poco. Mia madre ha un senso del dovere incrollabile, se potesse lavorerebbe 48 ore su 24, anche ora che collabora con me, per la mia attività professionale di traduttore. Mia madre passa le notti insonni, quando devo asseverare molte traduzioni, si mette a piangere, anche davanti a tutti, in tribunale, se ha paura di non farcela, anche quando la paura è immotivata. Secondo lei chiedo sempre troppi soldi ai clienti, perché lei vorrebbe che io fossi una specie di ente di beneficenza, che lavora per la gloria. Per lei, essere di sinistra, significa lavorare gratis o quasi. Quando le faccio notare che lei, quando lavorava nella pubblica amministrazione, in Prefettura, non rifiutava lo stipendio, fatica a rispondere, come quando le faccio notare che lei ha già la pensione, mentre io devo integrare lo stipendio da prof precario, fatica a replicare. è sempre stata gelosa dei miei nonni, è sempre stata invidiosa del nostro rapporto più che profondo, soprattutto con mia nonna. Parla male di loro, parlava male di loro già quando ero piccolo, Li descriveva come persone che odiavano la cultura, che odiavano i libri, tra gli altri tanti tantissimi difetti che attribuiva loro, Voleva guastare il nostro rapporto. Non ce l’ha mai fatta, non le ho mai creduto. Anche lei mi ha regalato libri, come ad esempio quando le chiesi “il Padrino” di Mario Puzo, che mi comprò alla libreria in centro, dove le facevano lo sconto. Mi ricordo che le chiesi il libro di Enzo Biagi, “Il Boss è solo” su Buscetta. Avevo 12-13 anni. Lei fu un po’ recalcitrante a comprarmelo, prima lo acquistò per sé, poi io lo trovai in casa e lo lessi. Mi ricordo che mia nonna mi portava allo stand dei libri della Festa de l’Unità del quartiere, io compravo un libro al giorno e lo leggevo. Mi ricordo, soprattutto le storie della Resistenza, completai anche l’album delle figurine. Mi ricordo la sua gioia nel darmi i soldi, quando ero più grande e frequentavo avidamente e appassionatamente la libreria Feltrinelli, nel centro della mia città, dove compravo un sacco di libri, ma anche me li guardavo solo. Mi colpì da matti “Sostiene Pereira”, di cui vidi la presentazione in un programma di Augias, penso. Vidi anche il film, con Marcello Mastroianni e Stefano Dionisi. è un libro sull’impegno politico, un film sull’impegno politico. Regalai una copia del libro ad un mio amico di allora, che era intelligente, volgare, esagerato, smargiasso, sbruffone, forse non cattivo. Fui felice di regalarglielo.

I libri sono pezzetti di vita, tempo guadagnato, saloni, librerie, camere da letto, pullman, aerei, relax, passione, chok, come quando lessi Marzabotto Parla.

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Personale/6

MENO SEI

 

L’anziano se ne andò a casa, pensieroso. Prese in mano un’agenda che stava in un cassetto di un vecchio mobile del salone. Conteneva alcuni nomi di vecchi compagni, alcuni dei quali non vedeva da tempo. Saranno stati una diecina, un paio dei quali erano avvocati, altri operai, altri professionisti, altri ancora giornalisti. Per prima cosa telefonò al cellulare di Gianni. Gianni, hai visto quello che è successo. Ho visto sì. Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo occupare la questura, debbono dire quello che sta succedendo, dove sono quei ragazzi. Dobbiamo avvisare i giornali, le televisioni. Ho già iniziato a fare qualche telefonata.

Il 25 aprile è nata una puttana, l’hanno chiamata repubblica italiana!!! Il duce l’ha detto, vinciamo lo scudetto!!! Europa nazione, virtus campione!!! Gridavano a squarciagola i poliziotti che sorvegliavano le zecche comuniste. Quando le zecche non riuscivano a stare in quella posizione, venivano prese a calci. Popol d’italia, avanti avanti bagna nel mar le tue bandieeere!!!! Un signore in giacca e cravatta scese nel sotterraneo. Aveva i capelli unti di gel e un gran bel sorriso. Che succede, che succede, stiamo calmi. Avete la vostra parte di ragione, colleghi. Quei ragazzi dovrebbero stare in posizione. Fate bene ad arrabbiarvi, ma dovete pensare che la gioventù di oggi non ha ricevuto la nostra ferrea maschia patriottica fascista educazione. E voi ragazzi, suvvia, contenetevi con le urla. Questi calci sono educativi, anche se provate dolore agli stinchi e allo stomaco, sappiate che questi solerti tutori dell’ordine lo stanno facendo per il vostro bene, per temprarvi. Si avviò verso Giovanni, come se lo conoscesse. Rivolse un cenno a due poliziotti, che lo aiutarono ad alzarsi. Eli pensava, rinchiusa nel bagno, che, forse avrebbe fatto meglio a non accettare l’invito di Mister Ics a diventare rappresentante di classe, visto quello che stava succedendo. Pensava che avrebbero potuto scoprire qualcosa su quel liceo, ma avevano trovato solo dei guai. Pensava che avrebbero potuto fare il doppio gioco e, invece, erano stati giocati. Il ragazzo venne fatto sedere su una seggiola con i braccioli. Gli incatenarono i polsi alla sedia e davanti a lui si accese una luce molto violenta che lo accecò. Sembrava la scena di un vecchio e truce film. Il signore distinto guardò Giovanni con sguardo dolce, ciao caro, mi dispiace per quello che è successo. Può capitare che, in un momento di nervosismo, si commettano certi eccessi. Gradisci un bicchiere di cocacola? Fottiti bastardo, gli rispose Gio. Il signore sorrise e fermò, con un cenno del capo, un omaccione che stava per tirare un manrovescio a quel ragazzo. Carissimo, io ti voglio aiutare, riprese. Lo so che sei un ragazzo che vale, te lo meriti. Gli mostrò un foglio, vedi qua c’è scritta la tua confessione. Tu ammetterai di aver avuto delle armi, di aver aggredito la polizia e di avere accoltellato un poliziotto. Subirai un processo dal Tribunale Speciale Per La Difesa Del Liceo e da un tribunale statale. Sarai radiato da tutte le scuole della repubblica, subirai una condanna, ma, potrai uscire presto se ti comporterai da bravo ragazzo. Dovrai farti intervistare da una mezza dozzina di giornali di gossip ai quali racconterai la tua triste storia, e, infine, dovrai mostrare il tuo ravvedimento recitando il meaculpa alla nota trasmissione tv uscioauscio dove ci sono anche tante belle ragazze discinte. Meaculpa, meaculpa, mea maxima culpa, … Vaffanculo, brutto fascio di merda. E subito ripartì quell’omaccione, che voleva assolutamente tirare un manrovescio a quella zecca comunista da strapazzo. No, no, lascia stare, non è il caso di agitarsi, non mi sembra proprio il caso. Rivolse un cenno ad un altro omaccione che si allontanò e ritornò trascinando Elisabetta, incappucciata e ammanettata.

  1. telefonò ad un giornalista e ad una sua amica, una donna piena di risorse che aveva studiato all’Università di Via Del Gomito[1]. Prese l’automobile e arrivò vicino ai viali di circonvallazione. Raggiunse la questura con l’autobus. Davanti all’edificio c’era un gruppo di persone con striscioni, fischietti, tamburi e bandiere. La maggior parte degli striscioni contenevano scritte abbastanza brevi: VERITÀ, RESISTERE, KEEP RESISTING, AL MUKAWAMA e un grande FERMIAMOLI. Tante persone si tenevano per mano formando una catena umana che cingeva la questura. Fiumi di persone si riversavano verso quel luogo da tutte le strade, grandi e piccole, da ogni vicolo, del centro. Non erano stati convocati da partiti, erano cani sciolti, oppure, come dicono quelli che parlano bene, autorganizzati. Uno dei telefonini di quella compagna laureata all’Università della Dozza[2] e a quella di S. G. in Monte[3] suonava in continuazione, con l’altro chiamava chiunque. Stavano arrivando giornalisti e fotografi. Si stava facendo ormai buio, ma sembrava fosse ancora giorno, tanto forti erano le luci dei flash. E ogni gabbia uccide un uomo, ma la rabbia fa resistere e ho scolpito sulla pelle, che chi piange, riderà[4], questo è il testo di una canzone di qualche anno fa. S. entrò nella questura e tutti incominciarono a guardarlo con aria ammirata. S. non capiva il perché di quell’interesse nei suoi confronti. Gli sorse il dubbio che quella compagna e Gianni l’avessero presentato ad amici, compagni, gente varia che stava organizzando quell’occupazione, come un grande leader politico, come il principale ideatore di quelle iniziative. Già meditava atroci ed oscure vendette nei confronti dei reprobi. Che fate, che fate, gridavano i poliziotti, provando a fermare quell’onda umana che avanzava inesorabile, implacabile. Sembrava quasi che avessero paura di essere travolti, anche se non tutti entrarono, perché una parte continuava la catena umana. Se voi vorrebbi entrare, dovrebbi chiedere il permesso, il permessoooo, urlava un poliziotto. Andate fuori dai coglioni, comunisti di merda, gridavano altri due sbirri che indietreggiavano. Quelle persone che stavano occupando la questura avevano la serenità negli occhi, quella serenità che caratterizza chi ha la coscienza pulita. VERITÀ VERITÀ VERITÀ, GIU- STI – ZIA, GIU – STI – ZIA, gridavano, avevano fischietti e tamburi, padelle e pentole, c’erano mamme con bambini, anziani, gente di ogni età, coatti, uomini in giacca e cravatta con l’aria di professionisti o rappresentanti, operai, la mitica classe operaia, che qualcuno pensava fosse scomparsa. Una parte di loro procedeva verso il maestoso ufficio del signor questore. Le porte erano enormi, chiuse da grandi e pesanti maniglie di legno, corrose dai tarli. Le poltroncine erano grigiastre. In fondo al corridoio, al secondo piano, c’era l’ufficio del questore Agatone Lo Marchio, un essere dai capelli radi in perenne disordine, di altezza media e alito fetido. La porta dell’ufficio era chiusa, il questore era assente, i pochi sbirri che c’erano stavano muti e cagati e raccoglievano le loro cose prima di abbandonare quel luogo in mano al nemico, non avevano nessuno che impartisse loro uno straccio di ordine. Provarono a telefonare al questore, ma aveva il cellulare spento. Il vice questore era in crisi da qualche tempo, era un giovane promettente con i capelli riccioluti e una brillante carriera alle porte in un partito di sinistra moderato democratico riformista europeista. Ascoltava perfino quel drogato cazzuto di merda di Bob Marley. Neanche lui rispondeva, a nessuno dei suoi 4 cellulari. Era un integerrimo marito cattolico apostolico romano. Gli sbirri erano alla completa disperazione. Stavano arrivando ancora tante altre persone, richiamate da un feroce ed imperterrito passaparola. Stavano arrivando delle donne, con generi di conforto per trascorrere la notte. Sui giornali rispettabili e borghesi gli editorialisti chiedevano l’intervento delle forze speciali, la democrazia era stata stuprata da quei violenti. Sui giornali riformisti si criticava lo sciocco estremismo dei manifestanti che avrebbero sicuramente fatto il gioco dei reazionari con quel comportamento irresponsabile. Troppi avevano visto quello che era successo. Prendere a pugni una donna di 80 anni non è un gran bel comportamento, così come dare una manganellata ad una suora. In quel mentre era giunto alla questura quel segretario di partito con la fronte spaziosa, che dichiarava spavaldo ai giornalisti, questa occupazione dimostra che siamo dentro alla lotta del movimento no global e che siamo stati veramente in grado di guidarlo con saggezza e lungimiranza. S. aveva sentito tutto e sorrideva, Gianni scuoteva la testa. Organizzarono subito un comitato di gestione dell’occupazione: a S. toccò il ruolo di responsabile dell’organizzazione, mentre Gianni venne incaricato dei rapporti con la stampa. A Roma si riunirono gli stati maggiori dell’esercito e dei servizi segreti per discutere, assieme al Ministro dell’Interno e alla polizia su come risolvere il problema. Dopo un dibattito piuttosto scarno vinse la linea della fermezza: la questura sarebbe stata presa d’assalto dai reparti speciali di polizia, carabinieri, esercito e guardia di finanza.

Le lezioni di balletto furono sospese, erano rimasti tutti molto colpiti. Alberto aveva insistito con i genitori per potere andare alla questura. Suo padre era un bel signore alto ed illuminato, ma non capiva granché le manifestazioni. La madre era una donna bionda, dall’aria decisa. Approvarono la sua idea, ma pretesero di accompagnarlo. Cecilia leggeva un libro di cucina seduta alla scrivania del vice questore vicario, mentre il vice questore Gian Cesare Piecioni, fervente tradizionalista e amante della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, stava venendo frustato al Transex club ricavandone molta sincera gioia, se la possiamo definire in questo modo.

  1. stava pensando a come sarebbero potuti venire a capo di quell’incresciosa questione. Scoprire dove erano tenuti prigionieri i ragazzi era difficile, terribilmente difficile. Avrebbero dovuto avere un’arma di ricatto nei confronti delle forze dell’ordine. Ad un certo punto ebbe uno strano pensiero, quando ascoltò la conferenza stampa, sentì che uno dei poliziotti del reparto speciale aveva la zeppola. Trattasi di difetto del linguaggio che porta a pronunciare il fonema /dz/ in luogo di /s/, o come cacchio si scrive secondo l’alfabeto fonetico IPA. Gli ricordò la voce di un bidello del liceo Ics. E’ mai possibile, è mai possibile, che un poliziotto sia un bidello di quel maledetto liceo? Perché? Qual è il motivo? Esiste un movente? Non si può solo andare in giro a dire che questi sono dei bastardi, e per questo motivo, sono colpevoli delle più gravi nefandezze… Provò a telefonare ad Ascione. Asciò, sient’a ‘mme, controlla se ti risulta… Gli spiegò tutto velocemente e riattaccò senza concedere il tempo ad Ascione di cantare. Ma che caspita di idee mi vengono? Come può riuscirci quel suonato di Ascione? E poi starà dalla parte della pula, si disse. Il maresciallo non ne capiva granché di politica, ma si era indignato terribilmente, quando aveva saputo che erano stati corcati di mazzate dei boy-scout della parrocchia di San Gerardo e poi, voleva bene ad S. e Gianni e gli dispiaceva sinceramente per loro. Dentro alla questura si erano riuniti per decidere il da farsi, osservare le foto che erano state scattate da dei manifestanti. Ritraevano dei signori con pettorine che sembravano quelle della polizia che sparavano ad altezza d’uomo in direzione del corteo. In quel momento una catena umana stava cingendo la questura, per difenderla da quelli che avrebbero voluto rubare la verità e la dignità. Degli energumeni in divisa e passamontagna si stavano preparando per l’assalto, così come i cecchini dai tetti dei palazzi vicini. I poliziotti e i carabinieri stavano approntando i caschi e gli scudi per una carica contro quelle zecche.

Compagni, amici, o come volete voi stiam qua, incominciò S. Tutti parlano di noi. Ci siamo fatti sentire. Abbiamo posto delle grandi domande. La reazione del cosiddetto stato la vedete. Qua si rischia grosso, qui si rischia il morto, anche più di uno. Si rischia di far arretrare il movimento. Le persone che erano lì dentro, vociavano, non erano per niente contenti di quello che S. aveva appena detto. Bisogna avere il coraggio di terminare uno sciopero, bisogna avere l’intelligenza di chiudere una protesta, come diceva un uomo politico francese, credo Maurice Thorez. Dopo di lui si alzò la donna che si era laureata all’università di Via Del Gomito. La speranza è stupida, non ha alcun senso. La speranza è priva di ragione. Vorremmo avere una motivazione per vivere, non siamo solo esseri che sopravvivono. Sopravvivere è morire, meglio una pallottola in fronte. È vero che abbiamo posto delle domanda, ma dobbiamo ottenere anche delle risposte. Se non otterremo almeno le principali di esse, allora questo movimento non avrà più senso. Noi non stiamo qui solo per far casino, ma per ottenere dei risultati, per progredire. Dobbiamo ricordarcelo, dobbiamo cambiare mentalità. E si risedette. È naturale che delle persone intelligenti adulte e raziocinanti si facciano convincere dalle parole assennate di S. Quando si è adulti il cuore lascia il posto alla ragione. O almeno così sembra, così dovrebbe essere. Una dopo l’altra, si alzarono in piedi molte persone che, con garbo ed educazione, scelsero il cuore. Era la lucida follia di chi non si preoccupa di avere un supercomandante della polizia, non lontano dalla porta della questura che minaccia. Per il vostro bene vi conviene uscire, altrimenti vi sfasciamo la testa a mazzate. Se uscite con le mani in alto forse non vi ammanettiamo e non diamo fuoco ai vostri striscioni e alle vostre bandiere rosse del cazzo. Per il bene della democrazia voi dovete rendervi conto che siete dalla parte del torto. Il comandante riappoggiò il microfono nell’automobile. Gli occupanti rimasero muti mentre ascoltavano il proclama di quell’energumeno. Il telefonino di Gianni trillò. Era Ascione. Stranamente non intonò qualche sceneggiata napoletana, ma spiegò subito che l’indagine patrimoniale stava portando risultati importanti. Il liceo aveva, con tutta probabilità, fondi neri. Questo lo si evinceva dai movimenti bancari di esso e della Fondazione Cattolico Apostolica ecc. ecc., piuttosto anomali.

Ad Eli venne tolto il cappuccio, ora si potevano vedere. Il signore dai modi gentili guardò Gio. Vedi, io ti ho aiutato molto, perché ti considero una persona colta ed evoluta, ma c’è un problema. Questo collega che accompagna la tua donzella è incontenibile, pensa che neanche io riuscirei a fermarlo. Questo è un vero problema. Ha una gran fame di sesso. Se mi firmi la confessione tu e lei ve ne potete andare senza problemi, altrimenti, il mio collega, che non tollera i comunisti, si arrabbierà molto. Considera che è un campione di arti marziali e che ama molto le ragazzine, ma proprio tanto, forse un po’ troppo. Gio guardò Eli per qualche secondo senza dire nulla. Io non declinerei questo invito, riprese il signore dai modi gentili, quei braccialetti che avete ai polsi sono molto kitsch, lo sapete. Mi spiace sinceramente che li dobbiate tenere, ma non ci posso fare niente, credetemi. Pensate, stasera potrete andarvene a casa vostra. Gio iniziò, fischia il vento, infuria la bufera, scarpe rotte, eppur bisogna andar. E la tremenda sberla si abbatté sul volto di Gio. Mi spiace, sono veramente scontento. Anche Eli iniziò a cantare e anche lei ricevette un tremendo schiaffo che le fece sanguinare il labbro. L’uomo gentile parlò di nuovo rivolgendosi a Gio, carissimo, mi rendo conto che non vuoi confessare e me ne dispiace molto. Ti debbo ricordare che lo stato italiano ha introdotto il Codice Militare di Guerra per questa manifestazione. In questi casi, come il tuo e quello della tua compagna, è prevista la condanna a morte mediante fucilazione immediata. L’energumeno che teneva ferma Eli guardò il capo con aria supplichevole, la posso stuprare io, prima di ammazzarla, posso violentarla davanti a quello sfigato del suo ragazzo, la posso violentare, la posso violentare, eh eh? Posso infilare qualcosa su per il culo anche a lui, posso, posso, posso, … L’uomo affabile lo guardò, riconosco l’impegno indefesso che metti in questa attività e acconsento al tuo incontro carnale con questa delicata signorina. Ah, già, stupido che sono. Dimenticavo che questi condannati hanno dei diritti. Hanno diritto ad un lauto pasto, ad una doccia e ad un plotone di esecuzione. E poi li vestiremo come si fa negli Usa, con la tuta arancione. Arrivò un poliziotto che ne buttò due per terra. L’energumeno amante delle ragazzine la scaraventò sul pavimento sozzo, lei reagì sferrandogli un violento calcio ai testicoli. Dopo qualche secondo in cui rimase immobile gridando per il dolore, si gettò su di lei, incominciò a strapparle i vestiti e a bersagliarla di schiaffi e cazzotti. Puttana, puttana di merda, puttana comunista è finita, è finitaaaa!!!!!. L’uomo gentile non parlava più e teneva una pistola puntata alla testa di Gio. La suoneria del telefonino dell’uomo gentile sparò un terribile fracasso pomposamente chiamato musica techno, pronto, pronto, sì, sono io. Il suo viso si rabbuiò. Eli aveva ormai solo dei brandelli al posto dei vestiti. L’energumeno che stava su di lei si era abbassato i pantaloni, il pene penzolava inerte. Lo guardò con aria delusa ed inebetita, cazzo, sto qua che mi posso chiavare una gran figa e non mi si drizza nemmeno. L’uomo gentile interruppe la conversazione dopo alcuni secondi, guardò i ragazzi e i suoi illustri colleghi, basta, ho detto basta, disse. Si avvicinò con aria dolce a Gio ed Eli mentre l’omaccione si infilava gli ammennicoli nelle mutande protestando, non è mica giusto, non è giusto, ecco. Non è giusto, no, no e poi ancora una volta no. Ragazzi, credo che sia stato commesso un grave errore, iniziò l’uomo affabile e piacente. Non stavamo cercando voi e vi abbiamo fatto soffrire un certo disagio. Stavamo cercando altri pericolosi terroristi bolscevichi. Ci scusiamo con voi, potete andare. Vi devo chiedere un’ultima cortesia, se non vi dispiace, non rivelate a nessuno quello che è successo, altrimenti ci rivedremo qui. Gradite un bicchiere di cocacola? Fatti dare in culo, gli rispose Eli. Vabbé, me la berrò io. Esimio collega ed amico, ti prego di accompagnare questi due cari cari ragazzi all’uscita. Gio ed Eli furono incatenati anche alle caviglie ed incappucciati nuovamente. Vennero caricati nel bagagliaio di due diverse automobili, che percorsero non molta strada. I due uomini che erano alla guida li tirarono fuori dall’automobile e li sbatterono in un angolo abbastanza nascosto e sgommarono a tutta velocità. La posizione in cui stavano era sicuramente molto scomoda. I bidoni della spazzatura fetevano in modo esagerato. Eli iniziò a gridare, Gio rimase in silenzio. Aiuto!!!, aiuto!!!, veniteci a prendere, aiutooooo.

Ziocaanta! Si sentono degli urli! Salomone stava uscendo da una macelleria di B. e cercò di capire da dove arrivassero quelle grida. Se ne accorse dopo un po’ di tempo, perché era, essenzialmente, abbastanza insmito. Ma voi chi sieeete? Siamo stati arrestati, rapiti dalla polizia. Non li leggi i giornali, risposero in coro. Vi debbo liberaaare, disse con aria dubbiosa Salomone. Sì, sì, non l’hai visto quel che è successo in tv, replicò Gio con un filo di voce. Ci hanno ammazzati di botte, ci hanno distrutto, li vedi i miei vestiti, continuò Eli. Ma è difficiiile liberarvi, commentò il montanaro. Debbo chiamaaare un fabbro. Stava albeggiando. Telefonò allo zio, ziooo, dobbiamo togliere delle cateeene, te la sentiii? Guarda che è una roba difficile, ziocanta. Sì, vengo, vengo, che due maroni, rispose lo zio, e riattaccò. Ragazziii, come staaaateee. Come vuoi che stiamo, disse Eli con aria un po’ sconsolata. Forse ho un trincialucchetti nel furgone, pensò ad alta voce Salomone, dopo qualche secondo. Cazzo, ma sei normale, ci fai stare in questa condizione, lo squadrò malamente Eli, che, nel frattempo, era stata aiutata ad alzarsi in piedi assieme a Gio. Salomone scartabellò nel furgone che era pieno di oggetti di ogni tipo e trovò un trincialucchetti. Tagliò i lucchetti delle catene che imprigionavano le caviglie di Gio ed Eli. Voleva tranciare anche le manette, ma non ci riuscì. Aveva bisogno di un trincialucchetti più grosso. Cazzo, che sfiga merdosa abbiamo, disse Eli. Dovettero attendere per 30 minuti ammanettati l’arrivo dello zio di Salomone. Chiama i nostri genitori, gli avevano anche detto, chiamali subito. Hai un cellulare? Sì, ma è difficile da adoperare, ci sono tutti quei taaasti strani, uunoooo, dueee, c’è addirittura il setteee. Io so contare fino a cinque. Mi ha detto lo zio che mi insegnerà quest’anno a contare fino a dieci, mi ha detto, ormai sei grande, vai verso i trent’anni e sei in grado di sapere anche delle cose così difficili. Ma dai, come sei messo, lo guardò male Gio. Fa vedere. Salomone gli mostrò il telefono e il ragazzo gli spiegò faticosamente cosa fare, anche perché quel giovane montanaro non era particolarmente pronto di comprendonio. Fece il numero e rispose il padre, il quale, a momenti ebbe un infarto per la sorpresa. Veniteci a prendere, venite subito, per favore, disse con tono evidentemente angosciato il ragazzo. Dove siete, dove siete, riuscite a rendervene conto. Che cazzo ne so, ci hanno portato in ‘sto postaccio orribile. Vai a vedere se c’è un cartello con il nome della via, dai, forza. Muoviti! Salomone corse a controllare, Via XXX si chiamava quella strada, Giovanni, lo comunicò immediatamente al padre al cellulare.

Hector era passato dalla redazione e si era messo a scrivere una poesia che parlava di una nave in viaggio dall’Italia agli Stati Uniti, di una ragazza ricca destinata al matrimonio e di suo padre. Sulla nave c’era un giovane scrittore squattrinato che viaggiava in terza classe, perché gli avevano prestato i soldi gli amici. Siamo agli inizi del ventesimo secolo, un tempo di progressi e di speranze. Anche Hector aveva ben pochi soldi, quando chiese di essere assunto al giornale, ma non aveva mai viaggiato in nave, almeno fino ad allora.

Suonò il telefono di S. Era Rossini, il padre di Eli. Li hanno trovati, li hanno trovati, gridò con tutta la voce che aveva in corpo. L’anziano scrittore si avviò verso gli altri occupanti. Prese il megafono, compagni, amici, cittadini, vi prego di avvicinarvi a me. Hanno trovato due ragazzi, Giovanni ed Elisabetta, che erano scomparsi, dopo essere stati arrestati dalla polizia. Li hanno trovati in periferia, sono stati picchiati, ma pare che siano in discrete condizioni. Prego i giornalisti di allontanarsi, allontanatevi, per favore. Non complicate le cose. La lotta ha un senso. Stiamo facendo politica, finalmente. Stiamo lottando per un obiettivo vero e concreto. Propongo di continuare la nostra lotta, la nostra occupazione almeno fino alla liberazione di tutti i ragazzi che sono scomparsi. Si levò un grido all’unisono: sìiiiiii, li – be – rtà, li – be – rtà, ve – ri – tà, giu – sti – zia. Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza pace. La polizia di stato non è mai stanca, di giorno manganello, di notte uno bianca. Qualcuno andò a prendere delle bottiglie di spumante. Alberto venne avvisato dai genitori di Giovanni. Le due coppie di genitori si diedero appuntamento sotto casa del ragazzo e da lì partirono con due automobili. Anche Alberto avrebbe voluto aggregarsi, ma i suoi genitori non approvarono e non permisero che ci andasse. Le luci che ricordavano quella festa commerciale erano già accese da molto tempo: c’era il solito traffico fetente di quella città e l’aria emanava il solito delizioso odore di escremento liquido. Prendiamo una scorciatoia nuovissima, ci saremo solo noi, propose il padre di Giovanni. Avevano fatto lo stesso pensiero diverse diecine di persone. Dopo molto tempo giunsero dai ragazzi. Si abbracciarono, anche se soprattutto Giovanni faticava a rendersi conto che quell’incubo era appena finito. Ringraziarono Salomone offrendogli un calice di spumante nonostante l’orario.

Il sistema di potere borghese ha capito perfettamente un concetto: ci stanno minacciando, ci stanno accusando. Ci stanno scatenando una campagna d’odio contro, i giornali di sinistra ci accusano di mancanza di senso di responsabilità. Se decidessero di intervenire ci ammazzerebbero, ma scatenerebbero anche la rabbia popolare. Noi dobbiamo temere, prima di tutto, la caricatura della nostra lotta. Ci sono tante persone diverse per modo di pensare, provenienza culturale e lavorativa. Dobbiamo organizzarci, coordinarci. C’è chi ha disegnato su striscioni il glorioso simbolo della falce e martello. Ci descrivono come esseri che stanno a metà tra Peppone e i tagliagole che si vedono di questi tempi al telegiornale. Il narratore non può fare a meno di dichiarare che non ama per niente Guareschi, contrariamente a quello che scrivono certi intellettuali di sinistra revisionisti. S. riprese, vogliono rendere la nostra lotta banale, rituale, una carnevalata, perché si rendono conto che abbiamo l’appoggio del popolo. Questa volta l’hanno fatta grossa, non credevano all’occupazione, non credevano che ci sarebbe stata una catena umana così forte, così persistente, così resistente. Dobbiamo sorprenderli, dobbiamo inventare nuove forme di lotta. Bisogna coinvolgere gli studenti, gli operai. Dobbiamo organizzare un’assemblea pubblica, una grande manifestazione di piazza. Dalle altre città stanno chiedendo di unirsi alla nostra protesta, alla nostra battaglia di civiltà. Propongo l’indizione di una grandissima manifestazione nazionale, per la dignità, per la democrazia, per la scuola pubblica, per i diritti sociali. Siamo in tantissimi, non ci possono più ignorare. Usciremo da qui e andremo a denunciarci. I manifestanti si alzarono in piedi, Gianni e Cecilia lo abbracciarono. Erano nell’ufficio del questore, il simbolo assoluto dell’ordine costituito. Alcuni erano a sedere per terre, altri si erano seduti sui tavoli, altri ancora si erano accaparrati le poltrone. Erano tutti in piedi:

 

Bella ciao[5]

 

Stamattina mi sono alzato
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
questa mattina mi sono alzato
e ho trovato l’invasor

O partigiano portami via
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
o partigiano portami via
che mi sento di morir

E se muoio da partigiano
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
e se muoio da partigiano
tu mi devi seppellir

Seppellire lassù in montagna
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
seppellire lassù in montagna
sotto l’ombra d’un bel fior

E le genti che passeranno
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
e le genti che passeranno
e diranno O che bel fior

È questo il fiore del partigiano
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
è questo il fiore del partigiano
morto per la libertà.

 

Versione alternativa[6]

ed era rossa la sua bandiera
c’era scritto libertà.

 

 

 

 

 

 

Il dottor Agatone Lo Marchio era presidente del Sindacato Poliziotti Cristiani Conservatori Per Prendere A Bastonate Liberamente Tutti (SPCCPPABLTIS). Questo sindacato organizzava delle messe nella chiesa di Santa Teresa Bastonatrice tenute da Don Santo Manganello. Le messe erano dedicate all’opposizione ai matrimoni gay, oppure in sostegno alla povera deputata- ex presentatrice – attricetta mediocre stuprata moralmente dall’impudente deputata trans. Agatone non riusciva a riprendersi dal whisky torcibudella e dalle anfetamine che si era ingoiato al Transex Club. Aveva ancora indosso gli stivali di pelle nera con i tacchi a spillo di 10 centimetri, il rimmel abbondante gli colava sulle guance, un corpetto rigido gli conteneva il ventre prominente, due imbottiture di lattice gli rendevano il seno prosperoso. Amava anche le giarrettiere e ne indossava un paio nere. Faceva uno spettacolo intitolato Lili Marlene. Cantava molto bene, imitando la voce di Marlene Dietrich. Tutte le sere, là sotto quel fanal, davanti alla caserma ti stavo ad aspettar… Dopo lo spettacolo frustava sul sedere a pagamento gli spettatori del locale. Era stato portato a casa dal fido autista Orazio, con un’automobile dai vetri oscurati. L’autista l’aveva trascinato a braccia in casa, gli aveva anche chiesto se aveva bisogno di qualcosa poi, visto che Lo Marchio, o Dolly, come si faceva chiamare, non dava segni di vita, se ne era andato a casa propria.

L’avvocata Nanni arrivò alle abitazioni di Gio ed Eli, parlò con i loro genitori, ma non se la sentì di disturbare i ragazzi, che stavano riposando nelle proprie camere. I genitori avevano parlato per poco tempo con i ragazzi di ciò che era successo, i figli avevano appena raccontato loro le modalità sicuramente atipiche, per usare un eufemismo, del loro arresto. Anche le ferite fisiche erano guarite rapidamente. L’avvocata decise di recarsi in questura, in tribunale e dai carabinieri per chiedere notizie delle procedure utilizzate. Quando arrivò in questura noto che c’era un gran trambusto, chiese chiarimenti e le venne risposto che il gip aveva disposto la scarcerazione di tutti i fermati, anche se essi continuavano ad essere indagati per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. C’erano altri avvocati che avevano assunto la difesa degli altri malcapitati. Si parlarono per coordinare al meglio anche le azioni legali, oltre che quelle di protesta. Costanza prese il cellulare per chiamare Gianni.

S., S., se sapessi cosa è successo. L’anziano medico si avvicinò all’amico con aria sorniona. Eh, dimmi, non farmi perdere tempo, per favore. Sono stati liberati tutti, per adesso, stiamo vincendo. S. attirò l’attenzione degli occupanti. Venite, venite. Vi debbo comunicare una notizia importantissima. Tutti si avvicinarono frettolosamente. Non abbiate fretta. Mi è stato comunicato telefonicamente che tutti gli arrestati sono stati liberati per vizi di forma, che sono stati rilevati durante le operazioni di fermo. Io non sono pratico in materia legale, non so di preciso di che cosa si tratti, ma sono sicuro che questo sia successo originato anche dalla nostra lotta. Ora possiamo continuare la nostra lotta, ora possiamo trovare nuove forme di protesta. Le urla si levarono.

Il narratore commetterebbe un’omissione imperdonabile, se dimenticasse un altro fatto piuttosto importante. Durante la notte era successo un altro episodio, poco simpatico. I manifestanti avevano avuto in concessione una chiesa sconsacrata, alla periferia di B. Era diventata una delle loro basi operative: l’avevano adibita a centro stampa, avevano creato una radio per raccontare a tutti di quella manifestazione. Lì dentro cantavano, accompagnati dalle chitarre, e dormivano un po’ alla meglio, dentro sacchi a pelo oppure su tavoli. Polizia, carabinieri e guardia di finanza decisero di lanciare l’assalto contro quella scuola. Pare che quei manifestanti fossero in possesso di armi. Le forze dell’ordine furono molto solerti, le ossa rotte furono veramente tante, abbondarono le ustioni e le abrasioni, prosperavano le contusioni e le distorsioni. Pare che avessero bersagliato gli sbirri e i caramba con delle sassate, anche se, da un filmato che mostrava quei fatti, non si notava nulla. I tutori dell’ordine costituito sostennero che i manifestanti avevano accolto con una coltellata l’appuntato Girolamo Onorato Vincenzo De Pasquale. Solo l’appuntato De Pasquale raccontava di quella violenza, che non aveva lasciato su di lui alcun segno, tranne un giubbotto lacerato. Sicuramente la parola di un poliziotto ha più valore di quella di un manifestante. Cose che capitano, si potrebbe dire.

I pochi lettori di questa modestissima opera ne perdonino il narratore. Noteranno, nel seguito, che di questa vicenda, si farà scarsa menzione di quanto appena descritto. Ciò non è dovuto ad improvvida ed ingiusta sottovalutazione dell’evento, ma è una scelta. Questa è una modesta storia, non è un’enciclopedia.

In questura nulla erano in grado di dire sull’arresto di Gio ed Eli, assolutamente nulla. A loro non risultava nemmeno. Come è possibile che un arresto non sia documentato? Sembrava di essere in Cile o in quella che chiamano la più grande democrazia del mondo, che organizza le extraordinary renditions, i rapimenti di sospetti terroristi, e tante altre torture e malefatte. Fottiti amerika, scrisse un poeta. Credo fosse Stefano Tassinari. L’avvocata Nanni uscì dalla questura. Si era scordata persino di comprare i regali per quella curiosa festività. S. fece i bagagli in tutta fretta. Voleva fuggire immediatamente da B. Non ne poteva più di stare in città. Era stravolto, perché aveva trascorso una notte insonne. Gli sembrava di non vedere né Borri, né Nevio da troppo tempo. Non lesse neanche le previsioni del tempo, correndo il rischio di essere sorpreso dalla neve. Non nevicò, perché la temperatura era abbondantemente sotto lo zero. Tornò a casa propria, rischiando di oltrepassare i limiti di velocità, e ingenti multe comminate a seguito delle segnalazioni degli autovelox.

Quando entrò in casa era quasi ora di mangiare e faceva un freddo cane. Accese il riscaldamento, ci aveva messo una vita per imparare come si faceva, e se ne andò a mangiare da Nevio. Il suo amico ristoratore fu molto contento di vederlo. Lo abbracciò, carissimo amico, oggi ti rimetto a nuovo, gli disse. L’anziano scrittore capì che Nevio l’aveva trovato uno straccio.

Per preparare i malfattini in brodo[7] bisogna impastare 3 uova e 300 grammi di farina[8]. Bisogna formare una palla soda, tagliarla a fette grosse e lasciarla asciugare all’aria per 1 ora. E’ necessario tagliuzzare grossolanamente fette con un coltello, fino a ridurle a pezzettini grandi come un chicco di riso. La preparazione è molto lunga, bisogna fare asciugare il tutto per 2 ore. Si possono mangiare con brodo di carne o verdure con aggiunta di parmigiano, oppure con minestra di fagioli[9]. S. scelse la minestra di fagioli. Il narratore di questa storia non può fare a meno di menzionare il proprio assoluto gradimento nei confronti della minestra di fagioli e del coniglio alla cacciatora, che rappresentò la seconda portata di quel pranzo consolatore delle fatiche e delle tensioni accumulate in quei giorni. Non era abituato a quel trambusto da molti anni. Aveva pensato, per la decima volta, di abbandonare tutto. A volte era un po’ monotono. Il coniglio alla cacciatora[10] è il trionfo dei sapori, unisce la delicatezza della carne alla pienezza del sapore del pomodoro e del vino con le sue sfaccettature di gusto, retrogusto e aroma. C’è la forza dello strutto e della cipolla. Bisogna farla rosolare per bene con lo strutto. La cipolla va tolta e riaggiunta assieme ai pomodori una volta che il coniglio, tagliato a pezzi, è stato cotto nello strutto. Alla fine dell’opera bisogna far bollire il tutto, aggiungere un mezzo bicchiere di vino bianco e continuare a far bollire fino a che il brodo non diventa denso. La Romagna è la terra della piadina, simbolo universale di questa zona. Si può dire che il crescione è l’incontro di due piadine con un ripieno. Da un certo punto di vista lo si può considerare un cibo ricco, vista la sovente opulenza del ripieno, da un altro questo è un cibo povero, perché, molto spesso, costituiva l’unica pietanza del misero desco. Nevio gli preparò un crescione ripieno di zucca e patate[11]. L’aveva sempre a disposizione, ed era sempre squisito, in qualsiasi stagione. Anche il crescione non starebbe bene ai musulmani, perché contiene il prosciutto, che deve essere finemente tritato, e deve essere unito a zucca e patate lessate. Bisogna aggiungere sale e pepe e abbondante parmigiano appena grattugiato. La zucca va inserita per ultima, lessata e ben strizzata nell’acqua di cottura. Prima di preparare la sfoglia bisogna ottenere una massa adeguatamente morbida, ricorrendo eventualmente al latte. Per ogni chilo di farina bianca serviranno 4 uova, 1 cucchiaio di sale e l’acqua di cottura della zucca. Dalla sfoglia si ottengono dei quadrettoni sui quali si mette abbondante ripieno, i quadrettoni si chiudono a triangolo, ottenendo i vari crescioni, comprimendo bene con le dita. I crescioni vengono cotti sulla piastra e serviti con prosciutto e formaggi affettati. Il narratore non ha potuto fare a meno di compiere questa digressione culinaria, per spezzare la tensione provocata dagli ultimi avvenimenti. Per finire in bellezza, si mangiò la zuppa inglese. Nevio gli propose, per i vini, degli abbinamenti abbastanza classici, che il narratore non menzionerà perché questo non è un trattato di enologia, ma vorrebbe essere un romanzo, come forse è già stato scritto. Nevio gli propose un bicchiere di Orvieto, che S. bevve con riluttanza. Era talmente invecchiato che era diventato marsalato. Nevio pensava che all’amico non sarebbe piaciuto, ma si sbagliò. Sai, non è aggressivo ed ha un buon retrogusto, non lascia la bocca impastata, gli rispose con aria compiaciuta. Nevio rimase stupito, perché sapeva dello scarso amore che nutriva l’anziano scrittore per i vini dolci, eccezion fatta per i vini полусладкие, letteralmente “mezzi dolci”, della Moldavia. Salutò Nevio e se ne andò a casa. Non c’era nulla da mangiare, avrebbe dovuto far spesa.

Si buttò a letto, rimase per un po’ ad occhi aperti, prima di addormentarsi come un sasso. Passarono alcune ore, S. si risvegliò. Era intorpidito, per le ore di sonno fuori orario. S. era un uomo molto regolare ed abitudinario. Sentiva che la sua salute ed il suo equilibrio erano legati strettamente al perfetto ordine della sua vita. Non aveva nessuna voglia di far la spesa. Stava peggio di prima. Rimase a letto con gli occhi aperti per un po’, non riusciva ad alzarsi. Sperava che la signora R. gli avesse lasciato qualcosa da mangiare. Dopo un tempo indefinito si alzò e andò a vedere cosa c’era nel frigorifero. Trovò lasagne e braciole. Quella donna era un angelo invisibile. Entrava molte volte quando S. era in giro, rassettava casa, lasciava dei preziosi manicaretti e se ne andava. Aveva spesso paura di disturbarlo. Decise di telefonare a Borri per salutarlo e invitarlo a cena da lui. Caro S., ora sto molto meglio, ma ho avuto un focolaio di polmonite. Sono stato ricoverato all’ospedale per alcuni giorni, ho seguito tutta la vicenda, non avrei mai immaginato che… Basta!!! Urlò S.,  non ne voglio sentir parlare per un po’. Achille, vieni a cena a casa mia stasera, ho voglia di vederti. Te la senti? Perché no, finisco il mio ultimo appuntamento alle 19, il tempo di prepararmi e, alle 19 e 30 sono date. Apparecchiò la tavola ed aspettò l’amico che arrivò puntuale, recando con sé una bottiglia di vino pregiato. Parlarono a lungo, Borri avrebbe voluto assicurargli il proprio aiuto in merito alle vicende del liceo Ics, ma non osò farne menzione perché avrebbe ricevuto degli improperi.

Andò a letto verso l’una e si alzò al solito orario. Si sentiva soddisfatto, perché stava recuperando i propri ritmi, anche se era ancora abbastanza stanco. Sbrigò le solite commissioni e poi se ne tornò a casa. Si preparò qualcosa molto velocemente e poi decise di rimettersi a lavorare, incurante di tutto e tutti. Stava lavorando alla sua opera sul cuoco Esposito, quando decise di interrompere per scrivere un saggio su Aleksander Blok[12], che gli aveva commissionato una rivista letteraria. Lo terminò in brevissimo tempo. Tra sé e sé fece, questo pomeriggio sta funzionando per il meglio. Il narratore non può non scrivere che S. non era per niente scaramantico. Disse ad alta voce: neanche uno scassapalle oggi. E il telefono suonò senza pietà. Ciao carissimo amico mio, attaccò Gianni. Se provi a parlarmi di certe vicende, vedi cosa ti succede. Bisogna anche notare che S. aveva tenuto la televisione rigorosamente spenta, non aveva acquistato i quotidiani, aveva accuratamente ignorato gli sguardi di chi, conosciuto o sconosciuto, sperava, di sapere qualcosa, qualche segreto, qualche indiscrezione. Nevio non aveva osato, accendere la televisione, anche quando lui non c’era, per timore che arrivasse, né chiedergli nulla di questa storia. Non ti preoccupare caro mio, io penso alle festività prossime venture, disse Gianni. Chi se ne frega delle festività prossime venture, così come di quelle passate e di quelle future, rispose S. Ma dai, non fare il duro, via, non penserai mica di trascorrere il Natale tutto solo… S. riattaccò con rabbia.

Qualcuno di quei pochissimi che stanno leggendo questa storia troverà ingiustificate le frasi che sono scritte all’inizio. In realtà S. si comportava così, proprio perché era un’anima mite e timida. Lo faceva per difesa nei confronti del mondo esterno.

Qualche minuto dopo il telefono suonò ancora. Era di nuovo Gianni. Carissimo, saresti contento se io e Cecilia, eventualmente con alcuni parenti, ti venissimo a trovare il giorno di Natale. Questi riti del cazzo mi fanno rabbrividire. Se continui con questa menata, che a Natale non si deve star soli, non ti rivolgo più la parola per qualche anno, replicò l’anziano. Ho capito, ho capito, rispose l’amico. Io, con la mia famiglia, abbiamo deciso già da tempo di fare una gita dalle tue parti. Non veniamo appositamente, non ti preoccupare. Ti va bene martedì prossimo? Il martedì successivo sarebbe stato il giorno di Natale, ma S. non si ricordava. Ok, fate pure, se proprio ci tenete, concluse il signor S., con tono fintamente disinteressato. In realtà S. era piuttosto contento, ma non voleva mostrarlo, poiché era molto timido. In quei giorni riprese in pieno le proprie abitudini. Incominciò nuovamente a comprare i quotidiani e a guardare i telegiornali. Notò che l’argomento principale trattato dai media era la spesa degli italiani per i pranzi festivi e i regali natalizi, seguito dai nuovi amori dei vips. Nessuno pensava più al liceo Ics, alle proteste, a Marini e a Castaldi, alle irregolarità nel bilancio. Le Tv trasmettevano films in cui le famose veline protagoniste di calendari scollacciati e di relazioni triple e quadruple interpretavano le madonne nelle fictions. Erano anche ospiti dei telegiornali, nei quali rilasciavano dichiarazioni sul valore della famiglia tradizionale fondata sul matrimonio cattolico apostolico romano tra uomo e donna. Quel giorno al tg principale Esterina Quartodibue, la fidanzata in successione di Andrea Bussolotti, centravanti, di Jonathan Filippetti, mediano e di Dervis Pancotti, portiere, tra gli altri, vestiva un paio di hot pants minimali, un top verde pisello e aveva il mascara viola. Aveva sandali con dieci centimetri di tacco, masticava chewing-gum rumorosamente e controllava con dispiacere e spavento le proprie doppie punte. Cioè, sono molto contenta di avere interpretato il ruolo di Maria. Questo ha accenduto in me un nuovo imbegno in favore della famiglia edero e sessuale. Per questo motivo ho deciduto di partecipare alla grande manifestazione di Forza Nonso Cosa (FNC), Partito Turbo Fascista (PTF), Partito Turbo Diesel Fascista (PTDF), Partito Non Più Fascista (Boh?) (PNPFB?). Si noti che il boh era stato aggiunto negli ultimi tempi a seguito della rivalutazione del glorioso periodo del ventennio. Alla manifestazione avrebbero preso parte anche il Partito JTD Fascista (PJTDF) e il Partito Anticentralista Contro I Terroni Roma E I Negri (PACITREIN) che aveva un sacco di deputati a Roma, tre portaborse e tre autoblu, tanti biglietti gratis per le partite di Roma e Lazio, per ciascun parlamentare, sottosegretario, ministro, membro del consiglio di amministrazione di enti pubblici e parastatali, e la Democrazia Quasi Cristiana Cattolica Apostolica Romana (DQCCAR). Esterina Quartodibue avrebbe sfilato in abito bianco da sposa, dal quale si poteva notare il perizoma, si era anche messa un paio di baffoni neri. Un inviato di una nota trasmissione televisiva le aveva domandato il perché di quei baffi. Dopo una risata isterica la Quartodibue aveva risposto, non lo sooo. Prodi boia, Luxuria è la tua troia. Prodi pervertito, Luxuria è tuo marito. Il narratore si sta chiedendo chi siano quegli strani personaggi, di cui è stato appena scritto. Occorre precisare che la superalleanza che aveva organizzato la manifestazione aveva delle forti differenze al proprio interno. Mentre il Partito Turbo Fascista vedeva il fascismo in modo più potente, il PTDF, turbo diesel, lo vedeva anche con un altro carburante, ma, a differenza di tutti, il PJTDF concepiva quel glorioso periodo con una nuova tecnologia, oltre che con più potenza e un altro carburante. Queste sono nozioni indispensabili per capire il tempo presente.

Anche C. era pavesata di decorazioni e di luminarie natalizie e questo rallegrava un po’ S., nonostante il freddo cane e il vento impetuoso. L’anziano signore non lo avrebbe mai ammesso, che la presenza di quelle luci e quelle decorazioni miglioravano il suo umore. Stava lentamente recuperando il proprio equilibrio interiore.

Mentre stava tornando dalla passeggiata mattutina noto l’approssimarsi di un’automobile che gli era del tutto familiare. Non aveva ancora finito di riflettere, quando notò Mario Marchi seduto sui sedili posteriori dell’auto insieme a Rosaria. Al volante c’era Cecilia con a fianco il marito. Mamma mia, è oggi martedì, è oggi. Mi ero già scordato, disse. Corse incontro agli amici, andando ad abbracciare prima di tutti Mario e Rosaria. Era da un tempo infinito che non si vedevano. Gli vennero alla mente di colpo gli anni della giovinezza, la Resistenza, le lotte condotte nel dopoguerra, ma anche i momenti di allegria, le litigate, gli sfottimenti, le canzoni che gli altri cantavano a squarciagola, lui no. Osteria numero uno, non ci entra mai nessuno, ci va solo le puttane che si tolgon le sottane, dammela a me biondina, dammela a me bionda. Osteria numero uno, non ci entra mai nessuno, c’era il papa con gli occhiali che inculava i cardinali, dammela a me biondina, dammela a me bionda.[13] Gianni aveva prenotato all’Astice. S. si congratulò con lui, per la bravura che aveva dimostrato nel tenere il segreto su Mario e Rosaria. Mi dovrei cambiare, fece con aria un po’ preoccupata. Gianni rispose prontamente, mo va la’, mo fammi il piacere. Vai benissimo così! Ti debbo anche annunciare che verrà l’esimio Achille Borri, il quale ci sta aspettando al ristorante. Anche stavolta mi sorprendi, replicò l’anziano scrittore. Ma chi è la Cia al tuo confronto? Ma cosa era il glorioso KGB? E la gloriosa CEKA? Erano dei dilettanti… Mi fa piacere vedervi, aggiunse timidamente S. Gianni lo guardò con aria felice e lo invitò a salire sull’automobile. Arrivarono al ristorante nel quale trascorsero delle ore serene e piene di allegria a rievocare i bei vecchi tempi. Tutti i guai sembravano essere stati dimenticati, sepolti, almeno per quel momento. Passarono molte ore e il cielo iniziò a rabbuiarsi. Ad un certo punto gli amici si alzarono dal tavolo e si avviarono verso l’uscita. S. venne riaccompagnato a casa, si salutarono calorosamente. L’amicizia, forse serviva ancora a qualcosa, forse.

Nei giorni che separavano Natale dall’ultimo dell’anno, S. lavorò molto, con l’animo in pace. Telefonò anche a molti suoi amici, chiamò anche a casa di Gio ed Eli. Per l’ultimo dell’anno andarono tutti insieme da Nevio. Anche stavolta erano venuti Gianni e compagnia, perché S. aveva rifiutato con estrema decisione un invito dell’amico medico ad un veglione a B. Non ci penso nemmeno, ma che dici? Debbo spendere un sacco di soldi per mangiare da schifo!? 140 euro a testa per un piatto di tortellini e un po’ di arrosto vecchi di qualche settimana, spumante schifoso e il trenino. A E I O U, Y Brigitte Bardot, Bardot[14] erano le prospettive per quei poveri fessi, che si facevano fregare da quegli organizzatori senza pietà, alla Filini. Fino a qualche anno prima il signor S. festeggiava il penultimo giorno dell’anno, in segno di protesta anticonformista. L’ultimo dell’anno, per le strade di B., gruppi di ubriachi vomitavano allegramente per terra, urlando ed emettendo rumori intestinali e di stomaco molto violenti, non trascurando di deturpare qualche auto in sosta, giusto così, per festeggiare. Il bello è che questi vandali erano, per la maggior parte, negli altri 364 giorni dell’anno, rispettabili padri di famiglia, professionisti, avvocati. Questi, durante l’anno, firmavano petizioni contro i no global e le mignotte. Si sa, bisogna pur divertirsi.

[1]              Luogo in cui è situata la casa circondariale del capoluogo petroniano.

[2]              Idem.

[3]              Luogo in cui era sita la casa circondariale del capoluogo felsineo.

[4]              Cfr. http://www.lyricsmania.com/lyrics/litfiba_lyrics_3512/pirata_lyrics_11024/il_vento_lyrics_127690.html.

[5]              Cfr. http://it.wikisource.org/wiki/Bella_ciao_%28resistenza%29. Questo canto origina dalla versione omonima delle mondine con influenze da Picchia picchia alla porticella e Fior di tomba. Cfr. anche http://it.wikipedia.org/wiki/Bella_ciao.

[6]                Strofa cantata dopo l’ultimo verso.

[7]              Cfr. http://www.cucinaromagnola.com/minestre.php.

[8]              Dose per 6 persone.

[9]              Cfr. Nota 31.

[10]             Cfr. http://www.cucinaromagnola.com/carne.php.

[11]             cfr. http://www.cucinaromagnola.com/contorni.php

[12]         cfr. utexas.edu//rus330-sp04/presents/class26_files/slide0013.htm

 

[13]             Cfr. http://www.lidotropical.it/L’angolo%20della%20cultura/le_osterie.htm

[14]             Cfr. http://members.fortunecity.com/absmusica/nacionais/nletrasai/benitodipaula/charlie_brown.htm

Personale/ 2

 

MENO DUE

 

Dopo avere parlato con il suo amico Gianni si rimise al lavoro, spostandosi sulla terrazza. Passarono le ore ed era arrivato mezzogiorno, la signora R., che abitava al piano di sotto e che lo aiutava qualche volta nelle faccende di casa, non era passata e, dunque, S. andò a mangiare nella solita trattoria, dato che non aveva nessuna voglia di cucinare. Entrò e fu subito accolto dal padrone, Nevio, che lo salutò. Buongiorno, signor S.! Buongiorno Nevio, mi prepari il solito. Il solito consisteva negli strozzapreti al sugo di lepre e in un paio di cosce di pollo, che innaffiava con il suo vino preferito. Mangiò con grande appetito e non pensò minimamente a quella telefonata che gli era arrivata poche ore prima. Quando finì il pranzo, con il suo solito amaro alle erbe, si avviò a piedi verso casa, visto che la trattoria da Nevio era a pochi passi da dove abitava. Andò a casa e lesse i giornali, che parlavano dell’emergenza criminalità provocata dai soliti extracomunitari e di una nuova guerra che il governo, ma anche parte dell’opposizione, avevano deciso di fare per sconfiggere un perfido dittatore, che, fino a pochi anni prima, avevano appoggiato e finanziato. Dopo avere letto i giornali S. si domandò, come al solito, ma che li leggo a fare? Ripensò a Gianni, Gianni Marchi, il suo amico che aveva risentito al telefono. Gianni era un ometto che si avvicinava ai settanta, con i baffetti e i capelli castani. Si erano conosciuti a B., poco dopo la guerra. Gianni veniva da una famiglia borghese, di tradizioni liberali, gobettiane. I suoi si erano opposti al fascismo e avevano avuto non pochi problemi. Gianni era, come diceva S., matto come un cavallo, esuberante e vulcanico. Dopo avere iniziato a frequentare Medicina, lasciò l’Università e fece per 6 anni l’operaio in fonderia. Disse che voleva provare nuove esperienze. Un giorno, quando incontrò S., gli disse, sai che torno a studiare. Ma va la’, rispose, con aria ironica l’amico. E’ vero, voglio finire gli esami. Sì, quando inizierò a cantare messa, rispose S., che, da notare, era ateo fervente. Gianni non aveva una gran voglia di studiare, gli piaceva fare tardi la sera e cercare donne. Era sicuramente brillante, ma non riusciva a combinar niente prima delle 3 del pomeriggio. Aveva dato solo alcuni esami, con una media non certo alta. E così incominciò a dare esami su esami, ottenendo 30 e 30 e lode. Gli amici, che lo avevano sfottuto per il rendimento non proprio brillante, rimasero stupiti. Si laureò, studiando anche la notte, e, in breve tempo ottenne anche la specializzazione di cardiologo. Aprì un ambulatorio in centro, grazie anche al denaro dei suoi genitori, che divideva con il lavoro in ospedale. Era noto per i prezzi bassi che praticava e, per questo, veniva anche accusato di concorrenza sleale da alcuni colleghi. Era sempre stato iscritto al Partito, e fu, per 15 anni, consigliere comunale, e per 2, anche consigliere regionale, quando furono istituite le regioni. Smentì gli amici sulla sua fama di donnaiolo, sposandosi poco dopo la fine dell’Università, con Cecilia, che studiava Medicina all’Università di B. Dopo tanti anni era ancora sposato con Cecilia, che gli amici di Gianni pronosticarono come vittima di sicure corna.

I giorni proseguirono il sabato si stava avvicinando, quando sarebbero arrivati Gianni e i ragazzi. In quei giorni lesse su di un giornale della proposta di legge che aveva fatto il governo. Erano stati aboliti definitivamente i finanziamenti alla scuola pubblica, perché nel libero mercato non ci debbono essere monopoli, e triplicati, per l’ennesima volta, i finanziamenti alla scuola privata. La scuola privata era, secondo il governo, luogo di moralità e virtù cristiane, un luogo dove gli studenti erano sottratti alla malvagia influenza degli insegnanti comunisti, i quali avrebbero potuto spiegare, ad esempio, che i partigiani erano meglio dei fascisti. Orrore. Ora si trattava di privatizzare quelle poche scuole pubbliche che restavano, quelle che erano governate dai presidi-manager, come si diceva. Molte scuole pubbliche erano già state chiuse, perché non rendevano abbastanza, o, perché, quando erano state quotate in borsa, le loro azioni erano crollate. Qualche preside-manager era sotto processo perché aveva distratto qualche milione di euro dai bilanci. Il ministro dell’Istruzione, che sbagliava i congiuntivi, aveva elaborato il progetto che prevedeva l’affidamento delle scuole pubbliche a delle fondazioni no-profit, come si diceva allora, con un consiglio di amministrazione composto da banche, come ad esempio dalla Money Bank, che si occupava di traffico d’armi, o dalla multinazionale Fortuna, che elaborava cibi transgenici. Era già stato elaborato un progetto di sperimentazione, il preside del liceo Ics, di B., azionista della Money Bank, aveva aderito. La fondazione si sarebbe chiamata Fondazione per la Protezione Cristiana Cattolica Apostolica Romana della Moralità dei Giovani. Lesse anche di un progetto di legge, presentato da un deputato di quel partito, che, secondo alcuni non era più fascista, per aggiungere, negli elenchi degli insegnanti una C nera, di fianco al nome di quegli insegnanti di sinistra. Dopo avere letto della proposta di legge, di un partito nordista, per obbligare anche le moschee e le sinagoghe e, anche, in futuro, le case private, ad appendere il crocifisso in nome della tradizione cristiana dell’Europa e, perché, quelle sono religioni intolleranti e, in fondo, gli ebrei hanno anche ucciso il figlio di Dio, lesse anche delle inaugurazioni di 5 busti ad altri 5 gerarchi fascisti. Ne erano stati inaugurati già un centinaio. Quando l’opposizione protestò, il sottosegretario ricordò, che, con quelle onorificenze, non si intendeva onorare il loro passato fascista, ma la grandissima abilità che avevano, questi fascisti, nel gioco degli scacchi, delle boccette e nella pallavolo.

Quel sabato il signor S. si alzò presto e, dopo avere fatto la sua corsa sulla spiaggia e comprato i giornali, andò a fare la spesa: voleva comprare qualcosa in più, visto che aveva ospiti. Comprò qualche bibita, pasticcini e salatini. Arrivò a casa, svuotò le buste della spesa, e si mise a lavorare, al suo saggio. Avrebbe dovuto consegnare i primi capitoli entro pochi giorni. Li avrebbe mandati via e-mail alla tipografia e, tutto ciò gli procurava un tremendo stress, perché non aveva molta dimestichezza con i computer. Guardò nel frigorifero e nel resto della cucina e vide che la signora R. gli aveva preparato delle tagliatelle alla bolognese, con la sfoglia tirata con il mattarello, e gli aveva fatto trovare delle bistecche di cavallo. Alé, meno male, che c’è anche il ragù già pronto. Scaldò il tutto e mangiò con appetito, si bevve anche del lambrusco. L’appuntamento era previsto per le 3, S. pensava, considerando che guida Gianni arriveranno verso le 4. Alle 3 in punto sentì suonare alla porta, stava finendo di leggere il giornale. Gianni! S.! Si abbracciarono e si baciarono. Subito dopo S. salutò i due ragazzi. Lei era bionda, alta, capelli lisci, dalle forme generose, e gli occhi neri, che attirarono S. Giovanni aveva i capelli e gli occhi neri e la carnagione olivastra, era molto alto e robusto. Accomodatevi, fece S.. I ragazzi entrarono e si sedettero nella sala da pranzo, che era imbandita, con un paio di vassoi e alcune bottiglie. Si presentarono e iniziarono a parlare. Abbiamo sentito parlare di lei, signor S., sappiamo di quello che ha fatto. S. arrossì e squadrò malamente Gianni. Aveva forse detto loro di dargli del lei e, di metterlo in imbarazzo, ricordandogli le battaglie che aveva fatto. Si era battuto contro i licenziamenti per motivi politici in fabbrica, per le 150 ore per i lavoratori e per rendere accessibile la scuola e l’università a tutti, anche ai figli degli operai, a coloro i quali che i suoi genitori definivano, con malcelato disprezzo, la gente di bassa condizione. Si voltò verso i ragazzi e, con sguardo a metà tra il sorridente e l’arrabbiato, disse, innanzitutto vi proibisco categoricamente di darmi del lei e poi, per favore, parliamo di voi, parliamo di gioventù, altrimenti mi ricordate quanto sono vecchio. Elisabetta rise e iniziò a parlare, sai anche noi facciamo politica. Il nostro è un collettivo di ragazzi. Come mai non avete il piercing e non siete trasandati? Disse ridendo S., tutti risero e Giovanni intervenne, noi ci vogliamo distinguere, sai, non abbiamo ancora spaccato una vetrina. A parte gli scherzi, continuò S., apprezzo molto ciò che fate. Continuate pure. Conosci il nostro liceo, è un liceo dove c’è perfino la Suprema Legge di Comportamento degli Studenti, un volume di 650 pagine, le ragazze non possono avere la gonna sopra al ginocchio, non possono avere i capelli sciolti. I maschi possono avere i capelli lungi al massimo 2 mm. Sui muri c’è scritto QUI NON SI PARLA DI POLITICA. TACI IL NEMICO TI ASCOLTA Non si possono usare le parole, preservativo, masturbazione, non si può dire leccare il francobollo e non si possono dire neanche le parole marxismo e comunismo se non si aggiungono anche le espressioni sporchi criminali che hanno provocato 1 miliardo di morti, fetidi miscredenti, pagani e portatori di disordine. Pensa che il figlio del preside, che è uno studente, è nel consiglio di amministrazione e, per lui, vi è la regola del legittimo sospetto. Se prende meno di 7 in un’interrogazione o in un compito di classe, può chiedere di farsi interrogare da un altro professore, perché, a suo dire, quello che l’ha interrogato sarebbe influenzato dalla barbara ideologia marxista. Secondo la Suprema Legge un professore che da a Giorgino un 4 in un’interrogazione perché è convinto che Manzoni sia nato nel’500 è un convinto comunista, perché non si sa adattare al libero mercato. Nel libero mercato non è importante sapere quando è nato Manzoni, basta sapere che è esistito. La materia più importante del nostro liceo è Marketing. Scusa, che liceo è, chiese S.. E’ un liceo classico, rispose Giovanni.

Parlarono a lungo e i due ragazzi tentarono di convincere il signor S che avevano bisogno di lui, che il suo intervento era necessario. Si ricordavano ancora delle lotte dei partigiani, cosa che non succedeva spesso in quel tempo. Dissero che i giovani avevano bisogno di gente con più esperienza. Il signor S disse che i vecchi erano la spazzatura della storia, che dovevano lasciare spazio ai giovani e non rompere le palle. Avevano fatto delle conquiste, ma poi non erano stati capaci di difenderle, anzi le avevano buttate via. Andate avanti voi, con i vostri collettivi e le vostre idee, io resto a casa a scrivere qualche libro. Dovrebbero fare così tutti i vecchi, oramai sono inutili. Era gentile ma fermo. Dopo avere conversato per tutto il pomeriggio andarono a cena e mangiarono alla romagnola da Nevio. A tavola i due ragazzi e lo stesso Gianni, che aveva tentato di convincere S. venendo inviato a quel paese, parlarono poco, ma S. Li rassicurò. Guardate che sono pronto a darvi dei consigli, non dovete preoccuparvi di questo, ma intendo starmene per i fatti miei, non servo più a nessuno. Voi sapete il mio numero di telefono, ma vi consiglio di rivolgervi a Gianni, perché su queste cose se la cava sicuramente meglio di me. I ragazzi e Gianni se ne andarono a tarda notte e S se ne andò a letto stremato. Erano delusi.

Il giorno dopo c’era un freddo cane e anche S. non si sentiva bene, aveva un colossale mal di testa. Non andò neanche a correre, andò a far spesa e a comprare i giornali, che abbandonò sul letto. Si stese sul divano, rimanendo in uno stato di dormiveglia che lo uccideva. Il telefono suonò e S. mandò a quel paese anche un giornalista di una rivista letteraria che gli proponeva un’intervista. Non combinò nulla per tutto il pomeriggio. Decise di accendere la televisione, per punirsi, guardando tutte quelle stronzate. Ad un certo punto incominciò l’unico tg del pomeriggio che S. considerava decente. Questo telegiornale aprì con la cronaca, un bidello del liceo Ics si era suicidato. Lo avevano trovato impiccato in casa sua, in periferia a B. Si chiamava Achille Castaldi, aveva 44 anni e viveva solo. C’erano alcune ombre su quel suicidio, Castaldi era alto unmetroenovanta e la corda che lo aveva ucciso era molto corta. Achille aveva visto la fidanzata la sera prima e lei aveva dichiarato che il suo compagno era stato di umore perfetto. Quando intervistarono il preside mister Ics e gli chiesero se aveva dei dubbi, lui accusò i giornalisti di essere dei comunisti che complottavano contro un rispettabile liceo frequentato dalla gente bene. Il signor S. incominciò a pensare, si sentiva colpito. Quello strano suicidio lo aveva incuriosito, forse era arrivato il momento di fare qualcosa di più, anche se non voleva farlo sapere a Giovanni ed Elisabetta perché non voleva che si illudessero e perché, forse, avrebbe potuto cambiare idea. Il giorno dopo lesse sul giornale, che dei politici della maggioranza avevano incolpato i comunisti di una campagna diffamatoria tesa a screditare chi forma la classe dirigente di una città come B. Qualche politico di sinistra disse che bisognava lasciare libera la magistratura di indagare liberamente, qualche altro politico un po’ di sinistra sostenne che, in nome dell’unità tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione, non bisognava indagare troppo.

Il giorno dopo mister Ics fece pubblicare un necrologio che annunciava la morte di Achille Castaldi, rapito in giovane età da destino cinico e baro. Il liceo Ics ne piange la morte disperatamente ed esprime sentite condoglianze alla famiglia. Il liceo Ics aveva anche deciso l’immediata assunzione di un altro bidello Marco Galati. Come mai ne assumono subito un altro, si chiese S. Decise di controllare, voleva capire. Si ricordò di un certo onorevole Galati e telefonò a Gianni, che gioì per il suo interessamento. È una semplice curiosità, cosa credi? Sì, sì, lo dici tu. Ti chiamo io tra circa un’ora. Richiamò:  Galati Alfredo è un ex deputato, un maneggione, Marco Galati è suo nipote, il figlio di una sorella, che ha sposato il fratello di mister Ics.

Il liceo Ics era un palazzo di architettura fascista. S. si ricordava ancora di quando fu inaugurato. Era il vanto del gerarca fascista locale. Quell’orrendo edificio dalle linee squadrate aveva otto piani e le sbarre alle finestre: le aule erano mal messe, i banchi e le sedie mezzi rotti. Dei genitori avevano dovuto portare delle sedie, perché non c’erano i soldi. I muri della stanza del preside erano adornati da tappezzerie lussuosissime, aveva comprato un orrendo trono in un negozio di antiquariato. C’era scritto che era del secolo XVIII. Le sedie con il materiale più malconcio erano riservate agli studenti e agli insegnanti comunisti, oppure con meno di 250000 euro di reddito annuale. Anche il sistema per l’iscrizione era un po’ differente: coloro i quali appartenevano a famiglie abbienti dovevano solo comunicare a voce l’intenzione di iscriversi, chi non apparteneva a queste categoria, oppure, pur appartenendovi, era comunista, doveva produrre in 10 copie il certificato di buona condotta, farsi visitare per accertare il proprio stato di salute, lo stato di famiglia in 4 copie, di cui una da consegnarsi al comune di Firenze e fare 4 capriole davanti alla segretaria per dimostrare sana e robusta costituzione, la fotocopia della carta d’identità dei nonni, della mamma e dei bisnonni, anche se deceduti. Quel giorno mister Ics si stava intestardendo, non sapeva di preciso che discorso avrebbe pronunciato il giorno dopo. Ci sarebbe stata l’inaugurazione dell’anno scolastico. Stava seduto sul trono e parlava con un ragazzo piccolo e deforme e dalla voce nasale, suo figlio. Giorgino, secondo te faccio bene ad iniziare così? Studenti, trovandomi qui ad avere l’onore di inaugurare questo mio liceo avrei l’intenzione di farvi pervenire i miei più cordiali e fervidi interessi di saluto anche se vi avverto che se non verrà garantita dalla parte vostra la più completa e ferrea disciplina sarò costretto ad addivenire a terribili punizioni nei confronti delle vostre persone. La tolleranza di questo liceo nei confronti dei vili comunisti continua nel segno della tradizione liberale e democratica che ci contraddistingue. Giorgino ascoltava attentamente. È perfetto papà, hai fatto stampare delle copie della suprema legge. Sì, l’avranno tutti gli studenti, anche quest’anno. Perfetto, babbino caro, sei proprio bravo. Lo so, Giorgino, lo so. In quel momento entrò un cinquantenne dai capelli radi, alto e grasso. Era Eratostene Pancrazi, il professore di italiano e latino. Ciao Eratostene, come va? Bene, signor Preside, soprattutto quando la vedo. Che gentile, che professore gentile, per questo riceverai un premio di produzione. Mister Ics garantiva, per ogni complimento ricevuto, un premio di 200 euro. Qualche mese prima Eratostene aveva ricevuto 10000 euro di stipendio. Hai deciso che cosa insegnerai agli studenti? Sì, le teorie di linguistica kamasutrica del dottor Trinculo Weissensteiner e la concezione del segno epatico del professor Petruchio William Goldberg terzo dell’università di Vilnius, e poi, parleremo anche qualche minuto di Leopardi. Bravo, bravo Eratostene, tu sì che sai rinnovare i programmi, tu sì che rinnovi la didattica. Dirò anche che Leopardi era un poeta ottimista e soddisfatto della vita.

Abbiamo proceduto ad assunzioni? Sì, abbiamo assunto un assistente a passare le carte, con contratto di consulenza, riceve 3000 euro al mese. È il nipote dell’avvocato Gobbi. Quanti assunti abbiamo già adesso? 60. Noi siamo una scuola che da lavoro. Facciamo lavorare tutta la famiglia dell’onorevole Mazzi, fino al sesto grado di parentela. Quei bastardi comunisti non possono certo accusarci di non dare lavoro, concluse il preside.

I portici del centro di B. sono un riparo, ma quando piove pesantemente fanno diventare tutto intorno ancora più tetro. La natura risente dell’umore delle persone. I portoni del centro sono antichi, scuri e pesanti. La penombra degli atrii sa riparare anche dal caldo. Eli è una fanciulla della buona borghesia: la sua famiglia è tranquilla, ricca, illuminata. Il sorriso splende spesso sul volto di quelle persone, anche se, il narratore lo deve comunicare, il clima, quel giorno, non era certo dei migliori. Proprio in quella scuola del cavolo vuoi andare? Diceva, con tono infastidito, Alberto, un quarantenne ben conservato, elegante e con la barba da intellettuale. Papà, è rimasto l’unico liceo classico pubblico a B. Sì, capisco, poi hai già iniziato, ma, sai, quando penso in quale schifezza di scuola mi tocca mandare mia figlia, rabbrividisco. La cosa che mi infastidisce di più è che ti tocchi studiare la storia del Milan, perché il nostro governo la considera una materia importante. Il professor Marini dice che apre la mente. Un mio compagno con la sciarpa della Juve ha preso un 4. Anch’io sono juventino, disse Alberto, il padre. Sei stata da S.? L’hai salutato da parte mia? Sì, ma ha detto che non ha voglia di aiutarci perché si considera spazzatura della storia. Proverò io a telefonargli. Stasera chi mi porti a casa? Uno dei tuoi amichetti come Augusto, con tremila piercing, perché non mi porti Giovanni, che sembra un po’ più civile. Papà, ragioni proprio come un perbenista piccolo borghese, mi meraviglio di te. Lo sai che tuo padre è uno tradizionalista, io vengo dal più grande partito della sinistra mica dai tuoi collettivi, dove ci sono i punkabbestia, che puzzano come dei caproni, o quelli che si fumano canne a tutto andare. Per quale motivo dovremmo lottare per il diritto ad un vizio? Noi sì che abbiamo una storia, veniamo da lontano e andiamo lontano, come diceva il compagno di una presidente della camera dei deputati. Oggi proprio non ti sopporto, disse Elisabetta e si chiuse nella sua stanza. Alberto Rossini era un uomo elegante, vestiva la camicia bianca e la cravatta nera, anche quando stava in casa seduto a leggere il giornale. Si vestiva in questo modo anche in piena estate, incurante del caldo.

  1. è una città complessa, la sua periferia è piena di sfaccettature, nata e cresciuta nel corso di tumultuosi decenni. Palazzi orrendi sono affiancati da costruzioni decorose. Molti uomini e donne dalla pelle ambrata e ancor più scura vivono e passeggiano per quelle strade, uomini e donne del sud italia hanno figli che parlano il dialetto bolognese. In quella periferia vive la famiglia di Giò. Il padre di Giovanni ha grandi occhi azzurri e i capelli color della notte, viene da una terra lontana, viene da un altro mondo. Accidenti a te e a quella schifezza di liceo! Diceva suo padre. Papà, lo sai che a me sono sempre piaciute le materie classiche… Ma che minchia mi viene a significare che ti piacciono le materie classiche? Io, dal sud, sono dovuto scappare, tenevo la tessera del Partito e, in’sto cazzo di liceo c’è l’apartheid. mi doveva capitare un figlio letterato, quasi quasi avrei preferito un figlio asino. No, stavo scherzando, mi fa piacere che tu studi, io, alla tua età, facevo più fatica, ma è veramente una pena che mi tocchi di andarti a comprare la camicia Saint-Martin, perché altrimenti non ti fanno entrare al liceo e ti tocca portare la giustificazione. Lo sai che io non guadagno molto? Anche se sono un operaio specializzato, sono, pur sempre un operaio.
  2. rimase scosso da quella notizia. La morte strana di Achille Castaldi lo aveva fatto riflettere. La riflessione è un processo lento e costante come l’erosione delle rocce. La lentezza è fondamentale. Nell’animo di S. qualcosa si stava muovendo. Gli stava venendo voglia di impegnarsi, ma non voleva far sapere nulla ai ragazzi. Aveva il timore di star per compiere un gesto stupido, in fondo era un vecchio stanco. Decise di partire da C. per alcuni giorni per andare a B. Salutò la signora R., che abitava sotto di lui, e che collaborava nelle faccende di casa, salì in macchina, una vecchia F..T e partì.

La mattina dopo si alzò presto per andare a scuola, decise che sarebbe rimasto davanti al liceo come quegli altri anziani che stavano lì, seduti su una panchina. La notte dormì poco, forse perché non riusciva più ad abituarsi all’aria di città. Adorava il clima della sua C. Aveva male agli occhi, si sentiva stordito. Guarda un po’ cosa mi tocca fare, diceva tra sé e sé. Arrivò il sindaco, arrivò il prefetto e il cardinale, per festeggiare quella scuola che era un esempio per la nazione. C’era anche il ministro, c’erano le auto delle varie scorte, quella del sindaco, quella del ministro e anche quella di Mister Ics, che l’aveva ottenuta perché si sentiva minacciato dal terrorismo comunista. Le telecamere delle principali televisioni reclamizzavano l’evento, era pronta perfino la famosa trasmissione serale del famoso giornalista, che avrebbe ospitato dei vip, tra i quali una famosa ex velina, per parlare del fenomeno di quel liceo e sostenerne la vendita al suo preside. Il preside sottolineò l’importante valore educativo di quel liceo, la solidità delle sue norme ferree, che avrebbero contribuito ad estirpare il residuo di marxismo ancora presente nella società. Parlò anche dell’importanza della norma sul legittimo sospetto, per ristabilire le garanzie di imparzialità nel giudizio. Il professor Malavasi, insegnante di latino, di destra, che non poteva sentire la parola comunisti, aveva dato un 4 in latino a Giorgino, perché non sapeva le declinazioni e il figliuolo aveva chiesto la remissione del professore, perché considerava Malavasi un marxista. Il preside, dopo avere rischiato lo shock anafilattico a causa di quella parola che non poteva neanche sentire, lo trasferì ad insegnare a 150 km di distanza, da notare che Malavasi non aveva la patente, e lo denunciò per oltraggio al pudore. Altri 10 professori furono sostituiti e si decise di far interrogare Giorgino da Muffy, il pupazzetto di uno show televisivo, promosso professore a causa dei suoi indubbi meriti culturali. Quando qualcuno protestò per quella promozione, il preside e il ministro emisero un comunicato stampa nel quale accusarono la propaganda comunista di fomentare un clima d’odio contro un liceo rispettabile come il loro. Il ministro lodò il preside e quella scuola e l’additò ad esempio per tutti. Finalmente abbiamo rinnovato la scuola dopo cinquant’anni di torbido e feroce regime comunista in Italia. Alla stazione di B., quel giorno di agosto, è scoppiata una caldaia: e che cazzo!!! P.P.P. era solo un frocio di merda, quel giudice con il cognome che finisce con one era meglio se si faceva i cazzi suoi. Gli studenti non saranno più giudicati per la loro cultura, ma per la loro conoscenza del marketing e della storia del Milan, anche se potranno ugualmente imparare qualche nozione, visto che siamo tolleranti. Il ministro auspicò anche che la possibilità del legittimo sospetto sui professori venisse concessa anche ad altri studenti meritevoli come il figlio del sindaco, quello del famoso avvocato e quello del deputato.

Intanto S. stava leggendo il giornale e non notava nulla di strano nel liceo, a parte le 10 automobili della scorta. Alle 13 il signor S. andò a mangiare un panino e si mise di nuovo davanti al liceo parlando fitto con due anziani ciarlieri. Quando passarono i due ragazzi si nascose. Verso le 18 tornò a casa stanco. Quando risalì sull’automobile si accorse di avere preso una multa e tirò qualche accidente. A casa ripensò a quel pomeriggio e si sentì frustrato, perché non aveva concluso niente e si era rotto le scatole. Il giorno dopo si alzò di nuovo presto e si risedette sulla solita panchina davanti al liceo, con il solito giornale e i soliti vecchietti. Passò la giornata e S. se ne andò a casa, ancora una volta deluso. Meno male che domani me ne torno a C., mi sono rotto, penso che smetterò di occuparmi di questo caso, non si arriva a nulla. Il giorno dopo riprovò a stare davanti al liceo, ma nulla accadde. La sera se ne andò a C. percorrendo la statale, anche se impiegava più ore. La strada si accumulava e S. rifletteva. Avrebbe fatto alcune telefonate, aveva letto di una legge che consentiva ai genitori di chiedere informazioni sui fornitori della suola. Riattivò l’acqua e la corrente elettrica ed entrò in casa. Oramai si sentiva più al sicuro lì, non amava più tanto B., perché era diventata impersonale, fredda e una persona sola, un anziano poteva morire dimenticato, d’agosto. Si era scandalizzato, anche se il quartiere di B. dove abitava era ancora come un paese, si conoscevano quasi tutti e, in un certo senso, si volevano anche abbastanza bene. Se ne andò a letto abbastanza tardi cercando di liberare la mente dai pensieri. Si alzò, la giornata era splendida.

A molti il silenzio che vi era per le strade di C. sarebbe potuto sembrare opprimente e desolante, per S. non era così. Quel silenzio era un ristoro per la sua mente e per il suo corpo, aveva il disgusto per il rumore del traffico cittadino e per le suonerie dei cellulari e per tutti gli altri rumori così molesti. Rielaborava il proprio saggio sulla comunicazione.

Era vero che il linguaggio televisivo aveva appiattito tutto, ma, spesso la reazione da parte della sinistra era stata assente o deleteria. Si era rinchiusa in un cupo ed inconcludente intellettualismo. Il Partito comunista eccetera eccetera, al quale era stato vicino, organizzava dei volantinaggi, su varie tematiche, dal traffico allo stato sociale, all’inquinamento. I volantinaggi avvenivano davanti a fabbriche, supermercati, per le strade. I volantini, che erano in formato A4, venivano scritti con caratteri minuscoli e riempiti in ogni loro parte. La stragrande maggioranza dei passanti se li metteva in tasca e, appena girato l’angolo, li sbatteva nel bidone della spazzatura. Il narratore di questa storia ha l’obbligo di aggiungere che questa repulsione era veramente di massa: professori, impiegati, avvocati e casalinghe non provavano nemmeno a leggere quegli obbrobri. Alle assemblee pubbliche che venivano convocate erano presenti dalle 8 alle 10 persone impegnate a disquisire sul dilagante conservatorismo degli abitanti di B. S. capì immediatamente dove stava il problema. S. aveva, tutto sommato, paura di offenderli, in fondo, li conosceva poco. Aveva partecipato a qualche loro cena, che si concedevano di tanto in tanto. Due compagni, uno dei quali era Mario Marchi e l’altra era Rosaria Lo Presti, una ragazza calabrese, amavano la vita e sapevano cucinare crescentine e tigelle, così come sapevano preparare il pesce spada e il torrone. Gli altri acconsentivano ad organizzare le cene, anche se erano riluttanti, perché si ponevano dei problemi di coerenza politica. L’opulenza dei pasti sarà compatibile con l’obiettivo ultimo della rivoluzione socialista? Non saremmo piccolo borghesi? La ‘nduja è di sinistra? Lenin sarebbe contento? Mario non li ascoltava più e andava a far la spesa. Organizzavano alternativamente una serata bolognese e una calabrese. Durante la cena, quelle compagne e quei compagni dall’aria trasandata, i maglioni demodé e le giacche stropicciate, gli occhiali grandi con la montatura nera, disquisivano sull’ultimo libro dell’intellettuale rivoluzionario Friedrich Von Altensteiner o dell’ultimo film danese del noto regista Lars Friedriksson di 3 ore e mezza con i sottotitoli in svedese. Questo li rilassava molto. Durante le riunioni erano costretti ad occuparsi dei problemi della sanità o della scuola pubblica, che erano concetti troppo terreni. Anche a S. piacevano quei registi dai nomi curiosi, ma si interessava anche ai film di Totò, cosa che non faceva per niente piacere a quegli intellettuali che amavano solo concetti incomprensibili. Stasera, perché non andiamo a mangiare la pizza, chiese una volta S. Compagno, parli con un linguaggio semplicistico, riduttivo, superficiale, piccoloborgheseecontrorivoluzionario. Dicesi pizza:

 

Una sottile focaccia di pasta lievitata, condita con olio, mozzarella, pomodoro, alici o altro e cotta in forno, tipica dell’Italia meridionale[1]

Ma questa è un’altra vicenda.

[1]              MIRO DOGLIOTTI, LUIGI ROSIELLO (a cura di), Il nuovo Zingarelli, vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 1983

personale/1

Oggi è una giornata in cui mi sento un blogger instancabile. Ho deciso di mettere su internet i capitoli di un mio romanzo, che ho scritto nel 2006-2007. Per guardare un po’ come ero, per guardare chi c’è o chi c’era dietro la foto.

Personale

E facenno la domanda, finalmente lo taliò. Montalbano sintì dintra di lui una specie di vampata. Era un paro d’occhi, preciso ‘ntifico a un lago viola e funnuto nel quale sarebbe parso a tutti i mascoli bellissima cosa tuffarsi e annigare in quelle acque. Meno male che l’occhi la signorina Michela li teneva quasi sempre vasci. Mentalmente il commissario dette dù vrazzate e tornò a riva.[1]

 

Milano vi manda il suo cuore

il vento delle pianure

le sue nevi

bianche di tanti morti, di tante case

il lungo inverno in cui attese

l’ora e l’urlo della riscossa

Vi manda la sua bandiera rossa

il cielo d’aprile

le fabbriche difese ad una ad una

la gioia che l’invase

d’esser viva e libera nel mondo.

Milano vi manda il suo cuore

compagni.

E batte sull’Europa, questo cuore

batte sull’Italia

sveglia i morti

sveglia i vivi nel cielo d’Aprile

(Alfonso Gatto)[2]

[1] A distanza di oltre 4 anni dalla prima edizione di questo pseudo-romanzo, ho l’obbligo di precisare che gli errori di grammatica contenuti in questa specie di romanzo sono voluti, visto che molti non l’hanno capito, prendendo l’autore di queste  pagine per ignorante.

[2]           Cfr. ANDREA CAMILLERI, la luna di carta, Sellerio, Palermo, 2005

Meno uno

 

Elogio dei toni bassi, elogio di chi non va sopra le righe. Le giuste parole, non eccessive, sono la misura dell’educazione. Non mi piacciono gli urli, non mi piacciono le persone che non si sanno moderare. Credo che la mitezza sia una dote, essere timidi significa essere discreti, educati, significa donarsi un po’ alla volta. La temperatura mite rende più bella la vita. Quando non si suda molto, quando l’aria dolce ti accarezza il corpo, assapori meglio e di più le giornate. Alle volte si riesce a scrivere meglio.

Quella mattina il signor S. si alzò presto, come faceva di solito. Era una mattina di settembre che metteva di buon umore: c’era il sole, che non era violento, proprio come piaceva al signor S. Con la polo bianca, pantaloni azzurri estivi e occhiali scuri l’anziano signore si avvicinava a casa propria, dove ormai abitava da molti anni. Si era alzato alle sette, era andato a fare una corsa sulla spiaggia, la doccia, la spesa e l’acquisto dei giornali e, infine, il lavoro. Il signor S. era uno scrittore di romanzi “impegnati”, si era conquistato un suo pubblico che lo seguiva da molti anni. Nei suoi romanzi si esponevano problematiche sociali, come dicono le persone che parlano in modo forbito e una visione dell’esistenza realista, improntata al pessimismo. Aveva parlato della solitudine, dell’incomunicabilità, delle frustrazioni di certa borghesia piccola, media o quasi. Guadagnava discretamente e con i soldi risparmiati in una vita si era comprato una casetta in una località di mare chiamata C. Prima ci andava per passare brevi periodi di vacanza poi aveva deciso che quel luogo che, per 9 mesi all’anno rimaneva semi-deserto, poteva essere un “rifugio” dal caos di quella città, B, dove aveva vissuto tutta la sua vita e dove ora tornava solo occasionalmente, per rivedere amici, o per partecipare a qualche presentazione di un suo libro. A B era nato e vissuto, una città non grande, ma non un paese. Era definita una città “a misura d’uomo”, anche se, negli ultimi tempi, la vita stava diventando sempre più caotica, barbara, solitaria. Una volta S. si vantava di conoscere, almeno di vista, la grande maggioranza dei propri vicini di casa.

Il signor S. non aveva mai amato guerre, litigi e diatribe, era sempre stato un uomo ritroso e schivo. Era sempre stato di sinistra, comunista, già proprio comunista, anche se non andava più di moda. Era stato senatore del più grande partito della sinistra, con il quale aveva avuto un rapporto di amoreodio per molto tempo. Non aveva mai voluto iscriversi, preferiva forme di convivenza politiche più libere, come i collettivi o le comuni, che erano molto in voga a quei tempi. Si era avvicinato per qualche tempo alla “nuova sinistra”, partecipando alle attività di un partito che, per pronunciarne il nome, si impiegava più tempo che per elencarne gli iscritti. Tutto ciò accadeva quando insegnava in quella scuola, nel quartiere P. Era frequentata da figli di operai, molti dei quali del sud italia, figli di delinquenti, tra i quali spacciatori, papponi e ladri. Forse quel luogo non era adatto per S., come molti di coloro che stanno leggendo potrebbero pensare, ma non è così. Egli si era conquistato quei ragazzi, perché era riservato e moderato nei toni, perché annuiva tranquillamente, quando un ragazzo gli diceva che il proprio padre era partito per un lungo viaggio, quando invece era in galera. Alle volte capitava persino che ragazzi svogliati, ignoranti, semianalfabeti si appassionassero alla materia, discettando di letteratura seduti sui motorini davanti alla baracchina dei gelati di fronte alla coop, che era il punto di ritrovo per quei ragazzotti. Aveva pochi vizi, anche se naturalmente gli piaceva bere e mangiare bene come era comune dalle sue parti. Leggeva molto, anche se alternava a periodi di intenso lavoro periodi di apatia nei quali non aveva voglia di far nulla e si sentiva vecchio e rintronato, come diceva sempre.

Stava scrivendo un libro sulla comunicazione, era la prima volta che si cimentava con la scrittura di un lungo saggio. Sosteneva che la sinistra aveva disimparato a comunicare e che doveva smetterla di comunicare come quelli che ora stavano al governo. Forse sarebbe stato più corretto affermare che molta parte della sinistra non aveva mai imparato a comunicare: a chi mai sarebbe venuto in mente di distribuire un volantino scritto con caratteri minuscoli a dei pensionati con problemi di vista? Aveva conosciuto parecchi militanti, con i capelli sempre spettinati e l’abbigliamento sciatto, che sussurravano nelle riunioni frasi dal senso incomprensibile. Sosteneva inoltre che la sinistra avrebbe dovuto avere anche una funzione educativa, aiutare a migliorare i rapporti umani. Ogni tanto quando scriveva sulla sua vecchia Lettera 22, che aveva conservato nonostante un fiammante computer stesse sulla sua scrivania, pensava, sono fuori dalla realtà. E sorrideva. Era convinto che la società capitalista non impedisse tanto di parlare, ma quanto di dire, di esprimere dei contenuti, lo spirito critico. Le convenzioni sociali impedivano di amare senza condizioni. Mentre scriveva, nella sua camera da letto, la luce di un sole caldo ma gentile illuminava la sua stanza e lo rendeva felice. Non amava il caldo torrido, mi impedisce anche di pensare, diceva. Saranno state le 11 e il telefono suonò. Alzò la cornetta e dall’altra parte dell’apparecchio sentì una voce allegra: Ehi!! E’ ora di uscire dalla tua tana? S rimase stupito e poi pensò: quel rompiscatole di Gianni torna a farsi vivo. Disse con aria allegra, pronto vecchio mio, come te la passi.  Gianni, un suo caro amico, con il quale aveva perso da un po’ di tempo a questa parte i contatti, si rifaceva sentire. Ascolta S., ho qualcosa di molto interessante per te. Vorresti interessarti ad un caso sociale, come dicono le persone che parlano bene? Guarda che si tratta di un caso molto serio. Non sono mica un assistente sociale, rispose l’anziano, un po’ infastidito. Ma dai, smettila, sei diventato apatico? Vabbé, sentiamo quello che hai da dire. Hai presente il liceo X, quel liceo prestigioso che sta a B., quello che è frequentato da tutta la borghesia cittadina, c’è il figlio del sindaco, il figlio del notaio, il figlio dell’assessore. E’ quel liceo dove se non sei completamente vestito firmato a momenti non ti fanno neanche entrare? Chiese S. Potrebbe nascere uno scandalo che farebbe cadere molte teste. Il vecchio rispose, in che senso potrebbe nascere uno scandalo. Verrò a trovarti con due miei amici. Chi, qualche tuo amico pseudointellettuale, di quelli che organizzano le conferenze sulla Rivoluzione d’Ottobre e dichiarano solennemente che è scoppiata nel 1915? Ma no, vecchio brontolone, si tratta di due liceali molto molto svegli. Ah, in tal caso… Di chi si tratta? Lei è la figlia di Rossini, quel funzionario del gruppo parlamentare, lui è un ragazzo intelligente, suo amico. Mi sembra di averlo conosciuto a Roma, Rossini. Sì, adesso è diventato professore di storia della filosofia a Bologna. La figlia si chiama Elisabetta, se ti ricordi, e il ragazzo si chiama Giovanni. Come hai saputo di questo caso? Ho incontrato Alberto Rossini non molti giorni fa. Scusami Gianni, io che cosa dovrei fare? Hanno saputo che tu ti sei interessato a casi simili e chiedono il tuo appoggio come scrittore, come ex insegnante… Nooo, lo sai che io adesso voglio avere una vita tranquilla, al più scrivere qualche romanzo e pubblicare qualche articolo sul giornale, ma con uno pseudonimo. Mi sono ritirato qui per stare ancora più tranquillo. Mi meraviglio di te, rispose Gianni, il partigiano Caio, che mi risponde in questo modo. Dovresti saperlo, amico mio, che, anche quando ho combattuto l’ho fatto con riluttanza, io amo la vita serena. Quando sei libero S.? Gli chiese Gianni. Sabato andremo a cena assieme in un buon ristorante e parleremo di questa faccenda, se ci tieni, caro il mio scocciatore. S. riattaccò il telefono e sospirò. Guarda un po’ che cosa mi vuol far fare, ma non l’avrà vinta. Ho deciso di non immischiarmi più, sono troppo vecchio.

  1. veniva da una famiglia “bene”. Durante il Ventennio non avevano preso una parte precisa dal punto di vista politico, ma erano, tutto sommato soddisfatti, perché c’era più ordine e regole e i giovani erano più educati nei confronti dei genitori. Il signor S. non era mai stato un cuor di leone, non aveva voglia di immischiarsi, ma, nello stesso tempo, vedere quello che stava succedendo lo turbava profondamente. Aveva anche visto bastonare un’anziana donna, perché aveva la fodera della tasca che le usciva dalla gonna. Beccati questa vecchia sconsiderata, questo è un gesto da sovversivi socialcomunisti. Vorresti per caso insinuare che hai le tasche vuote? Egli spalancò gli occhi, rimanendo ammutolito mentre osservava quella scena. Avrebbe voluto far qualcosa, ma si sentiva inadeguato e vigliacco. A volte non aveva voglia di alzarsi dal letto la mattina e rimaneva immobile, cercando di non pensare a nulla. Aveva visto tanto, anche se i suoi genitori cercavano in tutti i modi di tenerlo all’oscuro di tutto. Non volevano che il figlio pensasse alla politica, volevano che il figlio andasse a messa tutte le domeniche alle 9. Iniziò la guerra, intanto gli ebrei erano stati cacciati dalle scuole ed emarginati dalla vita sociale, gli oppositori bastonati e messi a tacere. Se li bastonano, vuol dire che sono dei delinquenti, rispose la madre una volta, quando lui le pose una domanda. L’asse romaberlino stava vincendo la guerra, come ripetevano i cinegiornali luce. Arrivo il 1943 e l’8 settembre: l’armistizio e i primi bombardamenti. In casa di S. non si parlava più, i suoi genitori non sapevano più a chi dare ragione, non sapevano più a chi obbedire. Per fortuna nacque la repubblichina di salò e si fidarono, anche perché mussolini sì che si vestiva bene, mica come quei sudicioni socialcomunisti che non sapevano adattare la camicia ai pantaloni. Le donne non ci vogliono più bene, perché portiamo la camicia neraa, recitava una dolce canzoncina di quel tempo. Fatto sta che un bel giorno (o un brutto giorno?), il giovane S. (ma questo S. è mai stato giovane?) se ne stava seduto sulla poltrona a leggere l’Adelchi quando bussarono alla porta. Era Mario, il fratello di Gianni Marchi. Per un momento ad S. sembrò che l’amico, un trentenne grassottello, avesse un’aria strana, quasi impaurita. Era mattina, S. gli offrì da bere, parlarono fitto per circa mezz’ora. Mario gli propose di trascorrere alcuni giorni con lui nella sua casa in montagna. Ai genitori di S. piaceva Mario, perché era sempre elegante e, dunque non sembrava per niente comunista. Fu così che i due ragazzi partirono. Dopo un lungo viaggio in treno e alcuni chilometri a piedi giunsero ad una casa colonica, lontano dal paese. Incontrarono altri ragazzi e ragazze. Dopo alcuni giorni S. pensava che sarebbe ritornato a casa, ma Mario non accennava nemmeno a programmare il ritorno. Dopo alcuni giorni di attesa, quando finalmente ad S. venne il coraggio di chiedere, Mario gli rivelò, che, poco prima di andare a casa dell’amico, aveva compiuto un attentato per eliminare un noto torturatore fascista, Raimondo Panzarotti. S. comprese che non sarebbe più tornato a casa. La sera stessa scappò dalla base partigiana, si allontanò alla chetichella nel buio totale, da solo, con la valigia in mano, quando udì delle voci. Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezzaa, cantavano. Erano i repubblichini. S. era solo e sperduto, decise di salire su un albero, distruggendosi i pantaloni nel faticoso tentativo e lì rimase per tutta la notte, terrorizzato. Divenne partigiano, piangeva spesso per la rabbia e la paura, riuscì a compiere, nonostante tutto, diverse azioni coraggiose, ma arrivò il 25 aprile e lui poté seppellire l’odiato fucile. Incominciò ad interessarsi a quello che gli accadeva intorno. Forse la coscienza, lo obbligò a schierarsi. Malediceva tutto quello che stava succedendo, sosteneva che avrebbe voluto vivere su una montagna ed essere eremita. Dopo la guerra riuscì a laurearsi, in lettere moderne, e diventò insegnante. Quando gli chiedevano di tenere qualche conferenza sulla Resistenza entrava in crisi, perché era molto timido. Insegnò italiano in un liceo, qualche volta collaborava con un giornale di sinistra scrivendo degli articoli pieni di ironia, a tratti feroce, coperto, però dallo pseudonimo di Don Pablo. Quando i suoi genitori morirono, divenne l’erede di una discreta somma di denaro, che i suoi gli lasciarono nella speranza che mettesse la testa a posto e che si facesse passare quei grilli che aveva per la testa. Scriveva qualche saggio e qualche romanzo che ottenevano dei buoni successi, da uno fu perfino tratto un film che ebbe un discreto seguito di pubblico. Un giorno, quando stava presentando uno dei suoi libri, in una grande libreria di B., il suo amico Gianni e un signore, che pensava di avere già visto da qualche parte, gli si avvicinarono. Ciao, gli disse quel signore sulla quarantina, sono del Partito, conosco la tua fama di scrittore e so che hai delle posizioni vicine alle nostre. Stiamo valutando delle candidature per il Senato, saresti disponibile? Guarda, compagno di cui non so il nome, non penso di essere adatto. Io non ho mai fatto quelle cose, non sono abituato. Gianni incalzò S., sappi che sarai aiutato e consigliato quando ne avrai bisogno. Sarà, ma io non voglio far fare una brutta figura al Partito. Anche io ci tengo al Partito, io sono un insegnante, uno scrittore, e non sono un politico di professione. Il quarantenne, che si chiamava Franco, continuò, abbiamo bisogno degli intellettuali, il Partito deve avere un lato intellettuale, è importante. S. replicò, guardate che io, anche se accettassi la candidatura, in caso di elezione, voglio poter dire ciò che voglio. Su questo non c’è dubbio, S., sarai garantito. S. terminò, vi prometto che valuterò la vostra offerta, ma non vi assicuro niente. Tra una settimana avrete una risposta. Era fermamente deciso a dire di no, avrebbe dovuto prendere l’aspettativa da insegnante, avrebbe dovuto abbandonare i suoi alunni e lui non avrebbe potuto farne a meno. Ragionò per una settimana, pensò anche alla scomodità che avrebbero comportato lunghi soggiorni a Roma, che conosceva pochissimo. Era abituato alla sua vita tra B. e C., con qualche viaggio di tanto in tanto e qualche puntata in qualche altra città per presentare il suo libro. Pensò a quella richiesta fulminea, inaspettata. Si arrovellò a lungo. Cosa devo fare? Come mi debbo comportare? Assomigliava vagamente a Nanni Moretti in Ecce Bombo. Debbo dar lustro ad un Partito che sta progressivamente decadendo?

La Resistenza aveva portato con sé grandi speranze di cambiamento, ma l’amnistia per i criminali fascisti da parte di un famoso ministro deceduto a Jalta aveva già raffreddato gli animi. Tanti, S. compreso, pensavano che tutto sarebbe dovuto cambiare, che quegli uomini, responsabili del disastro, dovessero essere severamente puniti, con le armi della giustizia e del diritto. Intanto esponenti di quel regime che era da poco caduto fondarono un partito che rivendicava quelle dottrine, molti erano i poliziotti, i sindaci e i questori che avevano nascosto la camicia nera sotto il doppiopetto o sotto la divisa del nuovo stato repubblicano. Eia eia alalà. Anche S., che era sempre scettico e diffidente, dovette riconoscere che il Partito stava costruendo un vero e proprio paese nel paese, fatto di sindaci, cooperative, case del popolo, centri sociali. A B. si viveva bene, c’erano le farmacie comunali e gli asili nidi noti in tutto il mondo. Qualcuno, nel Partito, se ne approfittava per far assumere nelle aziende pubbliche parenti, amici ed affini fino al quarto grado. C’era un omone grande e grosso che aveva gestito sapientemente il comune, amato, votato e rispettato da compagni ed avversari, era un'”apparizione”: alto, imponente, una testa piena di capelli bianchi. Dopo che questa “apparizione” lasciò il Comune, nessuno fu più alla sua altezza. Il narratore ha l’obbligo di comunicare che quell’omone era molto severo su come si preparano le lasagne, come sosteneva una persona saggia di nome J. P. Gli anni passavano e la dottrina del “partito leggero” stava prendendo piede: le case del popolo dovevano essere chiuse o ridotte, così come le sezioni. S. aveva frequentato l’ambiente del Partito Comunista eccetera eccetera, che, nel frattempo, si era sciolto. Continuava a diffidare dei partiti, la sua diffidenza era cresciuta quando vedeva che le sezioni erano diventate dei circoli ricreativi e non facevano più politica, così come stava accadendo in quel partito che si proponeva la rifondazione di qualcosa. Nel frattempo il nostro S. era stato anche sposato, per un anno, con una donna che non sapeva come avesse fatto a prendere, poi Fortuna e Baslini gli diedero una grossa mano. Delle altre sue frequentazioni si sa poco, S. è una persona molto riservata.

Dopo una settimana telefonò a Franco per comunicargli, con tono un po’ scontento, che avrebbe accettato l’offerta. Il motivo della sua decisione non era ben noto neanche a lui stesso, tutte le volte che compiva dei passi così importanti, diceva che gli mancava qualcosa “dentro” e voleva arrivare alla fine della vita senza che nulla gli mancasse. Fu candidato e dovette persino sottoporsi ad alcune interviste e anche tenere qualche discorso. Quando i suoi studenti lo seppero, quasi tutti furono entusiasti e dissero che l’avrebbero votato anche se non la pensavano come lui. Era un professore molto popolare tra gli studenti. Un giorno, leggendo il giornale, notò un appello di intellettuali per sostenere la sua elezione. Fu imbarazzatissimo. Più si avvicinava il giorno delle elezioni, più riteneva di avere sbagliato ad accettare l’offerta e più sperava di non essere eletto senatore. Arrivò il giorno delle elezioni, andò a votare e poi si precipitò a C., senza dire nulla a nessuno. La sera, quando stava per andare a letto, il telefono squillò. Dopo avere mandato un paio di accidenti, andò a rispondere. Era un giornalista, che l’aveva intervistato durante la campagna elettorale. Signor S., è stato eletto. Freddamente S. rispose, me ne rallegro, ora, però, vado a letto. Andò a Roma e fu assegnato alla commissione Istruzione del Senato. Visitò diverse scuole pubbliche, andò anche nel sud. Molte scuole pubbliche erano dissestate, i banchi erano rotti, ma il governo aveva deciso di assegnare dei finanziamenti alle scuole confessionali.   Negli interventi stroncava l’ignoranza e l’inettitudine di chi governava, soprattutto nel campo scolastico. Volle capire anche molte cose sulle fabbriche e sui pensionati e, dopo, essersi documentato, fu orgoglioso di intervenire in aula. Sosteneva che un intellettuale non potesse pensare solo alla scuola. Quando terminò la legislatura, gli chiesero di ricandidarsi, ma non accettò. Gli era piaciuto fare quel mestiere, ma si era accorto che, anche nel suo stesso partito, qualcuno non gradiva egli interventi durissimi, pronunciati con tono riluttante. Sostenevano che quegli interventi contenevano toni estremisti, che non bisogna spaventare i moderati, che la DC era un grande partito popolare. Tornò all’insegnamento e poi andò in pensione. Scrisse ancora qualche libro, mentre viveva sempre di più a C. e sempre meno a B.

 

 

 

 

 

 

[1]              Cfr. ANDREA CAMILLERI, la luna di carta, Sellerio, Palermo, 2005

[2]              cfr. http://www.masadaweb.org/node/455

radici ovunque, radici da nessuna parte

era giusto così, tornare in Germania, era giusto, perché ho dedicato una parte di me a quella cultura, a quella lingua, perché insegno quella cultura, perché insegnando quella cultura ho amato, ho amato tanto, perché ho amato tanto una donna che viene da quella terra. era giusto così, perché volevo capire qualcosa in più da quei luoghi, perché volevo buttarmici dentro. volevo capire da dove viene quella malinconia di quegli sguardi, volevo capire la malinconia di quei sorrisi, volevo capirla un po’ di più. volevo capire qualcosa in più di me stesso. volevo rendermi conto di avere radici ovunque e radici da nessuna parte. quadro Kirchner

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ritrovo questa bozza dopo un anno e non so nemmeno da dove esca. mi piace da matti questa foto, uscita non si sa bene da dove e come.

mi sento in confusione anche io. da un po’ di tempo non riesco a ragionare granché di scuola. è successo tanto, troppo, sono stati mesi entusiasmanti. ho raccolto tanto, ho corso tanto. sono confuso e felice, come cantava qualcuno, qualche anno fa.

vorrei raccontare la storia di quei ragazzi che fecero una festa dedicata al prof di tedesco, che li ha fatti studiare tanto e con tanta passione. vorrei raccontare che esistono dei ragazzi che credono nella cultura, che hanno 15-16 anni, che credono nelle persone, soprattutto. vorrei raccontare che hanno capito la mia buona fede, il mio profondo amore per il mio lavoro e per la vita.

sono sempre in viaggio, come tutti i precari, come chi cerca sempre. sono sempre in viaggio, uno zingaro che cerca sé stesso e che non è mai lo stesso, dopo avere viaggiato.

buona notte e buona vita a voi tutti.