ateismo

scuole private

In tanti possono passare da quelle scuole, da studenti o da insegnanti precari. Tanti hanno una famiglia che ha messo da parte qualcosa e che ti consente di vivere con tranquillità. Puoi cercare lavoro senza ansie, ma, nello stesso tempo, hai voglia di fare esperienze, hai voglia di metterti alla prova. E hai voglia di metterti alla prova anche in una scuola privata. Si chiamano private e non “paritarie”, come le hanno ipocritamente ribattezzate. Sono scuole buone, discrete, belle e brutte, ma sono scuole di una parte, sono scuole che offrono una visione parziale della vita. Ci sono stato da comunista, ci sono stato da sostenitore della scuola pubblica, ci sono stato da persona curiosa ed aperta. E ho passato anche dei bei momenti e non pochi. Ho ancora degli amici, tra ex alunni e prof, sento ancora un mio ex collega, fondamentalista cattolico, il quale, udite udite, mi apprezzava. Ho trascorso molti anni nelle scuole private, ho conosciuto molte persone, mi sono innamorato di una ragazza. Ho visto bambini, ragazzi, alunni. Ho visto ragazzi pieni di vita che stonavano nello squallore bigotto della scuola ciellina, ho visto anche un uomo severo e abbastanza corretto, nella scuola del centro, ho visto una suora senza umanità. Ho visto e ho provato emozioni: mi sono emozionato, sono stato felice, sono stato arrabbiato e sono stato schifato.

Ci sono stato, ma non vorrei più tornarci. Ci sono stato ed è stato giusto esserci stato, ho imparato qualcosa.

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Altre avventure della suora inquietante

Quando è trascorso del tempo da un avvenimento cresce l’esigenza di rifletterci sopra. L’esperienza con la suora inquietante mi ha mostrato un mondo pre-moderno e ultramoderno, allo stesso tempo. Mi ha mostrato il potere assoluto ancien regime e mi ha mostrato il neo capitalismo, che mette in discussione i diritti dei lavoratori e i rapporti con le persone, con la stragrande maggioranza degli alunni.

Ci sono tante sfaccettature del rapporto che ho avuto con quell’essere che è giusto analizzare: una di queste è la sfiducia che mi ha dimostrato fin dall’inizio della nostra conoscenza.

Quell’essere immondo mi assume con un contratto di quindici giorni, che prevede la possibilità del licenziamento ad nutum, così come la possibilità per me di andarmene senza preavviso. Alla fine dei 15 giorni, mi assume con un contratto di 6 mesi e mezzo. Lei mi deve dare un preavviso di 1 mese e io pure, se volessi andarmene. Pochi giorni dopo la proroga del contratto, quando sto uscendo dal ripostiglio chiamato pomposamente “aula di tedesco”, mi viene incontro e mi invita a tornarci dentro. Mi chiede come mai non ho aggiornato il registro elettronico e io le rispondo che la segretaria non l’ha ancora predisposto. Mi dice di farmi aiutare da un prof della scuola e io replico che il registro elettronico non è ancora pronto. Lei continua per la propria strada, mostrando di non credermi. Secondo quell’essere io avrei mentito su una cosa, per la quale mi avrebbe potuto smentire in 2 secondi, andando a chiedere alla segretaria, a pochi passi da lì. Secondo lei, io sarei stato, oltre che bugiardo, decisamente stupido. Forse ho già raccontato questo passaggio, ma mi serve per agganciarmi al passaggio successivo.

G.P. ha 13 anni, gli occhi come due fessure e la bocca grande, deformata da un ghigno cattivo. è vestito firmato dalla testa ai piedi, con il cellulare da 600 euro. Voi sapete del mio infinito affetto nei confronti di tanti alunni, che ho conosciuto nella mia carriera, ma non ho voluto bene a quel ragazzino. è un ragazzino viziato dalla madre, ricco, cattivo e bugiardo. è incapace di amare, perché non lo hanno mai amato nel modo giusto. Questo ragazzino va a dire alla suora inquietante che io passo tutto il tempo della lezione attaccato al tablet. Utilizzo il tablet nel ripostiglio di tedesco, per firmare il registro elettronico, visto che quello schifo di preside non ha messo la lim, per inserire gli argomenti della lezione e i voti, da quando la segretaria ha sistemato il registro elettronico. Io spiego la verità alla suora inquietante, non si capisce se mi crepe oppure no, ma io ho qualche sospetto che non mi creda. Un giorno di inverno con il sole, mentre sto facendo lezione alla terza media di G.P., questo inizia a lanciare pallini di carta a L.M., un ragazzino biondo, svogliato e maleducato. L.M. risponde e qualche altro ragazzino si associa, ma i due colpevoli principali sono loro due. Li sgrido, minaccio punizioni, ma continuano imperterriti, fino a ridurre il pavimento un tappeto di pezzetti di carta. Suona l’intervallo e la fine della lezione e io dico loro di raccogliere i pezzetti di carta, ma loro se ne vanno. Li raccolgo io. La volta successiva faccio loro una reprimenda e assegno un compito di punizione. Me lo portano e la cosa sembra finire lì. Sembra. Un venerdì sera alle 21 mi arriva una mail della suora inquietante, con scritto nell’oggetto “comunicazioni suora inquietante”, che mi fissa un appuntamento per il martedì successivo, per discutere di generiche questioni educative. è un processo kafkiano, l’ho capito. Il giorno dopo non ho lezione e la chiamo per sapere il motivo esatto della convocazione, lei si fa negare.

Arriva il martedì. Lei tarda 20 minuti e poi sfodera una lettera scritta da G.P., che mi accusa di umiliarlo. Sostiene che io l’avrei accusato ingiustamente di lanciare pallini, quando lui era innocente, e che non avrei controllato i suoi compiti di punizione. Mi racconto che la madre del ragazzino è andata a parlare con la suora al venerdì alle 20 30. Io spiego la verità alla suora e lei mi risponde “perché il ragazzino dovrebbe mentire?”. Io rimango basito, ma rispondo ugualmente “perché ha 13 anni, perché ha paura di essere punito, per nascondere quello che ha fatto.”Lei mostra di non credermi, crede ad un ragazzino di 13 anni e non ad un professore di 37 anni, che, secondo lei, si sarebbe inventato tutto, della storia dei pallini.

Penso che la madre di G.P. fa dei servizi gratis per la suora e mi spiego tutto, o quasi.

Sfodera una presunta lettera anonima, scritta da presunti anonimi genitori, contro di me e altre balle. Ho rimosso tutto dalla mia mente. Se me lo ricorderò, ve lo racconterò.

Suora inquietante

Siamo in un bar di periferia, modesto. è giugno e io entro, perché mi ha invitato una mia collega un po’ baciapile, che crede che io sia religioso, anche se non so perché. è una zona molto verde, davanti c’è un bel giardino con i giochi per i bambini, di fianco al bar ci sono negozi ed un supermercato coop. quel giorno di giugno è grigio, minaccia pioggia.

la scuola è ormai finita, io e la mia collega baciapile abbiamo partecipato ad uno scrutinio di una classe che abbiamo avuto in comune. Di mattina la scuola senza alunni non sembra più la stessa. Seduti ad un tavolo ci sono la mia collega, un signore anziano e due bambini, di cui uno avrà 5-6 anni e l’altro qualcuno in più. Sono fratelli, i nipoti di quel signore. è un gentile signore del sud, che ha intenzione di offrirci da bere. Il più piccolo dei bambini mangia delle patatine, con aria vorace. è allegro e ha l’aria presente. Il più grande ha lo sguardo assente, tenta di mangiare le patatine, le quali gli scivolano in gran numero sul viso e sulla maglietta. La mia collega baciapile dice che il bambino è stato traumatizzato da dei compagni, il nonno annuisce. Non spiegano dove, ne come. Mi chiedo se quello fosse stato il primo trauma, il bambino mi sembra molto turbato ed assente. Non posso chiedere al nonno di specificare, naturalmente. La mia collega baciapile suggerisce al nonno di mandare il bambino a scuola dalle suore, anzi dalle suorine, come dice lei. Frequenta una scuola pubblica, quel bambino.

La mia mente corre subito alla scuola ciellina, dove non c’erano (non credo che ci siano neanche ora) ascensori e scale di sicurezza e dove io dovetti portare in braccio per due rampe di scale la bambina temporaneamente disabile. In quella scuola senza ascensori una ragazza con una protesi al posto della gamba doveva salire fino al terzo piano, per entrare in classe. In quella scuola non c’erano insegnanti di sostegno, c’erano educatori di una cooperativa ciellina, pagati dal comune, cioè dalla collettività. C’erano ragazzini disabili abbandonati a loro stessi, non c’erano neanche i bidelli. Veniva un’impresa di pulizie 1 volta alla settimana, per tre ore. Nella scuola privata dove sono stato tre anni gli alunni disabili si contavano sulle dita di una mano, c’era, credo, 1 insegnante di sostegno, c’era l’ascensore. Non mi ricordo se ci fosse la scala antincendio. Nella scuola della suora inquietante non c’erano insegnanti di sostegno, i ragazzini disabili sono seguiti in qualche modo dagli insegnanti delle altre materie. C’è l’ascensore.

Molte volte mi sono chiesto che cosa spinga un genitore a far frequentare ai propri figli una scuola privata, molte volte mi sono stupito quando ho saputo di intere famiglie, zii, genitori, figli etc. mandati alla scuola privata. Ho visto tante facce. Ho visto persone che vogliono rispettare la tradizione, perché i figli dei loro amici lo fanno, i loro amici andavano a scuola lì,, ecc. Ho visto persone che credono di proteggere i propri figli, mandandoli in scuole dove non ci sono i cosiddetti “casi sociali”, dove non si fa sciopero, ho visto persone convinte che in quelle scuole si impartisse un’istruzione migliore rispetto alle scuole pubbliche, anche se i dati dicono il contrario. Ho visto persone che scelgono la scuola privata, perché vogliono che i propri figli sia indottrinati secondo i dettami cattolici, ho visto persone che mandano i propri figli alla scuola privata, chiamata paritaria, ora, per mascherare il fatto che è una scuola privata, perché nella scuola pubblica ci sono insegnanti di sinistra. Ci sono persone che mandano i figli alla scuola privata, perché sperano che gli insegnanti chiudano un occhio di fronte all’ignoranza dei figli, ci sono persone che mandano i figli alla privata, perché costa molto e vogliono far vedere che sono ricchi.

Quando vado a votare rivedo la scuola elementare che ho frequentato, in un quartiere cosiddetto “difficile”, all’interno di un bel giardino, con il campo da basket. La mia scuola è piena di luce, mette allegria. La nostra maestra, che ho sempre adorato, è molto cattolica (nessuno è perfetto). Ci ha insegnato la Divina Commedia, l’Orlando Furioso, l’Eneide, ci ha portato nei più bei musei, ci ha insegnato anche qualcosa sul Parlamento, il Presidente della Repubblica e il Consiglio Comunale. Io sapevo chi era il sindaco, il presidente del consiglio, quello della repubblica, perfino il presidente della circoscrizione. In un quartiere difficile, come lo chiamano.

Lì intorno ci sono case basse, carine, con il giardino e  molti nani da giardino. Sembra quasi di essere in periferia e invece siamo vicini ai viali di circonvallazione. il frastuono delle macchine della via poco lontano ci ricorda che siamo quasi in città. sulla sinistra ci sono pochi uffici, qualche bar, qualche negozio. Sulla destra c’è una strada perennemente trafficata, con palazzi alti e decorosi e villette con giardino e nani. Le case sono rosse, bianche o color panna, in maggioranza. In mezzo alle case basse si staglia un maniero marrone scuro ed imponente. Attorno al maniero c’è un giardino, con qualche albero e molto cemento, di fianco alla grande strada trafficata. Davanti al maniero c’è una donna grassa, bionda e stupida, con i capelli ben pettinati, freschi di parrucchiere. Io entro e la saluto, perché ho la sventura di conoscerla, da prima di frequentare quella scuola. Le mie nipoti frequentano questa scuola, la piccola frequenta l’asilo, la grande è alle elementari. Abbiamo voluto che la grande avesse come maestra suor O., perché è stata la maestra di mio figlio. Una vecchina in abito da suora fa capolino, dalla porta nera di quel maniero. Dall’aspetto sembra che abbia un’ottantina d’anni. Sorride alla nonna timidamente, la nonna bionda la saluta calorosamente. Entro nell’atrio della scuola, immerso nella penombra. Dentro l’atrio c’è una donna sulla sessantina, con baffi vistosi. Davanti a me una porta conduce ad una delle segreterie, qui le segreterie non mancano. C’è la segreteria amministrativa, c’è la segreteria alunni, c’è la segreteria di non so cosa e poi c’è la collaboratrice fissa della suora inquietante. Da quella porta filtra un po’ di luce. A sinistra dell’entrata una porta conduce al corridoio delle elementari, immerso nella penombra, con il mobilio nero e le finestre piccole. Ci sono andato per il colloquio, prima di essere assunto, in uno stanzino con un piccolo lavandino.  A destra dell’entrata c’è il corridoio dell’asilo, immerso nella semioscurità. Salgo le scale strette e una luce cerca di farsi largo da una finestra, con scarsi risultati. A sinistra delle scale si apre un corridoio dove c’è luce, le finestre sono grandi e le aule luminose, hanno la lavagna interattiva. In mezzo alla luce fa contrasto l’ufficio della preside, da cui una persona uscì con seri problemi, qualche anno fa. Nell’ufficio della preside la finestra è piccola, e l’unica luce è quella fioca di una lampada da scrivania, che sta sul tavolo della preside e su quello della sua collaboratrice. La preside è una donna piccola, magrissima, con il volto scavato dal tempo. Ha l’espressione quasi sempre fredda, sorride poco e in modo un po’ falso. C’è anche la sala insegnanti, di fianco all’ufficio della preside, immersa nel quasi buio, con il mobilio nero e una finestrina.

Quando ho iniziato la preside mi ha condotto nella cosiddetta aula di tedesco. Siamo al primo piano, a destra delle scale, in un corridoio vinto dall’oscurità. Le finestre sono poche, piccole ed esposte a nord. Apre la porta e davanti a me c’è una stanzetta che non arriva ai venti metri quadrati con un tavolo rettangolare lungo al centro. Ai lati ci sono armadi, che occupano una parte dello spazio. C’è una lavagnetta, appesa al muro, simile a quelle che ci sono nei pub. Mi fa dare un pennarello da lavagna, da una delle segretarie, gentile e timida, sottomessa alla suora. Mi dice di utilizzarlo con parsimonia. Nella stanzetta c’è un cartello scritto a pennarello, con la declinazione dell’articolo maschile determinativo tedesco, solo questo mi ricorda che sono in un’aula di tedesco. Nella scuola media ci sono tre sezioni di scuola media, i ragazzini che studiano tedesco di prima, di seconda e di terza vengono riuniti per queste ore di lezione. Entrano i ragazzini delle tre prime medie e sono 12. Non ci stanno attorno al tavolo. Una bambina, piccola e magra, appoggia il quaderno sulle ginocchia. Sta tra il tavolo e la lavagna, sulla quale io devo scrivere, con il rischio di urtare la bambina. Molti bambini sono costretti a dare le spalle alla lavagna, pur di appoggiare il proprio materiale e si devono contorcere per potere leggere quello che io scrivo. L’unica luce è un flebile neon. La suora vede quello che succede e capisce che qualcosa non va. Mi dice che mi avrebbe cambiato d’aula con la prima media e così, dalla volta successiva, avrebbe fatto. Chissà perché non ha avuto la stessa idea con la seconda media e la terza, 10 e 9 alunni, ammassati in un’aula che, in realtà, è un ripostiglio. La terza media e la seconda le ho anche alle ultime ore e arrivano con gli zaini, che ingombrano ancora di più la presunta aula di tedesco. Nell’aula, chiamiamola così, non c’è la lavagna interattiva e io devo usare il mio tablet per firmare il registro elettronico. Posso solo firmarlo, ma non posso mettere i voti e scrivere il contenuto delle lezioni, perché una delle segretarie non l’ha ancora attivato, per tedesco. Devo prendere appunti su un mio quaderno. Gli alunni delle superiori di tedesco sono pochissimi, 1 per la seconda, 2 per la terza, di cui un ragazzo epilettico. Dicono che le persone affette da epilessia, quando sono colpite dalla crisi, si buttino per terra, dimenandosi e scalciando. Mi chiedo cosa sarebbe successo se quel ragazzo avesse avuto una crisi durante le mie lezioni. I ragazzi delle superiori scendono dal secondo piano, quando è l’ora di tedesco. Il secondo piano è luminoso, ma un po’ scialbo, c’è qualche immagine religiosa, come al primo, ma sa di poco, come si dice. In quella stanzetta non hanno problemi di spazio, ma mi domando, perché non debbano avere una lavagna multimediale come gli altri o un’aula luminosa.. Per proiettare filmati vari devo usare il mio portatile o il mio tablet. Meno male che c’è il wi-fi. Di fianco alla cosiddetta aula di tedesco, ci sono alcune aule, di medie e di elementari, luminose ed attrezzate. Ma il corridoio è buio. Nella scuola l’unica bidella cerca di tenere pulito. Passano i quindici giorni di prova e vengo confermato per altri 6 mesi, chissà perché non fino a giugno. Ho un regolare contratto, lo stipendio mi viene versato quasi sempre regolarmente. Sostituisco un’anziana collega, che sarebbe in pensione, la quale prende un terzo della mia paga, facendo il mio stesso lavoro. Ha i genitori, ormai vetusti, ammalati. In quella scuola lavorano insegnanti anziani, qualche suora apparentemente vetusta, insegnanti giovani, c’è perfino una mia cugina di secondo grado, che non vedo mai. Lavora lì da quando si è laureata, non so come faccia, ma forse so perché non la vedo mai. Molti se ne vanno, per andare nella scuola pubblica.

La scuola organizza molte attività, corsi di chitarra e cinese, ma li ospita nella cosiddetta aula di tedesco, senza luce e lavagna interattiva, con la lavagnetta del pub.

Chiedo alla preside di potere cambiare aula, chiedo alla segretaria timida una lampada. Non resisto a stare al buio. La preside promette di pensarci. La segretaria timida mi procura una piantana da pavimento. Per leggere devo stare sotto la piantana da pavimento, che occupa un bel po’ di posto, nella già piccola aula. Io mi compro anche una piccola torcia.

Un giorno devo fare lezione alla prima media, in un’aula luminosa. La collega di religione mi chiede di lasciarle quell’aula e mi invita ad usare l’aula magna. e sia, andiamo in aula magna, ma ci sono le sedie e non i banchi, i bambini devono scrivere la verifica seduti in terra, con il foglio appoggiato sulla sedia davanti oppure tenendo il foglio sulle ginocchia. Meno male che l’aula magna è luminosa. Lo stesso episodio si ripete un paio di volte.

La cosiddetta aula di tedesco viene usata dalla suora inquietante anche per colloqui con genitori e professori. Mi convoca lì dentro più volte, anche per dirmi di farmi aiutare per il registro elettronico, da un altro professore. Le spiego che il registro elettronico non è ancora stato attivato dalla segretaria. Lei mostra di non credermi.Secondo lei io sarei un bugiardo. Il registro elettronico viene attivato per tedesco verso novembre. Devo trascorrere due pomeriggi interi per aggiornarlo. Meno male che si può aggiornarlo anche da casa.

Mi faccio spedire qualche poster della Germania, per migliorare l’aula, uso la piantana e la torcia, fino a che, fino a che non accade il fattaccio, per così dire. Un giorno finisco la mia lezione ed entra la suora inquietante con dei genitori. Io esco velocemente, dimenticandomi di spegnere la luce. Quando torno, il giorno successivo, la lampada non c’è più. Chiedo lumi alla segretaria timida, la quale mi risponde che è un ordine della preside. Vado dalla preside e lei mi dice che è una punizione per averla tenuta accesa il giorno precedente. Io protesto e le dico che è molto difficile fare lezione in quella situazione. Lei promette di trovare una soluzione. Quel giorno non leggo, mentre i ragazzini sgranano gli occhi sul libro e il quaderno. Al pomeriggio vado a comprarmi una lunga torcia da cantiere. Da quel momento in poi avrei letto sempre con l’aiuto della torcia, per non accecarmi. Un sabato mattina c’è un open day, io rivolgo il libro verso il poco sole che entra dalla finestrina in alto, quando la porticina dell’aula si apre e un bambino la mostra ai genitori. Quando si accorge della situazione chiude la porta di scatto. Dietro di loro c’è la suora inquietante, con aria arcigna. Dopo circa un mese dalla punizione della suora inquietante, mi viene comunicato che potrò andare a fare lezione con la seconda e la terza media in aule luminose. Chissà perché la seconda e la terza superiore non hanno diritto ad un’aula luminosa.

I giorni passano e arriva un giovedì umido e freddo di marzo, il mio ultimo giovedì di ricevimento genitori. Dobbiamo essere presenti sempre, anche se non ci sono genitori che hanno preso l’appuntamento. Il ricevimento avviene nella mensa, nei sotterranei umidi e freddi. è la mensa delle elementari, i tavoli e le sedie sono bassi, anche lì è buio. Accendo la luce, per essere un po’ meno triste, una suora grassa e arcigna la spegne poco dopo. Al sabato finisce il mio incarico, in ossequio alla continuità didattica, come la chiamano. Gli ultimi due mesi i ragazzi avranno un’altra insegnante, solo perché io mi sono ribellato ai soprusi della suora inquietante, che violava il contratto che lei stessa aveva firmato.

Ora penso ad alcune cose: penso alla suora inquietante, che ogni tanto sta male, perché ha la leucemia, penso alla suora grassa e arcigna, la quale, risponde con fastidio a chi le chiede come sta la suora inquietante, perché la odia, evidentemente. Penso alle ore di spiritualità, in ginocchio nella cappella scolastica, mentre la suora inquietante esalta la figura di una beata che passava le notti a contemplare l’immagine di una madonna. Penso ad un frate francese che esalta una setta religiosa fondamentalista, davanti agli alunni, nella quale gli adepti ripetono, con occhi spiritati e le braccia alzate, god is great, god is awesome. Non esalta Don Puglisi, Don Gallo, Don Ciotti. Già.

Penso che non tornerei mai là, dalla suora inquietante.

 

 

 

 

cielo

La canzone degli Stadio, Chiedi chi erano i Beatles, recita, voi dovete insegnarci con tutte le cose e non solo a parole. Molte volte mi sento quasi in imbarazzo nel pensare che faccio l’insegnante, perché penso di avere tanto da imparare, perché mi sento abbastanza acerbo, ma quello è il mio ruolo, un ruolo dove imparo e insegno e il mio insegnare ha senso solo imparo qualcosa.

L’anno scolastico scorso ho vissuto, mio malgrado, l’atmosfera sulfurea della scuola della suora inquietante ed ho un ricordo, uno tra i tanti, che vorrei citare ora. c’è un consiglio di classe, un pretesto, per questa donnetta rinsecchita per potere parlare a vanvera. La donnetta parla e straparla e, a un certo punto, racconta, con fare gongolante, di come il padre di un’alunna abbia fatto dei lavori, del valore di svariate migliaia di euro, per lei gratis. io non vorrei mai fare il dirigente, perché mi sembra un ruolo impiegatizio, ma ho delle idee su come si deve svolgere questa funzione. Penso che sia un errore accettare delle prestazioni gratis per migliaia di euro, perché, in questo modo, la situazione diventa di conflitto di interesse. Come si fa a dare l’insufficienza alla figlia, dopo che il padre ha fatto quel regalo? non si può, naturalmente. cosa penseranno altri compagni, sapendo della generosità del padre, quando la figlia prenderà dei voti alti? un preside non deve solo essere onesto, ma deve anche apparire come tale. è interessante notare come questa donnetta dall’aria ascetica, quasi ultraterrena, sia, in realtà, così terrena, così materiale, quando gioisce, perché il padre dell’alunna ha preparato dei manifesti gratis per la festa della scuola. si tratta di manifesti che non sono neppure così importanti. cosa può insegnare una donna che gioisce per la roba? quanta piccineria c’è in quella persona? Giuliano Ferrara sostiene che, per fare politica, bisogna essere ricattabili. anche per fare scuola.

guardo la foto che sta in questo post e penso al cielo e penso a come sia necessario staccarsi dalla terra, ogni tanto. penso al paradosso di una donna che si riempie la bocca di cielo e glorifica il denaro e il possesso. Penso al mio amore per gli aerei, penso a come sfidano la gravità, penso al fascino e al timore reverenziale che provo, quando vedo un aereo staccarsi o quando ci sono sopra. sono seduto in macchina e sto andando a scuola, all’ITC in cui insegno. c’è una coda infernale di macchine e motorini, Io sto fermo, guardo il cielo sorridente di un martedì mattina pieno di promesse e scrivo. Sul sedile di fianco a me c’è un giornale. Scrivo negli spazi bianchi e penso ad un altro paradosso. Penso che un insegnante come me, ateo e comunista, come me, deve mostrare dove sta il cielo a ragazzi, ma deve cercarlo pure lui. Dove sta il cielo? sta nella bellezza, sta nel diventare chi siamo, sta nell’impegno costante e instancabile. adesso voglio citare la scuola media dove sto lavorando, che è un ambiente difficile, ma dove qualcosa di buono c’è. debbo insegnare il tedesco ad un gruppo di ragazzini, tutti stranieri, da poco arrivati in Italia. ci sono alcune ragazzine e ragazzini che si dannano l’anima, per imparare qualcosa di tedesco, dovendo imparare anche l’italiano e ce la mettono tutta, con le difficoltà e la stranezza della pronuncia araba o ucraina del tedesco. c’è A., ragazzina tranquilla e intelligente della Tunisia, dai grandi occhi, c’è A., tranquilla e sorridente dal Pakistan, ci sono D. e V., con le quali parlo in russo qualche volta, perché vengono dall’Ucraina, sempre insieme da sembrare gemelle, c’è R.A., che viene dalle Filippine e vuole imparare, a tutti i costi. Da qualche giorno ha iniziato pure S., una bella ragazzina con gli occhi verde smeraldo e lo sguardo un po’ smarrito, venuta dalla Moldavia, che mi chiede di spiegare qualche cosa in russo, visto che fatica con l’italiano. e c’è anche L., che viene dalla Siria, che è un ragazzo intelligente e un po’ confusionario. attorno a loro c’è confusione, provocata da altri alunni, ci sono difficoltà, ma il loro impegno è una dimostrazione che la scuola, per loro, venuti dall’estero, ha un valore. Dimostrano amor di patria, se questa definizione ha un valore, dimostrano che la scuola italiana ha delle ragioni in più per esistere, dimostrano che le femmine riescono, dove sempre più spesso, noi uomini falliamo. Dimostrano che il cielo esiste ancora, e non è troppo lontano. cielo

Protezione

Protezione

Questa grande chiesa è un simbolo di bellezza e di protezione. è un simbolo per l’arte che rappresenta, per la storia che rappresenta. Può infondere sicurezza anche a chi non crede, che la guarda con occhi diversi, con gli occhi di chi ama l’arte come ristoro per l’anima e vede l’arte come qualcosa di concreto e non solo, ma non trascendente.