You Want it Darker, testo
If you are the dealer, I’m out of the game
If you are the healer, it means I’m broken and lame
If thine is the glory then mine must be the shame
You want it darker
We kill the flame
Magnified, sanctified, be thy holy name
Vilified, crucified, in the human frame
A million candles burning for the help that never came
You want it darker
Hineni, hineni
I’m ready, my lord
There’s a lover in the story
But the story’s still the same
There’s a lullaby for suffering
And a paradox to blame
But it’s written in the scriptures
And it’s not some idle claim
You want it darker
We kill the flame
They’re lining up the prisoners
And the guards are taking aim
I struggled with some demons
They were middle class and tame
I didn’t know I had permission to murder and to maim
You want it darker
Hineni, hineni
I’m ready, my lord
Magnified, sanctified, be thy holy name
Vilified, crucified, in the human frame
A million candles burning for the love that never came
You want it darker
We kill the flame
If you are the dealer, let me out of the game
If you are the healer, I’m broken and lame
If thine is the glory, mine must be the shame
You want it darker
Hineni, hineni
Hineni, hineni
I’m ready, my lord
Hineni
Hineni, hineni
Hineni
Ho fatto molti viaggi in autostrada. Non so nemmeno se siano molti, non faccio il camionista. Ho fatto 100 chilometri per 5 giorni alla settimana. Ricordo il suono del telefono, che interrompe la musica che sto ascoltando. Prima di notare che è lui, alzo gli occhi al cielo, immaginando uno scocciatore. Sento la sua voce, alta ed entusiasta. Mi tornano alla mente i suoi capelli folti, ricci e ribelli. L’ho conosciuto all’alberghiero. Il mio rapporto con l’alberghiero è complesso. Amo il cibo, amo il vino e quello che comunica. Ho sentito dei sapori importanti e sensati, accanto ad altri sconclusionati e, a volte, poco gustosi, per usare un eufemismo. Ho conosciuto colleghi positivi, in particolare una mia collega di sostegno, cuoca eccezionale, per vocazione e predisposizione, la quale potrebbe aprire un ristorante di successo domattina. I ragazzi che vanno all’alberghiero sono un mondo pieno di colori e contraddizioni. Ci sono quelli che vogliono diventare chef e/o maitre, ci sono quelli che vanno all’alberghiero, per disperazione e per esclusione. Sono diversi da quelli del liceo, anche se qualcuno somiglia loro. Tante volte hanno poca di studiare, o meglio, hanno voglia un giorno sì e due giorni no. Io sono stato un liceale, amante dello studio, mai secchione. Ho frequentato il liceo delle élites, senza tirarmela mai, però. Qualche volta ho fatto fatica a capire chi non ama lo studio, soprattutto lo studio della letteratura e delle lingue, cercando di ascoltare e di aiutare chi aveva più difficoltà di me, mai chiudendomi nel fortino. I due anni all’alberghiero hanno rappresentato per me il confronto con un mondo diverso, un modo per contaminarmi ancora un po’, io che amo le contaminazioni oltre ogni limite.
Ma torniamo ai suoi capelli ricci e ingovernabili, che ogni tanto decide di imprigionare con un elastico, formando una specie di cactus. Quando l’avevo conosciuto, me lo ricordo incazzereccio, ombroso, con il tono nervoso e una cugina brava. L’ho visto cambiare, almeno un po’, l’ho visto cercare il dialogo sulla vita, l’ho visto cercare il cazzeggio nei tempi morti, il cazzeggio intelligente e autoironico, assieme a me e ad altri compagni, tra cui sua cugina. L’ho visto fidanzarsi con una ragazza tranquilla e posata, mentre i suoi capelli diventavano sempre più ricci, lunghi e ribelli. L’ho visto di nuovo ombroso e silente, sfinito a causa di notti tormentate da troppa internet. L’ho visto più pronto a contaminarsi. L’ho visto sempre più pronto ad usare le proprie capacità in tedesco, dimostrando, innanzitutto a se stesso, che ce la poteva fare, anche se non sempre, anche se rimane, a volte, schiavo dei propri umori e malavoglia. E impara cose, fa strada, mi presenta la sua fidanzata in un’interrogazione su Meet. Le dico che ha trovato un bravo ragazzo, che è stata fortunata, anche se, a volte, meriterebbe qualche bastonata quel fanciullo dai capelli ribelli, che quel giorni mi telefona e parliamo di tutto, senza prenderci troppo sul serio. Parliamo delle cose importanti e della sua crescita. Lui mi dice che nessuno gli aveva mai detto quelle frasi che gli stavo dicendo io, nemmeno suo padre. Mi dice che deve preparare un esercizio di tedesco complicato per la scuola, mi dice che vorrebbe lo aiutassi a prepararlo. Pronuncia una frase con tono soddisfatto e autoironico, non avrei mai detto, fino a qualche tempo fa, che avrei chiesto ad un prof di studiare con lui. Gli dico che sono felice per lui, perché sta crescendo, che è giusto così. Sono le più belle vittorie, queste.
La sera facciamo una videochiamata su whatsapp, io sono stanco morto, ma felice di dargli una mano. L’esercizio è abbastanza complicato, ma lui ce la fa. Compare sua mamma, quasi commossa, che mi ringrazia per quello che faccio, ma il premio l’ho già avuto. Ho visto una persona crescere, sono cresciuto un po’ anche io.
M. (è successo qualche mese fa, poco prima che iniziassimo a fare lezioni a distanza)