Oltre me, più di me.
Questa storia potrebbe incominciare in un ospedale esageratamente caldo, senza aria condizionata. Ci sono io, su una lettiga. Ho trascorso una notte di incubi, perché una persona mi ha maltrattato, maltrattato pesantemente. Quella persona mi ha sentito agitarsi e ha chiamato l’ambulanza, sincera come Matteo Renzi. Ho avuto la disgrazia di conoscere quella persona.
Non ci sono distributori e posso bere a malapena un po’ d’acqua, calda come brodo. Quella persona è stata particolarmente violenta con me, come lei sa esserlo. Io non ho avuto abbastanza forza per reagire, forse. O forse sono troppo debole. Parlo con un signore anziano sconosciuto, lamentandomi della vita, per far trascorrere il tempo. Ho trascorso una giornata intera in quel cazzo di ospedale, anche se non avevo niente.
Questa storia potrebbe incominciare in un tinello, alle 9 e mezzo di sera. In quella casa si mangia tardi. C’è una signora cicciottella e bionda che inveisce contro di me, accusandomi di pontificare e di darmi delle arie, perché non mi piace Laura Pausini. Urla fortissimo, la signora cicciottella.
Ma potrebbe incominciare anche dalla suora inquietante, o da un signore calvo, che mettono in dubbio la mia capacità di costruire buoni rapporti con gli alunni. Io rispondo loro in modo garbato e con forza.
Oppure potrebbe incominciare da uno sguardo sorridente e benevolo di una bella ragazza, che è stata mia alunna. “Tu sei una persona umile, perché impari dai propri alunni”. Ricambio il suo sorriso, sono felice.
Questa storia continua un venerdì sera di quasi estate, umido e appiccicaticcio. C’è una ragazzona alta che mi abbraccia e mi da un bacio sulla guancia. è una mia alunna di qualche anno fa, che ho incontrato qualche giorno prima, nella gelateria in cui lei ha fatto uno stage. Piangeva, perché i genitori stanno divorziano. Il centro è affollato e noi andiamo in un locale elegante. Lei è timida, ma riesce a dirmi che mi considera un secondo padre e che, se non avesse già il proprio, vorrebbe essere adottata da me. Penso alle mie insicurezze, penso al fatto che non me la sono mai tirata, penso che, troppo spesso non mi considero abbastanza e cerco di considerare gli aspetti positivi, considero il mio senso della realtà, considero il fatto che sto con i piedi per terra e sono abituato a non vantarmi, ad essere me stesso. Penso all’autorevolezza che ispiro, all’affetto che nutro per quella persona e penso al fatto che è tutto spontaneo, privo di calcolo e sincero, maledettamente sincero, che va oltre me, che, forse, ho dentro, che gli altri vedono, ma io, probabilmente, non vedo abbastanza. Quello che è successo dovrebbe essere un tassello del mosaico dell’autostima, che sto cercando di comporre e che, forse, riuscirò a finire.
Usciamo dal locale e il barista, che ci ha servito due cocktail meravigliosi, ci saluta dicendo “ciao, ragazzi!”. Sono un po’ vanitoso, anche.