colleghi

Prof, lei è uno di noi

Il giorno 27 di febbraio riprendo a scrivere questo post, con in mano un bicchiere di gin. è notte, fuori c’è 1 grado. Perché lo scrivo? Boh.

Torniamo a Monaco di Baviera, dove siamo in Gita. L’albergo nel quale alloggiamo è penoso, cadente come il cibo che mangiamo, ma chi se ne frega! I ragazzi sono magnifici, come i miei colleghi. Sento l’affetto, sento che è nato qualcosa. Abbiamo viaggiato in pullman, attraverso 3 nazioni, tra chiacchiere, più o meno serie e confidenze divertenti. Ci sono 3 classi in gita assieme, una sola delle quali è una classe in cui insegno. Poco importa che io non conosca molti dei ragazzi, prendiamo confidenza, scherziamo insieme tutti, come se ci conoscessimo da tempo. Il mattino dopo ci risvegliamo stanchi, pronti a ripartire per Praga. Fa un gran freddo, abbiamo tutti i visi stanchi, ma sorridenti. Lasciamo l’albergo orrido e arriviamo, dopo alcune ore, a Praga.

è bello questo albergo, è accogliente. Le giornate trascorrono, tra visite alla città e partecipazione ad una fiera studentesca, per alunni degli istituti tecnici. Facciamo colazione, pranzo e cena assieme, lasciando anche molta libertà ai ragazzi, di andare in giro per Praga per gli affari loro. Gli alunni non se ne approfittano mai, rispettando tutte le indicazioni che diamo loro, come, ad esempio, l’orario in cui ci dobbiamo rincontrare. Sanno usare la libertà che diamo loro, senza abusarne, perché sono ragazzi saggi,, educati, pieni di senso della misura. Sono ragazzi normali, come ce ne sono tanti, rendendo patetici i luoghi comuni che tanti sputano sugli adolescenti.

I miei occhi si perdono nella bellezza del panorama dal Ponte Carlo, così come nel vedere Praga di notte dalla barca sulla quale siamo, sento che questa bellezza mi sta salvando, sento che questa bellezza mi tiene agganciato alla vita. Ma non solo quella bellezza. C’è la bellezza dei miei colleghi, c’è il sorriso sincero di quei ragazzi, felici di vederci, felici di vedermi e di parlarmi, di stupirsi con me per la bellezza della cattedrale di San Vito e di scherzare su vari argomenti, sempre senza esagerare e sempre con tanto buon gusto. Li vedo fin dalla mattina e sento il loro calore, che mi fa pensare, un giorno di quelli: “sembra quasi una famiglia”, che mi tiene agganciato alla vita, dopo tutto quello che era successo, pochi mesi prima. Un ragazzo, che avevo conosciuto in quei giorni, mi dice: “sa prof, perché lei è così amato dai ragazzi? Perché lei sa capire le nostre esigenze, lei è uno di noi”. Mi viene in mente quello che aveva detto un ragazzino, ai tempi della suora inquietante. “Lei non è un prof come gli altri. Lei è uno di noi”. Il tempo che ho trascorso in questo mondo non mi ha reso vecchio, mi ha dato la possibilità di fare esperienze, di conoscere cose, di gioire tanto e di soffrire anche, anche se non tanto. Il tempo che sto trascorrendo su questa terra non mi ha reso più vecchio, forse più maturo, anche se non sempre, forse più consapevole. Non ha cambiato il mio spirito giocoso, la mia voglia di ridere, non mi ha tolto leggerezza. Mi sento un adolescente, tante volte, per la voglia di vita e la sete di esperienze che non mi mancano. Forse è vero che sono uno di loro?

Gli elogi mi stupiscono sempre, sono abituato a non vantarmi, forse sono un po’ troppo insicuro. Quello che è certo è che non mi sono mai sentito su un piedistallo, non ho mai portato in giro il mio monumento, anche se una con la voce strana, qualche anno fa, mi aveva accusato di darmi delle arie.

Quando torniamo a casa, una delle due classi che ho conosciuto in Repubblica Ceca, chiede a me di fare la foto di classe con loro. Addirittura, tutti vogliono farmi la dedica, come hanno fatto già nelle mie classi. L’altra classe va a reclamare ufficialmente, chiedendo di avere me come insegnante di tedesco. W la vita.

Saluti.

Baci.

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Far finta di curare i sani

Da qualche anno sto notando una tendenza nella scuola, sia pubblica, sia privata, quella di far finta di curare. 

Qualche tempo fa incontro una collega anziana di inglese, molto chiacchierona. Io parlavo molto poco in quella scuola, perché non amavo la sala insegnanti e perché temevo di commettere gaffes. Mi dice: ma la ED fa tedesco? Sì, e come va? E scoppia a ridere. Scusa se rido, ma non mi sembra che ED abbia molte capacità logiche. Io le rispondo: con me, all’inizio dell’anno, aveva 4, ora ha 8. L’anziana prof mi guarda con aria compassionevole e cambia discorso. Pochi giorni prima era successa la stessa cosa con il collega di italiano. 

ED è una ragazzina loquace e dalla voce potente, ma anche insicura, anche se sembra contradittorio. è una ragazzina normale, non troppo stupida e non troppo intelligente, che tutti credono stupida e considerano poco. La considerano poco durante le lezioni, durante la correzione dei compiti e gli altri momenti. Con loro non migliora mai, con me ha raddoppiato il voto. Che ho io? Sono Superman? No, sono uno normalissimo, che le dava spazio, che le faceva correggere spesso i compiti, che la interrogava, che le faceva le domande dal posto più spesso che ad altri, visto che altri, nella classe di tedesco, ne avevano meno bisogno. Io la mettevo al centro e lei studiava, studiava tanto, andava anche oltre le proprie capacità. Avevo capito che doveva sentirsi protagonista: io ci riuscivo, anche perché il gruppo era piccolo, ma avrei escogitato comunque qualcosa. Sono fiero di averle fatto imparare qualcosa, ma, soprattutto, sono fiero di averle fatto aumentare l’autostima. è bastato metterla per un po’ di tempo al centro dell’attenzione per ottenere questo risultato e fare la stessa cosa con altri che ne avevano bisogno. 

mi sono illuso e penso di avere un potere taumaturgico? Ma neanche per sogno! Ci sono casi troppo difficili anche per me, naturalmente. Ma penso di far smettere ancora delle stupide risate di pseudoprofessori.

parlare chiaro

qualche anno fa, quando ero adolescente, ero un pochino verboso, come certi intellettuali di sinistra. con gli anni ho imparato la sintesi, ho affinato la chiarezza. quando scrivo questo blog, cerco di ritrovare lo spazio di una scrittura ariosa, non costretta da troppi limiti. se debbo essere sincero, non sono cosi’ contento che mi abbiano dato anche le medie. sono molto piccoli, quasi bambini. la modalita’ di comunicazione  e’ piu’ complicata, prendono tutto in parola. cerco di essere molto diretto, quando spiego. evidentemente, non sempre serve. c’e’ la presentazione del programma ai genitori e io spiego, tra le altre cose, di non usare google translate, anche in virtu’ del fatto che io faccio il traduttore e so i danni che provoca. nei giorni successivi assegno ai ragazzi di terza media delle piccole ricerche sulla cultura tedesca, 1 paginetta, da scrivere in tedesco. tutti capiscono, salvo forse C.n, la quale prende 4 voci di wikipedia in italiano, le butta in google translate e poi le sistema alla meglio. io le spiego che aveva frainteso, lo dico anche alla madre durante il ricevimento. sembra che abbiano capito. ero stato troppo ottimista. qualche giorno fa arriva a scuola la collega che sostituisco, che avevo sentito fino a quel momento solo per telefono, la quale mi ferma e mi dice, ti posso dare un consiglio, non fare tradurre le ricerche ai ragazzi, perche’ i genitori si sono lamentati, per telefono con me. con lei,… io non ho mai detto di tradurre una rucerca, perche’ si tratta di un’operazione complicatissima, degna di un traduttore specializzatlo, non certo di una tredicenne un po’ tonta. io rispondo in modo molto cortese e fermo alla collega stronza che mi si e’ rivolta in quel modo che io non ho mai detto una cosa simile. Lei fa capire di non credermi e se ne va. Parlare chiaro, colleghi stronzi e tredicenni tonti.