Cracco

arrossire

Beato chi sa ancora arrossire.

B.C. è una ragazza alta, bionda, con gli occhi a mandorla nera. Ha lunghi capelli lisci. è proprio bella, quest’anno ha avuto la maturità. Soprattutto è bellissima dentro, educata, volenterosa e gentile. è molto intelligente.

La classe di cui faceva parte ha organizzato la cena di classe in un ristorante in collina, ci sono andato. Era un lunedì sera e c’era un bel vento fresco. La cena non è stata delle migliori (sono abituato a Cracco e Bottura io,…), ma l’atmosfera è stata cordiale e amichevole. C’erano anche altri insegnanti. Abbiamo riso e scherzato. B.C. è vestita di nero, camicetta e pantalone, tacco alto che la slancia ancora di più. Soprattutto è bellissima dentro, perché ha un sorriso stupendo, un sorriso che sa di sincerità e di gentilezza vera, mai affettata.

La serata scorre in fretta, tra sorrisi e risate. Ci salutiamo, ci abbracciamo. Sono tutti cari ragazzi e ragazze. Saluto e abbraccio B. C. Mi sorride e mi dice “lei è il mio migliore insegnante di tedesco”. Il mio viso è diventato rosso rosso e le ho detto grazie sorridendo. Solo grazie, ma il mio cuore si è riempito.  Non so se sia stato più per il sorriso o quella frase, ma mi sono emozionato.

Viva chi sa arrossire.

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merda, quasi solo merda

forse non merito solo l’infinita dolcezza della mia M., la quale mi ha fatto entrare in un mondo dal quale non vorrei più tornare, quando abbiamo pranzato assieme. Ho mangiato specialità della cucina del Bangladesh.

Da due settimane ho otto ore in una scuola media, in un quartiere merdoso alla periferia della mia città. qui non c’è la quieta borghesia della provincia, come all’ITC, qui c’è il proletariato, il sottoproletariato. Certe periferie sono spoglie, brutte, piene di tristezza, sporco e grigio. Oggi ho sentito bambini di 11 anni offendersi in base al quartiere di provenienza, ho sentito bambine di 11 anni che si minacciavano botte, ho sentito bambine di 11 anni rivolgersi in modo aggressivo all’insegnante. Ho pensato che quei tredicenni fossero dei gran figli di puttana, che avrei volentieri attaccato al muro. Ho visto gli occhi grandi azzurri di due ragazzine ucraine desiderosa di imparare, ho visto una ragazzina tunisina e una filippina che vogliono studiare. Ho visto una ragazzina tutta d’un pezzo, intelligente e precisa, poco simpatica. Ho visto gli occhi arrabbiati di una bella ragazza con i capelli ricci che vuole imparare e gli occhioni azzurri di una sua compagnia sconsolati, mentre orde di scalmanati rendono impossibile la lezione. E un ragazzino di origine cinese si rammarica che la lezione sta per finire, perché vorrebbe continuare a lavorare.

Mi rendo conto di essere inadeguato, perché sono troppo morbido, conosco le buone maniere, perché vado a mangiare da Cracco (ma anche in trattoria), perché sono stato educato da una nonna piena di amore che mi ha seguito e protetto. Sono troppo sensibile, perché mi piace la letteratura, perché mi piace ballare, perché adoro la danza classica, adoro la poesia. anche il quartiere in cui abito è un quartiere con persone “difficili”, però l’educazione che ho ricevuto ha costruito una barriera, io ho costruito una barriera, fatta di libri e vita buona. Mi piace il rap, mi piace anche il calcio, ma sono troppo delicato per la periferia cattiva o incattivita dalla vita. sono comunista, dovrei parlare alla periferia, al sottoproletariato, ma non sono capace. entro a scuola in giacca e cravatta, con i modi gentili, e rimango schifato nel vedere i computer obsoleti, internet che funziona male e poco. Non mi rendo conto che per quegli alunni incattiviti la merda è la norma, la cattiveria della vita è la norma. Mi sto emozionando davanti alla vita di Adele e mi accorgo che non so parlare, mi accorgo che gli anni nella scuola privata mi hanno ulteriormente allontanato da quel mondo cattivo. faccio il traduttore, comunico e non so parlare.

sono uscito da scuola che quasi mi veniva da piangere, ho fatto lezione, dalle 15 alle 16, ad esempio, a 3-4 persone in tutto, in mezzo alle belve. Voglio resistere e debbo resistere, perché il mio contratto dura fino al 30 giugno e non posso tornare indietro. e ci sono quegli occhi azzurri e lo sguardo attento di quel ragazzino con i tratti cinesi che avrebbe voluto lavorare e quella ragazzona che seguiva in prima media.

merda, quasi solo merda. quasi solo.

La pazienza

Ti ritrovi con un gruppo di ragazzini, mettiamo siano di prima media. Mi piace citare il loro esempio, perché io li ho fatti partire con il tedesco. Non sapevano nulla prima di me. Ce ne sono 12, due ragazzine molto educate e composte, due bimbe simpatiche ed evolute e un gruppo di ragazzini, di cui qualcuno un po’ agitato. Sono mediamente intelligenti, mediamente volenterosi. Inizi a spiegare, a volte si tratta di argomenti difficili, di grammatica. 

Inizi a parlare e man mano ti seguono, chi più chi meno, ma vedi che quasi tutti prendono appunti con costanza. Ogni tanto devi riprendere qualcuno disattento, ma la lezione scorre. Sembra che vada tutto bene, quando entra la bidella che consegna una circolare. Vorresti picchiare la testa contro il muro. Le femmine rimangono composte, anche se qualche maschio tenta qualche dispetto. I maschi si distraggono. Sono passati venti minuti dall’inizio della lezione. Sembrava che tutto fosse perfetto e, invece, basta un’interruzione di un minuto per infrangere la quiete. La bidella esce, la lezione riprende, ma devi impiegare anche cinque minuti per riottenere l’attenzione su quel tema di grammatica. Ora devi solo sperare che non entri un’altra volta la bidella oppure sono guai.La spiegazione procede tranquillamente, finisce, chiedi a qualcuno di ripetere quello che hai detto, prima hai chiesto se hanno dubbi o domande e loro non ne hanno. La maggior parte di loro, quasi tutti, ha capito il concetto di grammatica che hai spiegato. Sono anche contenti di far vedere la loro bravura. Arriva il momento di fare esercizio, a volte va bene e non fiatano. Iniziano gli esercizi in classe e non fiatano, anche se cercano di finire il più in fretta possibile, alcuni, come se si trattasse di una gara di corsa. Ci sono volte in cui, magari non subito, si mostrano spazientiti, perché convinti di sapere già benissimo tutto e, dunque, convinti che l’esercizio sia inutile. A molti di questi ragazzi manca la pazienza. Bisognerebbe insegnare loro l’importanza di costruire le strutture nella loro testa, insegnare che ci vuole tempo. Sono intuitivi, apprendono velocemente, apprendono alla moda di twitter (non tutti), ma non sono capaci di costruire dei pensieri lunghi. Vivono con fatica la complessità. Bisognerebbe insegnare la pazienza, prima ancora delle materie. 

Mi ricordo di quando ero piccolo e mia nonna cucinava. Preparava la sfoglia e io l’aiutavo a stendere sulla tavola il tagliere. Prendeva uova, farina e il mattarello e faceva la pasta. L’ho anche aiutata e mi spiegava con pazienza molti procedimenti e mi ripeteva che ci voleva pazienza. Non aveva nemmeno bisogno di dirmelo, perché io rimanevo con lei per ore, parlando di cibo ed altro, senza alcuna fatica. La cucina è pazienza. Io mi alleno a diventare paziente, mescolando per tre ore il ragù. (Mentre mescolo leggo un e-book di Marx, da bravo intellettuale radical-chic).

Penso che, se ne avessi le possibilità, porterei i miei alunni a vedere e a parlare con uno chef famoso, con un certo sex appeal televisivo (Cracco, Borghese, Barbieri), per invogliarli, in modo tale che lui spiegasse l’importanza della pazienza per raggiungere i propri obiettivi. Oppure li porterei da un calciatore, o da un altro sportivo. Oppure leggerei loro degli esempi letterari, che sono la cosa migliore, anche se rappresentano la strada più difficile. Voi, follower, che fareste??? Mi rivolgo anche ai non insegnanti, si intende. 

Sì, noi insegnanti combattiamo con degli stuzzicadenti contro dei carriarmati (GF, amici di maria de filippi, ecc. ecc.) 

essere umani, restiamo umani

qualche anno fa un attivista per i diritti umani, Vittorio Arrigoni, concludeva i propri messaggi internet scrivendo, restiamo umani. Scriveva da una terra tormentata, la Palestina, parlando della difficile vita dei suoi abitanti, tormentati dall’occupazione israeliana.

Cosa significa restare umani? Restare umani significa essere noi stessi, cercare di migliorarci, essendo autentici e spontanei. Qualche anno fa sono rimasto sconvolto, leggendo le mail di una mia ex alunna che esprimeva il suo pensiero su di me. Pensavo di esserle piaciuto, lei mi ha scritto che mi considera un esempio di come si deve insegnare, mi ha scritto che sono una persona che cerca sempre di migliorarsi, che impara dagli altri, una persona vera. Mi sono quasi commosso.

Molti insegnanti sostengono che bisogna rimanere sul piedistallo, sostengono che bisogna camminare davanti agli alunni e sperare che gli alunni ti vengano dietro, l’importante è camminare. Io cammino di fianco a loro e cerco di far capire loro che è il cammino giusto e intanto li ascolto e, se c’è qualcosa ma modificare nel percorso, sono pronto a cambiare. Non sono capace di stare sul piedistallo, mi ritengo uno come loro, che ha studiato un po’ di più e che ha qualche esperienza in più e che, forse per quel motivo, è meglio che mi ascoltino. Ogni tanto mi stupisco ancora, quando mi chiamano prof.

Ho studiato un po’ più di loro, ho la mia vita fatta di letteratura, arte, sport, ma mi piace anche ridere, ridere senza freni, divertirmi, sono un essere umano, insomma. Quando ho voglia di ridere e quando loro, i ragazzi, capiscono che sono un essere umano, si realizza l’alchimia perfetta.

Ho diversi hobby, tra i quali quello dei ristoranti stellati, mi interessano programmi tipo Masterchef, per scoprire i segreti degli chef. è sabato, sta per finire la lezione e CP, che ha gli occhi grandi e belli, mi chiede cosa fa stasera prof. Io rispondo che andrò al ristorante del famoso chef Valentino Marcattilli, CB, che sta dietro di lei, spalanca gli occhi e chiede. Chi, quello chef che è andato ospite a Masterchef, dal mio amore, Cracco? Sì, lui. BM e CB mi dicono che hanno il poster di Cracco in camera ed entrambi ci stupiamo di avere un interesse in comune. Io mi stupisco di come delle ragazze di 17 anni si possano interessare all’alta cucina. Quando avevo 17 anni non ci pensavo. E stasera mangerà l’uovo in raviolo, la specialità del ristorante San Domenico, io rispondo, probabilmente sì. Mercoledì ci racconta se vale veramente 40 euro, come aveva detto lo chef.

Vado a cena, la cena è splendida. Il mercoledì successivo torno dai miei meravigliosi ragazzi e loro, subito, mi chiedono ogni dettaglio del San Domenico, se è così buono l’uovo in raviolo, se sono così squisiti gli altri piatti, quanto ho speso, ecc. Io rispondo loro pazientemente, ma il dato più importante che hanno capito è che sono umano, simile a loro. Era quello che volevo che capissero. Ho anche detto loro che il 6 luglio sarei andato da Cracco: prof, ci porta l’autografo? certo che ve lo porto, ragazze.

Alcuni giorni dopo una ragazza, CB, mi consegna su una chiavetta, una tesina che avevo assegnato a tema libero, su Masterchef, tema scelto da lei. Scrive di Masterchef Germania, Usa, di altri paesi e, quando arriva all’Italia, di fianco alla foto di Cracco, mette due cuoricioni rosa. Rido di gusto. Non siamo così diversi allora, prof e alunni, e, soprattutto, siamo umani. Siamo restati umani.