Leggo molti romanzi, soprattutto in estate. In estate la mia testa e il mio spirito amano la narrativa, forse perché ho più voglia di conoscere la vita di altri. Di inverno leggo di più saggistica, per analizzare la realtà senza pietà e con la massima onestà.
Io conduco una vita normale, fatta di sicurezze e di solidità. Nella vita normale fanno capolino avventure inaspettate, amori folli e imprevedibili.
Ho condotto una vita felice, tranquilla e sicura. Ho fatto quello che mi sembrava giusto, nella mia vita, quasi tutto, tranne studiare danza classica, perché pensavo che mi avrebbero preso in giro e ho avuto paura. A un certo punto della mia vita tutti i miei progetti hanno iniziato a sfaldarsi, proprio quando ho iniziato il servizio civile. Debbo fare le cose solo perché ci credo, come l’insegnamento, come lo studio delle lingue. Debbo mettere l’amore, la mia passione in tutto. è una passione tranquilla, con la voce bassa, ma è una passione convinta, testarda. Credevo nel servizio civile, avevo un amico che gestiva un circolo, avrei voluto fare volontariato, occuparmi di abbandono scolastico, già allora la scuola contava molto per me, ma non andò così. La domanda che inoltrai fu respinta e fui inviato in un ufficio del comune, il cui compito era quello di occuparsi di Intercultura. Chiesi il trasferimento, ma questo venne rifiutato. Ci rimasi molto male. Mi vennero richieste un paio di traduzioni, di catalogare qualche libro, il tutto in 5-6 mesi, durante i quali rimanevo ad un tavolo per leggere un libro per la somma di 3,10 euro al giorno. Ero molto demotivato, un po’ depresso. A me non piace consegnare delle buste ad altri uffici, a me piacciono e piacevano le lingue straniere, e la scuola. Quell’anno non fu bello, mia nonna, che mi ha cresciuto meglio di mia madre biologica, mi lasciò in un orribile giorno di autunno. Però il dolore, la sofferenza e la disperazione, a volte, vengono rischiarati da un raggio potente di sole, proprio a scuola, proprio grazie allo studio delle lingue. Nell’ufficio del comune dove svolgevo il servizio civile un giorno mi venne chiesto se ero intenzionato a fare da interprete per una delegazione di bielorussi, una scolaresca in visita per un progetto legato a Chernobyl. Non mi sembra vero, dico di sì, con stupore e rassegnazione. Erano passati diversi mesi da quando avevo iniziato quell’avventura deprimente. Avrei dovuto lavorare a scuola, utilizzando le lingue, i miei due amori. già, l’amore. Quel giorno in cui inizio l’avventura, conobbi tre donne e tanti bambini. RV è una signora severa, con i capelli rossicci e gli occhi a mandorla, TA è una signora con l’aria pacioccona, con una risata aperta, c’è VN, gli occhi azzurri che mi feriscono. VN è gentile, un po’ freddina, mi da del lei. Io mi sento un po’ a disagio, è la prima volta che faccio l’interprete. Via via che il tempo passa, il disagio se ne va e lascia il posto alla sicurezza e alla determinazione.
I giorni passano rapidi e intensi. I bambini bielorussi sono gentili e un po’ freddini all’inizio, i bambini italiani sono simpatici e caotici. Io vengo considerato come una sorta di maestro, anche se servo di più agli adulti che ai bambini. Quando gli italiani debbono dire qualcosa ai bielorussi chiamano me e viceversa. VN capisce l’italiano e, tutte le volte in cui le chiedono qualcosa in italiano, me lo riassume in russo, e mi dice cosa deve dire. VN è una ragazza sempre elegante, vestita come se dovesse andare ad una serata di gala, VN si scioglie pian piano e i sorrisi cortesi lasciano il posto a sorrisi amichevoli. Un giorno, K, una bimba bielorussa, mi viene a chiedere di giocare con loro in cortile. Mi insegnano dei giochi, io corro e salto in cortile come un bambino. La distanza tra me e loro non c’è più. VN guarda e sorride tranquilla. Guarda e sorride, anche quando i bambini mi mostrano il loro album di fotografie, quando mi chiedono le capitali degli stati, quando mi raccontano quello che fanno. Passo il tempo tra VN e i bambini, che sono teneri ed educati, simpatici ed intelligenti. C’è A, otto anni, che è una bambolina bionda, c’è N., nove anni, dal volto rubizzo e simpatico, c’è A., dodici anni, che mi regala un fiore, c’è K., che ride alle mie battute. C’è un mondo di gioia che va dall’Italia alla Bielorussia, senza nemmeno il confine della lingua, perché i bambini non hanno nazione e si capiscono sempre. Le altre maestre bielorusse mi domandano raramente di intervenire, forse perché ci vedono bene insieme. Qualche volta di più mi chiedono l’intervento gli insegnanti italiani. Andiamo in gita, F. V., il centro della mia città, io sono sempre vicino a VN. Il mese scorre veloce, splendido e crudele fino alla fine: sono un bel po’ triste, ma non ho voglia di dirlo o di mostrarlo. Anche VN è triste, anche i bambini, soprattutto quelli bielorussi, sono tristi. Non ho combinato niente con VN, si vede che quello non era l’anno buono, per usare un luogo comune. Ci siamo scambiati l’indirizzo, io e VN.
I mesi procedono fino al disastro più terribile della mia vita, mia nonna se ne va gettandomi nella disperazione. Cerco di risollevarmi, per non affondare nella depressione. Un giorno mi arriva una cartolina di VN, è inverno. è affettuosa, io sono felice, le rispondo con una lunga lettera in cui le racconto quello che mi è successo e da quel giorno inizia una lunga corrispondenza, che si interrompe all’inizio della primavera.
In un giorno di maggio incontro dei vicini di mia madre, una famiglia con due figli. Il padre è con il ragazzino, che allora era un bimbo. Sai che a scuola di G ci sono i bielorussi, mi dice. Mi coglie un lampo, per caso c’è una maestra giovane, bionda e molto bella. G risponde subito di sì e il mio viso si accende di gioia ed emozione. Posso lasciarvi un biglietto per lei, le chiedo se vuole incontrarsi con me e le lascio il mio numero. Il giorno dopo è l’ora di pranzo e sono in palestra, sono in palestra e leggo sul cellulare che suona un numero a me ignoto. Sento la sua voce e ho un tuffo al cuore. Mi chiede di vederci e io le propongo di andare a cena. Credo che la cena sia un momento fondamentale per socializzare. Del buon cibo e del buon vino rendono sereni e stimolano il dialogo. Lei non beve quasi per niente vodka, mangia pochissimo, quasi solo macedonia, ma è una conversatrice spigliata, affascinante. Siamo in una trattoria tipica della mia città, piena di tradizione. Interruzione delle trasmissioni. Ci ritroviamo avvinghiati in un bacio, traboccante di passione. Ci sorridiamo. Ci saremmo baciati spesso quella sera. Abbiamo passeggiato molto. Quella notte feci fatica a dormire. La mattina dopo mi risvegliai con un’energia speciale, che non provavo da tempo. La volevo rivedere subito e, qualche sera dopo, uscimmo ancora. Quel mese saremmo usciti molto spesso. Alla fine del mese ci salutammo felici e tristi, nello stesso tempo. Avrei voluto andare da lei, ma i soldi che guadagnavo erano pochi. Ci scrivevamo una lettera al giorno. Ci telefonavamo tutti i giorni, io andavo al call center più vicino. Quando non riuscivo a scriverle una lettera, le mandavo una cartolina. Il tempo trascorse veloce, fino a che non ebbi la notizia. L’estate successiva sarebbe venuta, ma a 200 chilometri da casa mia, vicino ad una grande città. Erano tempi duri, tempi di scarsità di soldi e di lavoro scarso, ma c’era lei. Decisi che niente e nessuno mi avrebbero fermato dal vederla, avrei messo da parte dei soldi pur di vederla. Tutti i lunedì partivo per questa città alle ore 19 e alle ore 21 ero al casello. Con ogni tempo, con la stanchezza e la rabbia, che passavano quando pensavo a lei. Lei era ospite di una signora simpatica che ci voleva bene, ci preparava da mangiare, La prima sera mi disse, tu sei il ragazzo della VN, vero. Io dissi sì, io e VN ci sorridemmo e ci baciammo. Dopo cena uscivamo, una sera eravamo in un parco, io la bacio e le dico che la amo. Il bacio è il più lungo che abbia mai dato. Fa caldo quella sera e la mia macchina è rotta. Nessuno la può ritirare e non ci sono treni, la signora che la ospita si offre di ospitarmi. Naturalmente nella stessa stanza, dice con aria sorridente e birichina. Io accetto e divento tutto rosso. VN è diventata tutta rossa, lei capisce l’italiano ora e lo parla, ma non vuole che io parli in italiano, perché la metto a disagio, dice lei, quando io parlo in italiano. La signora M. dorme lontano. Interruzione delle trasmissioni, della coscienza. I nostri corpi, il mio e quello di V, si uniscono. Ci addormentiamo senza vestiti, senza accorgercene. Arrivano le sette, ma io non ho sonno e lei non ha sonno. Sarei ritornato molte volte, nella campagna vicino a quella grande città, per vivere il mio amore nato a scuola, fino alla fine di quel mese, sempre troppo breve, tra i baci e lei che mi sfiora la punta del naso con il polpastrello, mentre sorride. Io le dedico una canzone “L’emozione non ha voce”. L’amore è una delle poche gioie di quel periodo, perché i problemi sono tanti e mi schiacciano. I soldi non ci sono e arriva anche un brutto incidente di auto che mi fa spendere un sacco di soldi e mi fa stare a letto un mese, l’anno successivo, quando lei arriva. C’eravamo scritti tutti i giorni e lei era lontana, manco aveva l’automobile per venire e le mie condizioni erano gravi. Non avremmo neppure potuto parlare. Quando mi ripresi, pensai che le cose non sarebbero più ritornate come prima. Ora rimpiango un bel po’ quell’amore nato a scuola. Ho paura che qualcosa possa non quadrare con VR, la ragazza di cui ho parlato in più di un post. Amori nati a scuola.
E vabbè, però devi essere un po’ più ottimista! 🙂
Che storia romantica. Hai un modo così delicato di scrivere le storie d’amore da cui si intuisce il tuo animo limpido, la tua sincerità e anche la tua emozione. Non capita sempre di riuscire a trasmettere tutto questo attraverso semplici parole. Bravo!
Grazie mille, io vivo tutto intensamente, sono una persona piuttosto riservata, timida e romantica. Quando amo quello che faccio, finisco spesso per innamorarmi di una persona che fa parte di quel mondo, perché, forse amo tutto ciò che faccio, ogni singolo aspetto.
Pensa che io alla fine ho sposato uno che ha sempre odiato la scuola e gli insegnanti. 😦
Oddio, come fate?
Semplicemente ho il veto di parlar di scuola a casa. Pare funzioni: sono sposata da quasi 28 anni, anche se negli ultimi tempi non è tutto rose e fiori, ma non è certo a causa della mia professione. E poi mio marito mi ha conosciuta quando frequentavo l’ultimo anno del liceo, sapeva che mi sarei laureata e avrei fatto l’insegnante. Ci siamo sposati dopo sei anni di fidanzamento, aveva tutto il tempo per pensarci. 🙂
Ti capisco e me ne rendo ben conto. Avete trovato un equilibrio, si capisce che il rapporto d’amore è sempre e comunque la ricerca di un equilibrio, è un compromesso continuo, una coperta sempre troppo corta.
Nel 2013 scrivevo un sacco. Sono già passati 10 anni, diamine. Riflessioni ultrabanali. A presto.