cibo

La pasta alla crema

Il cibo è amore, sostanza e passione. Amo il cibo, amo i dolci, in realtà amo tutto il cibo buono, che sia dolce, salato o amaro. Per alcuni periodi ho amato anche troppo il cibo e il mio fisico snello si era pervertito. Facevo letteralmente schifo e la mia autostima era calata sottoterra. Ho perso molti chili, grazie anche alla mia spettacolare, bravissima, meravigliosa personal trainer, che mi ha saputo capire e valorizzare come sportivo, ma, innanzitutto come uomo. Ho perso molti chili, il mio fisico è quasi accettabile. Amo ancora il cibo, salato e dolce. La dolcezza è piacere, fanciullezza, appagamento dei sensi, prima ancora che modo per saziarsi. I dolci seducono e consolano. Tutto questo ha radici antiche, antichissime.

Il sapore dolce è il primo con cui veniamo in contatto dopo la nascita, attraverso il latte del seno materno o del biberon. È anche il sapore preferito dai neonati, ma anche degli adulti e che ci fa cadere facilmente in tentazione davanti alla vetrina delle pasticcerie. L’allattamento, oltre che esperienza di appagamento fisico, è anche un intenso momento di scambio relazionale, di accoglienza e accudimento. Associamo quindi il sapore zuccherino del latte, sin dall’inizio, al benessere, di appagamento, di pienezza, di vitalità. 

Da un punto di vista biologico, l’effetto consolatorio dei dolci dipende dai carboidrati, che agiscono su serotonina, dopamina ed endorfine, sostanze in grado di influenzare positivamente lo stato emotivo. Quando proviamo una soddisfazione, nel cervello si libera dopamina, sostanza che corrisponde al senso di essere ricompensati; se siamo carenti di dopamina, il cervello potrebbe indurci a cercare zucchero per ripristinare un adeguato livello di questo neurotrasmettitore. Inoltre lo zucchero produce insulina, che a sua volta regola la serotonina, sostanza responsabile del senso di felicità.

Basta con le divagazioni..,.. Non sono mica un erudito…

Loro sono tre ragazzine, due più magre e piccoline, una più alta e pienotta. Sono simpatiche, amabili, sorridenti, mie alunne di seconda liceo. Il loro livello di tedesco non è dei più eccelsi, ma che importa? Sono buone e amorevoli.

Entro in classe, con l’intenzione di comunicare la decisione di spostare il compito in classe, perché non sono ancora pronti. Loro entrano, portandomi un sacchetto bianco, con sopra disegnato un cuore, con il pennarello. Sotto al cuore c’è il mio nome e la scritta: “al nostro prof preferito” Dentro c’è una pasta, piena di crema. Mi chiedono anche di spostare la data del compito in classe, perché non si sentono pronte. Io dico loro che ci avevo già pensato. E mi godo la pasta alla crema. E il loro affetto,

La volta successiva, sulla lavagna multimediale, scrivono: “Prof. Wir lieben sie”. La amiamo. Che bello!

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distributori automatici

c’è un viale in un paesino della provincia, decoroso e ben tenuto. c’è un professore che passeggia durante l’ora vuota tra una lezione e l’altra. Siamo davanti alla scuola. I suoi occhi sono catturati da un paio di distributori automatici: contiene paté di cinghiale, culatello di cinghiale, salame di cinghiale il primo, contiene ricotte, formaggi e latticini vari. Tutto a km zero, realizzato da un’azienda agricola nelle vicinanze. Il professore ha fatto la spesa.

è un’immagine di opulenza che mette allegria.

e se fosse – tre

era troppo tempo che il nostro protagonista non insegnava. quasi non si ricordava più di avere presentato domanda per l’inserimento nelle graduatorie di terza fascia, si chiamano così le graduatorie degli insegnanti più sfigati, più precari, per usare un eufemismo. quando entrò nella scuola che l’aveva chiamato, si accorse di essere nel posto giusto. aveva fame di sguardi, di voci, di suoni, aveva fame di quegli sguardi, di quelle parole, di quei suoni. riprese il proprio mestiere, quello che sognava di intraprendere fin da bambino e che aveva svolto fino alla disgrazia. era carico ed esperto, come un ballerino che sa a memoria i passi di una danza e che deve preoccuparsi solo dell’interpretazione. la giornata durò a lungo, lui fu soddisfatto. non volle pensarci durante il viaggio in macchina verso casa. solo musica, solo ed esclusivamente musica, la sua musica, la sua playlist di spotify. sia benedetto chi lo ha inventato.

al pomeriggio si mise a lavorare con grande spinta, fino a che  non arrivò il momento di andare in palestra. tornò a casa e scoprì un’atroce verità: si era scordato di ordinare il cibo dal sito di eataly. adorava eataly, da quando aveva smesso di frequentare il centro commerciale tutti i giorni. visitava il negozio in centro città e ordinava dal sito. in casa non aveva quasi nulla da mangiare, pioveva di brutto ed era stanco morto. fissò per un po’ di tempo il monitor del computer con aria sconsolata. driin, di nuovo il campanello, che palle, pensò. si alzò stancamente dalla scrivania e andò alla porta. chi è? sono Marco, oddio di nuovo il ragazzino di ieri sera. mica ci sono i tuoni, pensò. aprì la porta, il ragazzino era in pigiama, con i capelli neri lisci sciolti, i piedi scalzi. come la sera precedente. ciao, vuoi venire a mangiare da me. il nostro protagonista gli chiese, c’è anche tua madre in casa. era in imbarazzo, perché non aveva nemmeno una bottiglia di vino da portare. no, sono solo, mia mamma è a lavorare, mi ha detto di invitarti, visto che sei stato così gentile ieri sera. ok, vengo, rispose, aspetta un attimo, prese le chiavi di casa, un barattolo di crema di nocciole artigianale molto meglio della Nutella, si infilò le scarpe e seguì il ragazzino, che aveva fatto un gran sorriso, dopo che il vicino di casa aveva detto sì all’invito. entrarono nella bella casa, si entrava direttamente in un ampio salone. la tavola era apparecchiata per due, molto ordinatamente. il nostro protagonista si andò a lavare le mani e ritornò in sala. ti piace il pesce, gli chiese il ragazzino con aria speranzosa, spalancando gli occhi neri grandi e belli. sì, rispose l’uomo, mi piace. ti ho preparato una tartare di tonno rosso. il nostro protagonista replicò un po’ stupito, tu hai preparato la tartare. sì, mi ha insegnato la mia mamma. andò in cucina e gliela servì. era squisita, il nostro protagonista gli fece i complimenti. quel ragazzino con il pigiama bianco con gli orsacchiotti sembrava uno chef. pensò che la madre lo segregasse in cucina e lo costringesse a cucinare  per ore e rimase un po’ perplesso. cucini spesso, gli chiese, qualche volta, la domenica, rispose il ragazzino tranquillamente. vado in cucina a controllare il risotto. risotto, fece sempre stupito il nostro uomo. ho preparato un risotto ai frutti di mare. addirittura, tutto questo per me, sorrise il nostro protagonista. era il minimo che potessi fare. quando servì in tavola il risotto rosso ai frutti di mare, il nostro protagonista si accorse che i frutti di mare erano sminuzzati. il risotto ai frutti di mare era un trionfo di sapori pazzesco, leggero e delicato. sarebbe sembrato quasi un tentativo di seduzione, se non l’avesse cucinato un bambino, un bambino vero, non una di quelle patetiche figurette da talent o reality show. lo guardò negli occhi e gli disse, complimenti. il bambino arrossì e sorrise, grazie. Mangiarono tutti e due quasi in silenzio, pensando solo a quello che stavano mangiando. Non è finita qui, disse Marco sorridendo, ci sono anche le cappe sante. Ma dai, disse l’uomo, sempre più sorpreso. erano deliziose, cucinate come solo pochi avrebbero saputo fare. Stavolta non mi freghi, disse con aria trionfante il nostro protagonista, il dolce l’ho portato io. il bambino rise,  per questa volta,… tirò fuori il barattolo di crema di nocciole artigianale. e come quello che prende la mia mamma, quello di eataly. ma dai, anche lei compra le cose lì. sì, vuole solo il cibo di eataly, da quando il suo negoziante preferito, si chiamava Ettore, si è ritirato a Cuba. il bambino andò in cucina, prese quattro rosette di pane belle grandi e le portò in tavola. Le tagliò, le farcì smodatamente di crema di nocciola e le porse al nostro protagonista. era vero, era molto meglio della nutella quella crema di nocciole. anche il nostro protagonista si sentì bambino, forse più bambino del bambino con cui era in quel momento. vuoi che ti aiuti a lavare i piatti, non era un asso, ma ci provava. no, non c’è bisogno, pulisco un po’ le pentole, poi ci pensa la lavastoviglie. vuoi il caffè, gli chiese mentre stava pulendo le pentole. no grazie, disse il nostro uomo gentilmente. si guardò attorno. vide dei quadri alle pareti e delle foto. In una c’era il ragazzino in pantaloncini e maglietta, con i capelli legati e le scarpette da danza bianche, assieme ad una decina di bimbe in body rosa. erano alla sbarra. va pure a danza, pensò, ma quando vive. ci sono altri bimbi in questo palazzo, chiese il nostro protagonista. sì, c’è la mia amica Teresa, del primo piano, giochiamo spesso, viene a danza con me, c’è anche Edoardo, del palazzo di fronte, è in classe con me e giochiamo a calcio assieme. pure a calcio, mamma mia, ma questo ha più impegni di un adulto, ma quando fa i compiti. di fianco alla foto di danza c’era una foto del bimbo in tenuta da calcio, assieme ad una bella donna  dagli occhi azzurri, la madre. proprio quella mattina gli sembrava di averla vista, per qualche secondo a scuola, ma era di sicuro una sua impressione. incominciò a tuonare.

mia madre torna tardi dal ristorante in cui lavora, posso dormire con te, gli chiese Marco. Dai vieni, non scordarti di spegnere il gas e la luce.

suoni

La storia di un luogo è una storia di suoni, è una storia di odori. Mi ricordo una delle due scuole in cui sono stato lo scorso anno. si trova alla periferia della città, davanti ad una serie di torri grige e di cristallo. siamo in un quartiere proletario, dove famiglie piene di tutto e prive di cultura e sensibilità vivono accanto a famiglie quiete ed educate. i figli sono lo specchio di questa famiglia, nei modi, nei suoni, nelle voci e negli odori. vanno a scuola assieme, i figli quieti ed educati, con quelli brutti, sporchi e cattivi, vanno in una scuola pubblica con sempre meno risorse, ma sempre più problemi. hanno esigenze diverse, quelli bravi belli e buoni e quelli brutti, sporchi e cattivi, ma la scuola è sempre più impoverita, ci sono classi sempre più numerose, dei gironi infernali, dove vengono puniti tutti. quelli buoni e belli sono consapevoli e si sentono a disagio, quelli brutti, sporchi e cattivi sono pieni di livore contro il mondo, sé stessi e gli altri, ma non sanno perché. ci sono tanti insegnanti meritevoli, che combattono da anni una battaglia disperata e forse senza speranza, per garantire a questi ragazzi un futuro e ci sono degli insegnanti pieni di buoni intenzioni, ma che si sentono impotenti di fronte a quello che vedono.
Questa scuola si trova in un parco, con la vegetazione disordinata e dei giochi sgangherati, consumati dalla violenza del tempo e dalla violenza di ragazzini. c’è un ragazzino piccolo e magro, pettinato con la cresta, gli manca un dente davanti, ma ha l’ultimo modello di smartphone e di nike. sta vagando per la scuola e si fa selfie. si odono latrati, ma non di cani. sono grida piene di rabbia, di rabbia sorda e cieca. sono grida di ragazzini, che hanno il volto rosso, livido di furore. sono grida miste a bestemmie disperate. c’è un ragazzino con i capelli spettinati, il volto rosso fuoco, una maglietta scolorita e i pantaloni della tuta. è sudato, emana una puzza terribile, che ben si intona all’ambiente. c’è un ragazzino con gli occhiali e l’orecchino, che lo prende in giro. il ragazzino spettinato urla contro l’altro, perché gli ha nascosto l’astuccio. è un peccato imperdonabile per lui. lo minaccia di botte, ti spacco il culo, brutto figlio di puttana, se non mi ridai l’astuccio entro due secondi. l’altro gli ride in faccia, che cazzo vuoi, sfigato, risponde. c’è un professore dai modi troppo garbati e timidi che entra in classe, i due ragazzini che litigano non si accorgono di lui. Rimane un secondo a guardarli e ha l’aria attonita. Il professore con i modi troppo garbati non riesce a dire nulla. ci sono ragazzine e ragazzini, che emanano odori buoni e hanno modi forse troppo garbati anche loro che si avvicinano al professore con i modi troppo garbati. prof, facciamo lezione, non badi a loro. i ragazzini e le ragazzine con i modi troppo garbati si siedono in prima fila e attorno alla cattedra, hanno l’aria annoiata e infastidita. ogni volta è la stessa storia in quella classe, in quella scuola. si sentono impotenti, si sente impotente anche il professore. il professore fa lezione, spiega cose che non possono interessare all’alunno che vuole spaccare il culo a quello che gli ha nascosto l’astuccio e neanche all’altro che lo prende in giro. le grida si affievoliscono, l’astuccio viene trovato. La puzza di troppe ascelle non lavate si mischia alla puzza di cibo pessimo, del cibo della mensa. intanto salgono le urla da un’altra classe, troppa rabbia, rabbia senza direzione, rabbia fine a sé stessa. il professore dai modi troppo garbati ha fatto lezione ai ragazzini e alle ragazzine dai modi troppo garbati. Il ragazzino a cui manca un dente davanti si è fatto il decimo selfie assieme ad una ragazzina dai capelli curati che sgancia rutti come se fossero tuoni. c’è un ragazzo in canottiera che manda messaggi su whatsapp per tutta la lezione, ma almeno non ha mai disturbato.
il professore dai modi troppo garbati se ne va con passo precipitoso dall’aula, trattenendo il respiro, gli viene da vomitare, per la puzza di sudore e la puzza di cibo.

Magri e sinceri

Ieri sono stato a pranzo dalla mia alunna e sono rimasto affascinato dalla dolcezza, dalla gentilezza, dalla dedizione di quella ragazza e della sua famiglia. Ho mangiato ottimo cibo del Bangladesh, ho avuto un sacco di stimoli. Sono molto confuso, elettrizzato e felice. Ho guardato quegli occhi che sanno di lontano, ho assaggiato quei cibi, sono rimasto affascinato dalle spezie. ero in una campagna magnifica, quasi da film. Ora scrivo questi post, magri e sinceri, e sono felice, nei miei occhi ci sono gli occhi della dolce M., che ama la lettura e la vita.

passioni

qualche settimana fa, di sabato, mi trovavo nel corridoio della scuola. era il momento dell’intervallo, mi avevano assegnato alla vigilanza dei ragazzuoli. si avvicina a me M. M. è una ragazzina con gli occhi profondi ed espressivi, piccola e con l’aria gentile. Mi parla gentilmente, mi dice, so che lei piacerebbe molto a mio padre, come è piaciuto a me, le andrebbe di provare del cibo del Bangladesh? da quando l’ho vista, ho capito che con lei avremmo imparato il tedesco. Io rimango stupido e deliziato e mi esce un sorriso. è una ragazzina brava e volenterosa, dalla faccia pulita e dall’aria rassicurante. Le dico che accetto il suo invito a pranzo e le dico che è una persona molto positiva.

amico invadente e simpatico 83

Non sono ancora tornato dal Giappone, almeno con la mente. Prima bevevo saké, non male, anche se preferisco il vino.

Che volto ha il Giappone? è una domanda da serata oziosa, come lo è questa. Forse il Giappone ha il volto di una ragazza minuta, magrolina e carina, con i capelli neri lisci legati. Ci sono molti locali, la vita notturna di Tokio è gioiosa e ordinata. C’è un ristorante-pub, carino e simpatico. Mi piace consultare le guide gastronomiche, ma anche affidarmi all’istinto, come si dice con una frase fatta. Mi accoglie una ragazza, quella ragazza magrolina. Ha un bel sorriso, una faccia tranquilla e gioiosa, mi parla inglese, molto bene, ma soprattutto mi comunica compostezza, comunica stile, uno stile diverso dagli altri. Non tutti parlano inglese bene, ma tutti sono giapponesi dentro, tutti comunicano questa sensazione che fa bene all’anima. Non c’è il menu in inglese, dentro al ristorante non c’è un freddo cane come capita in Giappone. La cameriera mi spiega tutto con precisione e ordino della carne alla griglia, carne bovina e carne di maiale. Mi porta un braciere, mi porta dei pezzetti di carne sottili, a forma di parallelepipedo, speziati. Mi porta degli alari, con i quali mi debbo cuocere io la carne. è squisita, come la birra che la accompagna. La birra giapponese è buona, non come quella ceca, ma molto buona uguale. Consiglio la birra Ebisu. Prima di tornare in albergo, lì vicino. chiacchiero un po’ con la cameriera. Sono sazio e contento.

Qualche giorno dopo torno in quel luogo, mangio le stesse cose, chiacchiero con un’altra ragazza, coreana, simpatica, carina, che fa la cameriera. Mi dà serenità la sua presenza. Ho incontrato il Giappone?