Vita

Non ho dormito

Per colpa di una persona negativa, sono stato svegliato alle 3 del mattino circa e non ho più dormito. Sono uscito solo per comprare i giornali, ma la temperatura è spiacevole. Ho freddo e sonno. Ho ordinato qualcosa su justeat. Dopo devo andare dal medico. c’è una grande umidità in questa casa.

Al Mukawama

Simmo turnate chiù arraggiate r’ajere
Chiù passa ‘o tiempo e chiù ce facimmo scure
Simmo terrune e cià facimmo chè nire
Parlammo n’faccia e nun tenimmo problemi
Al mukawama, al mukawama
Badder than the bite of the baddest tarantula
Al mukawama, al mukawama
Keep resisting yo, resistencia global
Al mukawama, al mukawama
Badder than the bite of the baddest tarantulaAl mukawama, al mukawama
Keep resisting yo, resistencia global
Fydaije fydaije ithaura thaura shaabje
(Guerrieri, guerrieri, è una rivoluzione, una rivoluzione popolare)
intifada intifada thaura shaabje
al mukawama ammischiato ‘mmiezzo ‘a genta mia
‘ a Palestina ce l’insegna stù sistema è pazzia
resistenza popolare tutte quante ‘mmiezzo ‘a via
intifada intifada thaura shaabje
al mukawama ammischiato ‘mmiezzo ‘a genta mia
‘ a Palestina ce l’insegna stù sistema è pazzia
resistenza popolare tutte quante ‘mmiezzo ‘a via Al mukawama, al mukawama
Badder than the bite of the baddest tarantula
Al mukawama, al mukawama
Keep resisting yo, resistencia global
Al mukawama, al mukawama
Badder than the bite of the baddest tarantula
Al mukawama, al mukawama
Keep resisting yo, resistencia global
Al mukawama, resistencia popular, like the People in FilastinThe resistance should never give in…

Devo resistere.

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un’altra tacca

Ho fatto due ore di zumba online, con movimenti limitati, meglio che niente. Oggi ha piovuto e tanto. Un altro giorno è passato. Oggi è il 10. Siamo in doppia cifra. Coraggio pure.

La ginestra di Giacomo Leopardi

Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι µᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
Giovanni, III, 19

Qui sull’arida schiena                                1
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,                        5
odorata ginestra,
contenta dei deserti. Anco ti vidi
de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
che cingon la cittade
la qual fu donna de’ mortali un tempo,               10
e del perduto impero
par che col grave e taciturno aspetto
faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante,              15
e d’afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
di ceneri infeconde, e ricoperti
dell’impietrata lava,
che sotto i passi al peregrin risona;                    20
dove s’annida e si contorce al sole
la serpe, e dove al noto
cavernoso covil torna il coniglio;
fur liete ville e colti,
e biondeggiàr di spiche, e risonaro                     25
di muggito d’armenti;
fur giardini e palagi,
agli ozi de’ potenti
gradito ospizio; e fur città famose
che coi torrenti suoi l’altero monte                     30
dall’ignea bocca fulminando oppresse
con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
una ruina involve,
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo                    35
di dolcissimo odor mandi un profumo,
che il deserto consola. A queste piagge
venga colui che d’esaltar con lode
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
è il gener nostro in cura                            40
all’amante natura. E la possanza
qui con giusta misura
anco estimar potrà dell’uman seme,
cui la dura nutrice, ov’ei men teme,
con lieve moto in un momento annulla                 45
in parte, e può con moti
poco men lievi ancor subitamente
annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
son dell’umana gente                                50
le magnifiche sorti e progressive.

Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco,
che il calle insino allora
dal risorto pensier segnato innanti                     55
abbandonasti, e volti addietro i passi,
del ritornar ti vanti,
e procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti,
di cui lor sorte rea padre ti fece                        60
vanno adulando, ancora
ch’a ludibrio talora
t’abbian fra se. Non io
con tal vergogna scenderò sotterra;
ma il disprezzo piuttosto che si serra                 65
di te nel petto mio,
mostrato avrò quanto si possa aperto:
ben ch’io sappia che obblio
preme chi troppo all’età propria increbbe.
Di questo mal, che teco                            70
mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
vuoi di nuovo il pensiero,
sol per cui risorgemmo
della barbarie in parte, e per cui solo                   75
si cresce in civiltà, che sola in meglio
guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
dell’aspra sorte e del depresso loco
che natura ci diè. Per questo il tergo                   80
vigliaccamente rivolgesti al lume
che il fe palese: e, fuggitivo, appelli
vil chi lui segue, e solo
magnanimo colui
che se schernendo o gli altri, astuto o folle,         85
fin sopra gli astri il mortal grado estolle.

Uom di povero stato e membra inferme
che sia dell’alma generoso ed alto,
non chiama se nè stima
ricco d’or nè gagliardo,                                90
e di splendida vita o di valente
persona infra la gente
non fa risibil mostra,
ma se di forza e di tesor mendico
lascia parer senza vergogna, e noma                   95
parlando, apertamente, e di sue cose
fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
non credo io già, ma stolto,
quel che nato a perir, nutrito in pene,                  100
dice, a goder son fatto,
e di fetido orgoglio
empie le carte, eccelsi fati e nove
felicità, quali il ciel tutto ignora,
non pur quest’orbe, promettendo in terra       105
a popoli che un’onda
di mar commosso, un fiato
d’aura maligna, un sotterraneo crollo
distrugge sì che avanza
a gran pena di lor la rimembranza.                        110
Nobil natura è quella
che a sollevar s’ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,                                115
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra se nel soffrir, nè gli odii e l’ire
fraterne, ancor più gravi                            120
d’ogni altro danno accresce
alle miserie sue, l’uomo incolpando
del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che de’ mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa             125
congiunta esser pensando,
siccome è il vero, ed ordinata in pria
l’umana compagnia
tutti fra se confederati estima                            130
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune. Ed alle offese                      135
dell’uomo armar la destra, e laccio porre
al vicino ed inciampo,
stolto crede così, qual fora in campo
cinto d’oste contraria, in sul più vivo
incalzar degli assalti,                                140
gl’inimici obbliando, acerbe gare
imprender con gli amici,
e sparger fuga e fulminar col brando
infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri                                145
quando fien, come fur, palesi al volgo,
e quell’orror che primo
contro l’empia natura
strinse i mortali in social catena,
fia ricondotto in parte                                150
da verace saper, l’onesto e il retto
conversar cittadino,
e giustizia e pietade, altra radice
avranno allor che non superbe fole,
ove fondata probità del volgo                            155
così star suole in piede
quale star può quel ch’ha in error la sede.

Sovente in queste rive,
che, desolate, a bruno
veste il flutto indurato, e par che ondeggi,            160
seggo la notte; e sulla mesta landa
in purissimo azzurro
veggo dall’alto fiammeggiar le stelle,
cui di lontan fa specchio
il mare, e tutto di scintille in giro                        165
per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
ch’a lor sembrano un punto,
e sono immense, in guisa
che un punto a petto a lor son terra e mare          170
veracemente; a cui
l’uomo non pur, ma questo
globo ove l’uomo è nulla,
sconosciuto è del tutto; e quando miro
quegli ancor più senza alcun fin remoti                  175
nodi quasi di stelle,
ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo
e non la terra sol, ma tutte in uno,
del numero infinite e della mole,
con l’aureo sole insiem, le nostre stelle                 180
o sono ignote, o così paion come
essi alla terra, un punto
di luce nebulosa; al pensier mio
che sembri allora, o prole
dell’uomo? E rimembrando                            185
il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
il suol ch’io premo; e poi dall’altra parte,
che te signora e fine
credi tu data al Tutto, e quante volte
favoleggiar ti piacque, in questo oscuro                190
granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
per tua cagion, dell’universe cose
scender gli autori, e conversar sovente
co’ tuoi piacevolmente, e che i derisi
sogni rinnovellando, ai saggi insulta                     195
fin la presente età, che in conoscenza
ed in civil costume
sembra tutte avanzar; qual moto allora,
mortal prole infelice, o qual pensiero
verso te finalmente il cor m’assale?                     200
Non so se il riso o la pietà prevale.

Come d’arbor cadendo un picciol pomo,
cui là nel tardo autunno
maturità senz’altra forza atterra,
d’un popol di formiche i dolci alberghi,                 205
cavati in molle gleba
con gran lavoro, e l’opre
e le ricchezze che adunate a prova
con lungo affaticar l’assidua gente
avea provvidamente al tempo estivo,                  210
schiaccia, diserta e copre
in un punto; così d’alto piombando,
dall’utero tonante
scagliata al ciel profondo,
di ceneri e di pomici e di sassi                            215
notte e ruina, infusa
di bollenti ruscelli,
o pel montano fianco
furiosa tra l’erba
di liquefatti massi                                220
e di metalli e d’infocata arena
scendendo immensa piena,
le cittadi che il mar là sull’estremo
lido aspergea, confuse
e infranse e ricoperse                                225
in pochi istanti: onde su quelle or pasce
la capra, e città nove
sorgon dall’altra banda, a cui sgabello
son le sepolte, e le prostrate mura
l’arduo monte al suo piè quasi calpesta.              230
Non ha natura al seme
dell’uom più stima o cura
che alla formica: e se più rara in quello
che nell’altra è la strage,
non avvien ciò d’altronde                            235
fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde.

Ben mille ed ottocento
anni varcàr poi che spariro, oppressi
dall’ignea forza, i popolati seggi,
e il villanello intento                                240
ai vigneti, che a stento in questi campi
nutre la morta zolla e incenerita,
ancor leva lo sguardo
sospettoso alla vetta
fatal, che nulla mai fatta più mite                     245
ancor siede tremenda, ancor minaccia
a lui strage ed ai figli ed agli averi
lor poverelli. E spesso
il meschino in sul tetto
dell’ostel villereccio, alla vagante                       250
aura giacendo tutta notte insonne,
e balzando più volte, esplora il corso
del temuto bollor, che si riversa
dall’inesausto grembo
sull’arenoso dorso, a cui riluce                          255
di Capri la marina
e di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
del domestico pozzo ode mai l’acqua
fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,                    260
desta la moglie in fretta, e via, con quanto
di lor cose rapir posson, fuggendo,
vede lontan l’usato
suo nido, e il picciol campo,
che gli fu dalla fame unico schermo,                     265
preda al flutto rovente,
che crepitando giunge, e inesorato
durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
dopo l’antica obblivion l’estinta                        270
Pompei, come sepolto
scheletro, cui di terra
avarizia o pietà rende all’aperto;
e dal deserto foro
diritto infra le file                                275
dei mozzi colonnati il peregrino
lunge contempla il bipartito giogo
e la cresta fumante,
che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell’orror della secreta notte                       280
per li vacui teatri,
per li templi deformi e per le rotte
case, ove i parti il pipistrello asconde,
come sinistra face
che per voti palagi atra s’aggiri,                     285
corre il baglior della funerea lava,
che di lontan per l’ombre
rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell’uomo ignara e dell’etadi
ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno         290
dopo gli avi i nepoti,
sta natura ognor verde, anzi procede
per sì lungo cammino
che sembra star. Caggiono i regni intanto,
passan genti e linguaggi: ella nol vede:               295
e l’uom d’eternità s’arroga il vanto.

E tu, lenta ginestra,
che di selve odorate
queste campagne dispogliate adorni,
anche tu presto alla crudel possanza                 300
soccomberai del sotterraneo foco,
che ritornando al loco
già noto, stenderà l’avaro lembo
su tue molli foreste. E piegherai
sotto il fascio mortal non renitente                      305
il tuo capo innocente:
ma non piegato insino allora indarno
codardamente supplicando innanzi
al futuro oppressor; ma non eretto
con forsennato orgoglio inver le stelle,                310
nè sul deserto, dove
e la sede e i natali
non per voler ma per fortuna avesti;
ma più saggia, ma tanto
meno inferma dell’uom, quanto le frali                315
tue stirpi non credesti
o dal fato o da te fatte immortali.

Un altro giorno se ne va

La sabbia nella clessidra scorre piano, ma scorre. Guardare il mondo in positivo, o in meno negativo, per incominciare a cambiare. Bisogna cambiare atteggiamento, per vivere, almeno per sopravvivere.

Stamattina ho camminato lungo al fiume, sembrava campagna, anche se è in piena città. Mi sono rasserenato un pochino, ascoltando i suoni della natura.

Ieri la mia personal trainer mi ha mandato due video, con i saluti dei ragazzi dei corsi. Ho rischiato di piangere, ammesso che piangere sia un rischio. è stata una commozione dolce ed amara, perché davanti a me ho una strada molto lunga. Ma oggi se ne è andato un altro po’ di strada.

a presto. M.

Nobody said it was easy
No one ever said it would be this hard (The scientist)

la lunga traversata nel deserto

mi sono rotto un polso e ne avrò per 30 giorni. Senza scuola e senza palestra. Sarà dura, lo so. Sono un debole, lo so. faccio fatica a scrivere e a dormire. spero che la scrittura sia un faro che mi aiuti a cercare i miei cocci, magari anche un microscopio, che mi aiuti a cercare quelli più piccoli. faccio fatica a scrivere queste righe, per via dell’ingessatura. non riesco a dormire, per via del dolore fisico e psicologico. sarà dura e passerà lentamente, questo mese.

sono già passati 3 giorni da quando ho scritto il post, wow…

Continuare.. continuare

questa è la storia di una persona che ama tanto, tantissimo il proprio lavoro, con passione, forse esagerata, chissà. questa è anche la storia di una persona travolta da una tragedia, la malattia e la morte della propria madre, per un tumore. Sono passati 33 giorni, tra la diagnosi e la perdita della mamma. La mamma era, è, una donna piena di senso del dovere. votata al proprio lavoro e alla propria famiglia per tutta la vita. Lui si divide tra la scuola e la propria mamma, non mancando né l’una, né l’altra. Si impegna alla morte in tutto, stancandosi, stressandosi, ma trovando anche dei momenti di felicità. Esiste la felicità in mezzo ad un tornado? esiste la gioia in mezzo al terremoto?

Lei è una ragazza dall’aria un po’ insipida, che non ama la scuola e vuole voti altissimi senza studiare. Lui vuole che lei studi, tenuto conto dei suoi limiti. La porta fuori dall’aula durante molte delle ore di lingue. Lei è o sarebbe la sua alunna, visto che lui è un insegnante di sostegno. Lei fa un po’ di progressi, ma non è felice, non vuole studiare. Pensa che avere l’insegnante di sostegno voglia dire non fare nulla. Arriva il giorno del gruppo operativo, che si trasforma in una specie di processo per il povero prof, accusato di fare il proprio lavoro. Il povero prof si difende, con la grinta che a volte gli manca. Sta anche male però, quando va in palestra, dopo il gruppo operativo, il dolore è alleviato, ma è ancora forte. La serata passa lenta e triste, fino al momento di andare a letto. Il prof di sostegno avrebbe voglia perfino di dimettersi, non si avvicina al computer, per paura di commettere sciocchezze. Va a letto e sembra che riesca a dormire, ma alle 3 di notte si sveglia, in preda a tachicardia, dolore allo stomaco e alla testa. Dubita se andare a scuola, ma, alla fine ci va, anche perché lo aspetta il suo alunno C., buono e volenteroso. Gli vuole bene, come ad un nipote. Il prof è ferito. quando è troppo, è troppo. Non ha preso nessun permesso, anche durante la malattia della madre, pur di continuare a stare accanto agli alunni. Il prof sta scoppiando.

Iniziano le lezioni e l’energia sale, caspita se sale, anche se sale pure il mal di testa. Ma le cose cambiano, almeno un po’. I colleghi/amici sostengono, il povero prof, come pure il suo alunno C., che si da da fare ed è affettuoso.

R. è un ragazzo della stessa classe dell’alunna pigra. è un ragazzo timido, insicuro, buono, che si impegna alla morte in tutto. Viene trattato con sufficienza, a volte non troppo bene dalle compagne, anche dall’alunna pigra. Aveva preso alcune insufficienze in inglese. Il prof di sostegno si è offerto di aiutarlo e i voti sono aumentati, come la sua sicurezza, almeno un po’. Deve essere interrogato, per un’interrogazione bella complicata. Al martedì lo incontro e lavoriamo molto insieme. Gli racconto che avevo pensato di prendere un permesso per le ultime due ore del mercoledì, in cui ci sarebbe stato inglese. L’alunno è preoccupato: “ma davvero non c’é? mi piacerebbe che lei ci fosse, perché così potremmo ripassare ancora e poi la sua presenza mi da sicurezza”. Mi manda diverse mail preoccupate. Io cambio idea e lo rassicuro. Ci sarei stato alla sua interrogazione.

Arriva il giorno dopo e vado nella sua classe. Ripassiamo insieme. è bravo. “Mi farebbe piacere se lei ci fosse anche l’anno prossimo. Non si trovano sempre insegnanti così disponibili e carini.” Mi dice. Sorrido. è il momento dell’interrogazione. è bravo. gli sorrido. sono felice. Lo guardo, alzando il pollice, quando la prof gli da un bel voto. Alla fine delle lezioni, gli vado davanti, gli dico: “Complimenti! Batti un 10!”

Sono felice, come un allenatore la cui squadra vince lo scudetto. Mi tocca rimanere a scuola, mi tocca continuare ad insegnare. Per sempre? mmmh… credo proprio di sì.

Riparo

Quando lo conobbi, mi accorsi subito che la sua amicizia era è ed un riparo. Eravamo in quel baretto un po’ squallido, a bere spritz annacquato e a mangiare patatine e schifezze varie. Mi parlava di letteratura e semiotica, della sua vita tormentata e piena di problemi da risolvere. Mi parlava di cinema. ero felice e sereno.

Scandalo a Marcon

https://www.repubblica.it/cronaca/2023/03/16/news/matteo_romanello_marcon_roma_cittaaperta-392343655/?ref=RHLF-BG-P8-S1-T1

Il comune di Marcon, in provincia di Venezia, nega il patrocinio al film “Roma città aperta”, perché “non è in linea con il programma di mandato”. Il sindaco è legato al partito della Meloni.

E mi vengono in mente i miei nonni, che me lo hanno fatto vedere e apprezzare, assieme a tanti altri film. E io che rimango incantato a vederlo.

M.

Prometto

Prometto di non tediarvi con post lamentosi, di non scrivere che va male, anche se va male (mia madre se ne sta andando). Voglio rilassarmi, voglio trasmettere un filo di serenità, anche se non so ci riuscirò. Forse è solo un granello di sabbia, forse è molto meno. Vi mando un abbraccio. questo post non resterà nella storia, lo so.

A presto. M.